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La doppia tragedia di Roma

entra a far parte dello statuto di Roma, e proprio questa è la vera novità rispetto ai greci, oltre al carattere di apertura e adattabilità delle proprie frontiere E proprio la

2. La doppia tragedia di Roma

‹‹Roma è uscita da se stessa, è andata oltre, molto oltre i propri limiti naturali, i limiti naturali di ogni città. – fu la prima tragedia. Essa non è perita ma ha cambiato forma, con la città corrotta che si è trasformata in impero, in un impero che sarebbe morto in peggiori corruzioni – e fu questa la seconda tragedia››177.

La seconda Roma prende il nome dal suo fondatore, Costantinopoli. E la tragedia di Roma appare sempre più inevitabile; la sua stessa natura la conduce a mutare continuamente di forma, a trasformarsi per adattare plasticamente il corso della storia alla

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La predicazione di San Paolo, il quale assume il viaggio tra i popoli come elemento costitutivo della sua missione, trova corrispondenza in una comunità che si allarga e che vede i propri membri sostenersi reciprocamente: ‹‹l’Ecclesia aggiunge alla comunità dei cittadini nella polis una comunità altra, quella dei diversi, degli stranieri, che trascende le nazionalità attraverso la fede nel Corpo del Cristo resuscitato››. Cfr. J. Kristeva, Stranieri a noi stessi. L’Europa, l’altro, l’identità, Donzelli, Roma, 2014, cit. p. 83.

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43 sua crescita, al suo sviluppo. Lo stesso rapporto del potere con il nuovo elemento della religione cristiana appare tragico178: esso diverrà elemento costitutivo della dinamica non solo dell’Occidente ma di quella stessa parte di Oriente in cui l’impero continuerà a persistere fino alla caduta di Costantinopoli.

I mali che hanno corrotto Roma e causato la sua caduta riguardano molto da vicino una nuova concezione della realtà storica dell’uomo, e quindi dello stesso fine a cui è rivolta la sua azione. I fatti storici si intersecano con una esigenza antropologica mutata radicalmente dall’avvento del cristianesimo. La storia della filosofia dimostra l’evoluzione di alcune nozioni fondamentali che preparano il mutamento e lo indirizzano; si tratta di concetti come quello di salvezza, di conversione, di provvidenza. Non appartengono in maniera esclusiva all’ambito religioso179

, ma ne divengono elementi basilari; da essi si sviluppa tutta l’escatologia cristiana. Lo stesso Costantino si converte alla nuova religione, Marco Aurelio e gli stoici di Roma intravedono nella cura del sé la possibilità di una cura del mondo, di una salvezza; in questo caso non è ancora da intendersi una salvezza che è rimandata nel compimento del Regno di Dio, come sarà quella cristiana, bensì come immanente, perseguibile attraverso la meditazione quotidiana.

A mutare il quadro dei concetti e del loro significato sarà la provvidenza dell’unico Dio, della vera religione. Solo attraverso di essa Roma potrà rinnovarsi per continuare a durare, per continuare a crescere180. Sta proprio in questo passaggio la ricchezza e la profondità della riflessione di Agostino; nello spostamento di prospettiva che si compie dalla città terrena alla Civitas Dei interviene l’elemento fondante della provvidenza divina, dell’unico vero Dio: gli stessi regni terreni dipendono dalla provvidenza divina181

. Sarà proprio il carattere trascendente della provvidenza del Dio cristiano a intervenire sulla trasformazione dei concetti stessi di salvezza e conversione; al carattere ellenistico e romano della conversione, intesa come ‹‹movimento che si dirige verso il sé, da cui non stacca gli occhi, che fissa una volta per tutte come obiettivo, e che alla fine potrà raggiungere, o a cui potrà far ritorno››, si sostituisce la metanoia cristiana che equivale invece ‹‹a rottura e mutamento all’interno dello stesso sé››182

.

178

Sul rapporto “tragico” tra politica e religione cfr. A. Jellamo, Religione e politica in Tocqueville, in D. Thermes (a cura di), Tocqueville e l’occidente, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2012, pp. 121- 142.

