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Cicerone: uno stoico, un giurista

entra a far parte dello statuto di Roma, e proprio questa è la vera novità rispetto ai greci, oltre al carattere di apertura e adattabilità delle proprie frontiere E proprio la

2. Cicerone: uno stoico, un giurista

La fase finale e tumultuosa della Repubblica vede spiccare un notevole protagonista: Marco Tullio Cicerone (106-43 a. C.), impegnato a difendere l’ordine, l’equilibrio dei poteri e i valori prodotti dalla Repubblica129. Nel De officiis Cicerone elenca l’insieme delle virtù, dei comportamenti, delle leggi umane e di natura capaci di conseguire il ‹‹sommo bene›› attraverso il quale ‹‹regolare praticamente la vita››130

. Si tratta del manifesto politico-morale di Cicerone, prodotto sotto l’influenza evidente e dichiarata dello stoicismo greco, rappresentato dagli ultimi importanti esponenti Panezio, Posidonio e Antioco. L’influenza di Panezio fu particolarmente significativa per la visione ciceroniana dell’umanità intesa come entità composita di una pluralità di relazioni sociali. Proprio in queste relazioni Cicerone cercherà il momento genetico del diritto, senza il quale non vi può essere fra gli uomini né sicurezza né libertà.

Lo Stato poggia la sua legittimità proprio sul diritto, e la forza vincolante del diritto nelle società umane risiede nella sua stessa capacità di mantenersi comune per tutti i cittadini131. L’ideale della Repubblica in Cicerone si intreccia così con l’ideale del diritto, perché questo costituisce il più importante elemento per regolare i rapporti che si generano dalla innata tendenza naturale ad associarsi degli uomini132.Riprendendo un concetto di chiara derivazione stoica, Cicerone asserisce nel De Re Publica:

Chi infatti a buon diritto potrebbe chiamare uomo colui che non vuole avere, né con i suoi concittadini,né infine con nessuna razza umana alcuna comunanza di diritti, alcuna

solidarietà di sentimenti umani?133.

L’attenzione di Cicerone è quasi sempre rivolta a Roma, alla Repubblica per la quale ha sacrificato la propria vita e l’intera sua opera; e Roma non rimane sempre chiusa in se stessa, per quella naturale tendenza a espandersi, a costituire un modello di riferimento per tutti gli altri popoli134. Roma è la patria per diritto, che tende a includere ogni patria

129

Cfr. S. Mazzarino, L’impero romano, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2010, p. 39; su questo punto si veda ancora M. Pani, Op. Cit., in particolare il paragrafo dal titolo I valori al potere, pp. 63-68.

130

Cfr. Cicerone, De officiis, I, 3, 7, trad. it. p. 81. 131

Cfr. Cicerone, De Re Publica, libro I, 32, 48.

132 Ivi, libro I, 25, 39. Alcuni studiosi hanno ravvisato nella dottrina di Cicerone un ripiegamento delle sue riflessioni su una visione ideale o “idealistica” della Repubblica di Roma, piuttosto che una impostazione generale che travalicasse i confini della propria realtà politica di riferimento. Cfr. L. Scuccimarra, Op. Cit., p. 68; cfr. C. Martínez-Sicluna, La crisis de la legitimidad: de la geometría legal a la democracia deliberativa, in ‹‹Persona y Derecho››, n. 63, 2-2012, p. 198.

133

Cfr. Cicerone, De Re Publica, libro II, 26, 47; Cfr. frammento di Crisippo, in Arnim III, 340. 134 Come infatti riferisce Nicolet, non vi è dubbio che Roma ‹‹originariamente sia stata esclusiva, chiusa e sospettosa quanto potevano essere le altre città››. Cfr. C. Nicolet, Op. Cit. , p. 34.

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per natura, rappresentando il coronamento finale dell’esistenza unitaria di una patria

comune. Con il concludersi della guerra sociale, per la quale gli alleati italici rivendicavano proprio l’accesso alla cittadinanza romana, inizia un graduale processo di inclusione e integrazione dei territori italici e delle città latine, organizzate in municipi.

