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L'utilità di perseverare nell'indagine, alla ricerca di nuove chiavi di accesso

a un problema non risolto.

In base alle considerazioni fin qui svolte si potrebbe anche essere indotti a liquidare i limiti alla revisione costituzionale destinandoli allo «scomodo pregio di collocarsi

120Un'analisi approfondita non è certo consentita dai limiti nei quali la questione è rilevante nell'economia

complessiva del presente lavoro di ricerca: ex plurimis, B. CELANO, La teoria del diritto di Hans

nell'antiquariato costituzionale»121: la prospettiva di una restaurazione della forma di

Stato monarchica è piuttosto remota e, come si è visto, l'interpretazione delle condizioni sostanziali minime della forma repubblicana difficilmente conduce a esiti univoci. Contrariamente a questi presupposti, il tema dei limiti alla revisione costituzionale, in tempi recenti, ha raccolto sempre crescente attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza costituzionale.

Nel 1991, in pieno clima di “riforme istituzionali”, alle soglie dell'approvazione del Trattato di Maastricht che, più che in Italia, in altre Corti d'Europa122 portò a uno

straordinario attivismo giudiziale nel campo dei “controlimiti comunitari”, attenta dottrina osservava che «[p]aradossalmente, se non ci fosse una Costituzione, oggi avremmo in ogni caso bisogno di una Corte costituzionale»123. Questa suggestiva

prospettiva, al di là delle finalità verso le quali si poneva come argomentazione, calza perfettamente al tema considerato nel presente percorso di ricerca: per quanto concerne la tutela dei principi supremi dell'ordinamento è difficile identificare una “costituzione dei principi supremi”, in senso formale-documentale124, ma esiste una Corte

costituzionale che si pone a loro presidio, o almeno che pretende di essere competente a farlo.

Allontanandosi dal 22 dicembre 1947, il tema dei principi immodificabili dell'ordinamento si è progressivamente emancipato dal contesto nel quale era sorto. Leggere oggi l'art. 139 Cost. come una una mera sanzione degli esiti del referendum istituzionale corrisponderebbe a una sorta di interpretatio abrogans; al contrario sembra ragionevole, sulla scorta dell'insegnamento di Vezio Crisafulli, interpretare l'art. 139 Cost., come ogni altro atto normativo, «magis ut valeat»125. E ciò è stato quanto si è

verificato tanto nella dottrina, quanto nella giurisprudenza costituzionale, con il tentativo, da un parte, di illuminare l'espressione “forma repubblicana” di un contenuto materiale, e dall'altra di estenderne il suo ambito di applicazione, oltre alla materia della sindacabilità delle leggi costituzionali – nel frattempo alimentata dalla ormai quasi trentennale retorica delle “grandi riforme” –, anche alla materia dei limiti opponibili alle modificazioni costituzionali derivanti da norme prodotte all'esterno dell'ordinamento costituzionale (i cd. controlimiti)126.

121M. PEDRAZZA GORLERO, Le variazioni territoriali delle regioni: contributo allo studio dell'art.

132 della Costituzione, Padova, 1979, 191.

122Mi riferisco al Tribunale costituzionale della Repubblica federale di Germania che, di lì a poco, avrebbe

pronunciato il noto Maastricht–Urteil: su questa vicenda, e sui riflessi che dal suo approfondimento possono trarsi nel contesto italiano, si tornerà infra, cap. 5, § 3.2, 184 ss.

123C. MEZZANOTTE, Le fonti tra legittimazione e legalità, in Queste istituzioni, 1991, 50 ss.

124A proposito della garanzia che deriva del carattere non testuale dei principi supremi, cfr. infra, cap. 5, §

5, 192 ss.

125V. CRISAFULLI, La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, 1952, 11: «una

Costituzione dev'essere intesa ed interpretata, in tutte le se parti, magis ut valeat, perché così vogliono la sua natura e la sua funzione».

Non più (soltanto) limiti alla revisione costituzionale intra moenia, ma altresì (contro)limiti che l'ordinamento costituzionale oppone alle modificazioni derivanti da norme prodotte extra moenia e alle quali la Costituzione faccia rinvio: come si avrà modo di documentare, l'emersione di una categoria di principi supremi dell'ordinamento nella giurisprudenza costituzionale nasce infatti proprio con riferimento ai limiti opponibili alle norme concordatarie, comunitarie e internazionali generalmente riconosciute. Soltanto in tempi più recenti la nozione 'principi supremi dell'ordinamento' è stata spesa in riferimento a entrambi i contesti, sebbene la dottrina italiana abbia da tempo individuato il felice lemma di “controlimiti” per isolare, almeno lessicalmente, la problematica extra moenia. È però innegabile il fatto che, tanto la giurisprudenza costituzionale127, quanto la migliore dottrina128, hanno ritenuto frequentemente di poter

sovrapporre le due categorie, fondendole sotto l'onnicomprensiva matrice dei “principi supremi dell'ordinamento”: la comune collocazione di limiti e controlimiti su un piano di “super-costituzionalità”, non ben identificato nei contorni, nei contenuti, e nelle modalità di funzionamento, ha forse contribuito a destinare tanto i limiti alla revisione costituzionale quanto i controlimiti a un comune destino privo di concretezza e operatività.