179

Cfr. M. Foucault, L’ermeneutica del soggetto, p. 184. 180

L’idea di una civitas augescens che cresce, uscendo fuori dai limiti naturali della polis, trova la sua essenza nella capacità di rinnovarsi di Roma. Su questo punto rimando principalmente a M. Cacciari, Digressioni su impero e tre Rome, in H. Friese, A. Negri, P. Wagner (a cura di), Europa politica. Ragioni di una necessità, manifestolibri, Roma, 2002, pp. 21-42.

181 Cfr. Agostino , De Civitate Dei, V, 1; trad. it a cura di L. Alici, Bompiani, Milano, 2001. 182

44 Il pensiero di Agostino risulta al ruguardo emblematico: la sua concezione dell’essere umano si riassume in una sorta di teologia della storia, nella quale il momento della conversione costituisce l’atto che prepara l’avvento della nuova Città in cui l’uomo rinasce in Dio. Questa rinascita implica ‹‹uno sconvolgimento dello spirito, un radicale rinnovamento, una sorta di nuovo parto del soggetto a opera del soggetto stesso, che ha al centro la morte e la resurrezione come esperienza di se stessi, e di rinuncia di sé a sé››183; la questione più rilevante che emerge nel quadro di questi concetti è l’aspetto drammatico di tale sconvolgimento dello spirito. Un dramma umano, spirituale e storico che trova il più immediato riflesso nell’epoca in cui Agostino inizia a scrivere la sua opera più importante; nel 410 i Visigoti di Alarico mettono a sacco Roma, risparmiando tutti coloro che si erano rifugiati nei tempi cristiani184.

L’invasione di Roma da parte dei Visigoti di Alarico produce un vero e proprio dramma nell’Impero. In questo dramma ‹‹è coinvolta la sorte della civiltà stessa per l’avanzante ondata della barbarie››185

; la Civitas Dei di S. Agostino intende porre un rimedio a ciò, individuando nella fede cristiana per l’unico vero Dio la sola via che la civiltà terrena può intraprendere per la propria salvezza. Per tale ragione la conversione alla nuova fede rappresenta un momento di radicale trasformazione dell’uomo, in quanto implica la rinuncia a sé, alla Città politica edificata sulla terra e destinata a perire. La

corruzione generata dall’amore per se stessi e per i beni materiali e terreni è la vera causa

della rovina dell’impero. Così esordisce Agostino nella Civitas Dei: ‹‹La stessa passione del dominio, che fra

tutti i vizi del genere umano era il più grave per il popolo di Roma, dopo che sopravvisse in pochi più potenti, oppresse tutti gli altri,

sopraffatti e indeboliti, sotto il giogo della schiavitù››186.

L’epilogo tragico di Roma si riassume nell’impossibilità di conciliare il destino dell’uomo con l’avvento di un nuovo regno. Il cristianesimo, nella visione agostiniana della storia, diviene cesura inevitabile e al contempo rottura radicale all’interno del tempo e del soggetto; ma la riflessione di Agostino, seppure rimane distaccata da tutto ciò che riguarda l’elemento politico187, concepisce l’inevitabilità di considerare la realizzazione

della città celeste a partire dalla realtà storica, nella quale si svolge la sua stessa opera ecclesiastica in quanto vescovo di Ippona.

183

Ivi, p. 193.

184 Cfr. Agostino, De Civitate Dei, I, 7. 185

Cfr. S. Cotta, I limiti della politica, il Mulino, Bologna, 2002, cit. p. 316. 186

Cfr. Agostino, De Civitate Dei, I, 30.

187 Su questo tema cfr. ancora S. Cotta; si veda in particolare il capitolo dal titolo Sant’Agostino.

45 Agostino è altresì consapevole che le due Città, quella celeste e quella terrena, ‹‹sono certamente confuse e unite assieme in questo mondo, finché non le separi l’ultimo giudizio››188

; tutta la struttura del pensiero di Agostino risente molto di questa apparente dualità, talvolta manifesta, altre volte solamente sottintesa. La separazione fra la città terrena e la città di Dio serve in realtà ad Agostino a ricostruire la storia alla luce di questi due “modelli”, dissimili ma speculari allo stesso tempo. Per tale ragione, nel quadro dell’opera, assume un valore rilevante e fondante la prospettiva dell’Ipponate che adotta il concetto di civitas pellegrina, come momento intermedio tra la città terrena e la propria realtà metafisica, quella dei cieli.