Nel dialogo che nel De Legibus Cicerone intrattiene con Attico, quest’ultimo interpella l’oratore su quale sia il suo luogo di nascita:

MARCO - questa è la patria comune mia e di mio fratello; infatti traiamo l’origine di qui da un antichissimo ceppo. ATTICO - […] Arpino, sarebbe la vostra naturale patria?

Forse che ne avete due di patrie? O quella sola è la patria comune? MARCO - […] io penso che tanto egli come tutti

i municipali abbiano due patrie, una quella naturale, l’altra quella giuridica;

[…] Perciò io mai negherò essere questa appunto la mia patria, pur essendo maggiore di essa quell’altra, e questa sia compresa in quell’altra, dalla quale ciascun municipale riceve il diritto di una seconda cittadinanza e che considera l’unica patria135

.

Solo entrando nella cittadinanza romana si compie la reale esistenza politica e giuridica; Roma assume una vocazione universalista, di imperium, ed esercita il suo dominio attraverso il diritto.

Cicerone tenta di elaborare delle norme politico-morali e istituzionali capaci di sorreggere l’impianto del cosmopolitismo stoico136

. La Roma repubblicana assurge in tal modo a ispiratrice di civiche virtù, la sola interprete della norma razionale dettata da dio; la natura allora suggerisce la condivisione di questa norma, posta a fondamento dei ‹‹principi naturali della comunità umana››137

. La virtù in Cicerone è quel precetto che rivela all’uomo la propria natura e lo accompagna sulla strada della giustizia; essa, per emanazione diretta di dio, svela a ognuno di non essere ‹‹solo circondato dalle mura, come cittadino di un qualche limitato luogo››, ma di essere ‹‹riconosciuto cittadino di tutto il mondo, come quasi di una unica città››; ‹‹sicché senz’altro questo mondo intero è da considerarsi come un’unica città comune agli dei ed agli uomini››138

.

L’appartenere a una città implica per Cicerone una ‹‹comunanza di diritti››139

, essendo cittadini nello stesso Stato; il proiettarsi di Roma oltre i propri confini pone inevitabilmente la questione dell’aumento del numero dei propri cives. Così, la

135 Cicerone, De Legibus, Libro II, 2, 4. 136

‹‹In tale contesto, la decisa presa di posizione di Cicerone a favore di una interpretazione attiva della virtù finisce, infatti, per trovare il suo specifico orizzonte di sviluppo in un’etica patriottica del bene comune in gran parte coincidente con il tradizionale orizzonte di valori del repubblicanesimo civico dei romani››. L. scuccimarra, Op. Cit. , p. 68.

137

Cicerone, De Officiis, Libro I, 50, 16.

138 Cfr. Cicerone, De Legibus, Libro I, 23, 60; De Legibus, Libro I, 7, 21. 139

33 connotazione naturale dell’essere umano e del diritto favoriscono quel processo acquisitivo che è proprio di Roma140.

Quello che appare abbastanza evidente è che l’itinerario ciceroniano parte da un modello, la Repubblica, il quale per mezzo delle “leggi”, giunge a compiere la sua parabola evolutiva nella dissoluzione della sua stessa forma. Il De Officiis si pone come suggello finale della riflessione ciceroniana, e forse rispecchia molto più delle altre opere la convinzione di Cicerone dell’esistenza di un elemento che accomuna il consorzio umano: ‹‹Il primo è quello che appare nella stessa universale famiglia degli uomini collegati dalla ragione e dal linguaggio››141

. È proprio in tale opera che Cicerone svincola i diritti dal “cittadino”, per mettere la legge di natura direttamente in rapporto con l’humanitas, con la condizione umana142

.

Ancora una volta la forma città si dilata, perde la sua originaria connotazione, confluisce in una dimensione più ampia; in senso filosofico, si diviene cittadini del mondo perché appartenenti alla medesima natura. Un nuovo potere emergente segnerà gli sviluppi massimi della patria per diritto.