Non sono mancati peraltro autori che fin da subito hanno avvertito l'opportunità di negare tale sovrapposizione, osservando che «è da escludere che nell'attuale ordinamento giuridico italiano la Corte costituzionale abbia identificato i limiti taciti alla revisione con i “principi supremi dell'ordinamento costituzionale” […] Nella sentenza del 1982129 la Corte applica i suindicati principi per giudicare della legittimità

costituzionale dell'art. 34 del Concordato, reso esecutivo con la l. 27 maggio 1929, n. 810. Tuttavia, poiché la Corte non assimila affatto tale legge alle leggi costituzionali […] cade l'unico argomento che avrebbe potuto consentire di interpretare la suddetta sentenza come implicito riconoscimento della esistenza di limiti taciti della revisione costituzionale nell'attuale ordinamento italiano»130. Come si avrà modo di accertare più

avanti131, non si può però ignorare che si trovino tracce esplicite dell'estensione degli

argomenti spesi dalla Corte in sede di sindacato delle norme concordatarie, comunitarie e internazionali generalmente riconosciute, alla sede del sindacato di norme costituzionali. E ciò ha indotto alcuni autori a osservare che «una maggiore prudenza sarebbe stata, forse, necessaria tenendo conto del fatto che si veniva ad estendere a fenomeni di produzione normativa, che si collocano al vertice della gerarchia delle fonti

italiano: per un breve excursus sulla vicenda tedesca, vedi infra, cap. 5, § 3, 180 ss.

127Vedi infra, cap. 2, § 5.1, 104 ss.

128M. CARTABIA - M. GENNUSA, Le fonti europee e il diritto italiano, Torino, 2009, 70 ss, e in tempi

meno recenti F. FINOCCHIARO, La competenza della Corte costituzionale rispetto alle leggi

costituzionali e alle leggi di esecuzione di trattati internazionali, in Giur. it, 1983, IV, 17 ss.

129Corte costituzionale, sentenza n. 18 del 1982, su cui vedi infra, cap. 2, § 2.2.4, 64 ss. 130S.M. CICCONETTI, Revisione costituzionale (voce), cit., 148, sub nota 86.

(art. 138 Cost.), un filtro originariamente destinato ad operare sul terreno dei rapporti fra ordinamenti, dove il problema non è quello di impedire al legislatore costituzionale di sovvertire le scelte fatte in sede costituente, ma di evitare che, per tramiti diversi dalla revisione costituzionale, si incida su aspetti essenziali dell'ordine repubblicano»132.

La scarsa prudenza che altrove, e nella stessa giurisprudenza costituzionale, ha invece confuso nell'unica sintesi dei principi supremi dell'ordinamento «filtri» destinati a operare su terreni tanto diversi, ha forse finito per non giovare né all'uno né all'altro fronte.

Queste considerazioni suggeriscono di approcciare la tematica tentando di adottare vie d'accesso diverse rispetto alla classica ricostruzione dottrinale. Da un lato infatti, riferendosi a un ordinamento costituzionale positivo, non c'è ragione di prescindere dall'osservazione della prassi degli attori costituzionali ai quali è affidato il compito di dare concretezza positiva ai principi supremi dell'ordinamento; in quest'ottica si approfondirà nei due capitoli seguenti la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia (capitolo II) e la prassi presidenziale (capitolo III), per verificare se l'indagine del diritto in azione possa essere d'aiuto a creare ordine in una categoria dominata dalla confusione. Dall'altro lato la qualificazione dei “principi supremi” quali principi suggerisce l'opportunità di allontanarsi da una considerazione meramente astratta di essi, e invece di avvicinarsi all'osservazione del loro comportamento nelle dinamiche del bilanciamento nei giudizi di legittimità costituzionale (capitolo IV).

Questo percorso suggerirà quindi di allontanarsi dal dato giuridico-formale e dalle affermazioni retoriche di assolutezza dei principi supremi (capitolo V), onde calare i “presunti” principi supremi dell'ordinamento nell'esperienza costituzionale, e osservarne il loro concreto funzionamento nel diritto in azione (capitolo VI).

CAPITOLO II – PRIMOTENTATIVO

LAGIURISPRUDENZADELLA CORTECOSTITUZIONALE: «UNPO' DIREALISMOSUIPRINCIPISUPREMI»

SOMMARIO: 1. La tortuosa giurisprudenza della Corte costituzionale. – 2.

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