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Il problema dell’unità*

La cittadinanza dei modern

IV. Modernità politica e cittadinanza

1. Il problema dell’unità*

Il declino dell’impero romano, soprattutto della sua parte Occidentale, genera una nuova frammentazione del potere e di conseguenza una “municipalizzazione” del diritto. Alla forma impero si sostituisce gradualmente la moltiplicazione degli spazi e la relativa autonomia dei territori. Ritorna il protagonismo delle città, le quali costituiranno l’ossatura della civiltà europea per tutto il medioevo, fino all’epoca rinascimentale. Nella città si sviluppa il concetto di autogoverno e di libertà, ripercorrendo la via gloriosa dei modelli delle poleis greche.

Ma la città medievale si fonda su un altro importante fattore: la sicurezza dalle aggressioni esterne. La città relega all’esterno la violenza e costituisce una specifica organizzazione politico-istituzionale nella complessa fase geopolitica del medioevo. Durante il lungo processo che porterà alla costruzione di un vertice sovrano, il rapporto di cittadinanza torna a legarsi a uno spazio specifico, quello della città218.

In un periodo storico in cui è molto profonda la frammentazione del potere, assieme alla problematica della sicurezza si pone quella del governo219. Soprattutto, in un’epoca di aspre lotte fra potere religioso e potere politico, la principale questione è a chi appartenga l’autorità di fare le leggi e condurre il popolo. Il conflitto tra autorità temporale e autorità spirituale attraversa infatti tutto il medioevo, pur rimanendo latente. A prevalere, per lungo tempo, è la conservazione dell’unità politica dell’impero sancita con l’incoronazione di Carlo Magno, nuovo punto di svolta per la realizzazione di una

respublica christiana.

* Una parte dei contenuti, riportata nel paragrafo 1 e nel paragrafo 7, è stata elaborata e proposta in un intervento programmato per la Conferenza internazionale sulla cittadinanza europea “bEUcitizen2105”, che si è tenuta a Zagabria il 29-30 giugno 2105. Di seguito il sito internet della conferenza con le varie informazioni: http://www.beucitizen2015.eu/

218 Per una rassegna esaustiva della cittadinanza nel contesto medievale rimando all’opera monumentale di Pietro Costa, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa. 1 Dalla civiltà comunale al settecento, vol. I, Laterza, Roma-Bari, 1999. Per ciò che riguarda l’accezione civitas, nella mia trattazione mi rifaccio al doppio significato evidenziato da Costa: ‹‹civitas può valere come concetto generale o come termine particolare; può essere sinonimo di populus romanus e indicare l’Impero universale, può riferirsi ad una città determinata, può significare l’organizzazione politica come tale››. Op. cit. , p. 11.

219 Cfr. L. Scuccimarra, Op. Cit. , p. 127: ‹‹Su questo versante si può dire che il punto di svolta decisivo coincida con la grande cesura epocale del XIII secolo, caratterizzata dal punto di vista politico dall’imporsi di forme di governo del territorio – istituzioni comunali in Italia, le monarchie territoriali in Francia e in Inghilterra – ormai sempre più difficilmente riconducibili ai tradizionali equilibri del modello piramidale medievale››.

53 L’unità dell’Impero è temporaneamente assicurata. Ma le categorie dell’universalismo medievale subiscono un profondo e radicale ripensamento; gradualmente viene intrapreso il cammino che condurrà alla costituzione di un potere politico autonomo, unitario e posto al di sopra dell’autorità religiosa.

L’aspirazione a una monarchia universale individua proprio nell’antico modello dell’impero romano il punto di riferimento, capace di stabilire un ordine e di garantire una pace duratura. Intorno al 1310, Dante Alighieri scrive il De monarchia con il deliberato obiettivo di porre le basi teoriche per la costituzione di una “Monarchia temporale”, ovvero di ‹‹un principato unico su tutti gli esseri che vivono nel tempo››220

. Per poter realizzare ciò è necessario che venga posta un’unica autorità al di sopra di tutte, quella del monarca; la pace universale assume il ruolo di valore assoluto che tutto il genere umano deve perseguire.

L’unità del mondo, per Dante, dipende dalla realizzazione della giustizia; e la giustizia può regnare ‹‹sovrana nel mondo solo quando si trova in un soggetto dotato di volontà e di poteri assoluti››221

. L’esercizio di questa autorità risiede nello stabilire le norme comuni e universali, nel porre la regola-guida alla quale tutti i “principi particolari” si devono attenere. In tal modo, la prospettiva cosmopolita di Dante tenta di coniugare la generalità di una regola universale valida per tutti, con la particolarità dei costumi e le caratteristiche specifiche ‹‹delle nazioni, dei regni e delle città››222. Esplicito è il riferimento di Dante al periodo d’oro della “monarchia perfetta” di Augusto, colui il quale pone le basi per l’unità dell’impero e del dominio assoluto del diritto di Roma su l’intera ecumene.

La riflessione di Dante sulla monarchia costituisce una fondamentale cesura, spesso trascurata, fra il contesto medievale e l’avvento di una concezione politica moderna del potere. In essa sono ravvisabili i segni premonitori che anticipano i principi cardine dello Stato. Dante, pur rimanendo ancora legato a una concezione universalistica medievale, capovolge tale visione e individua nell’unità e nella sovranità assoluta del potere temporale la nuova formula capace di porre un rimedio alla lacerazione della vita politica europea. Tale formula, come sostiene Pierre Manent, assume il ruolo di ‹‹sorgente della costruzione dello Stato moderno››223.

220

Cfr. D. Alighieri, De monarchia, Libro I, cap. II. 221 Ivi, Libro I, cap. IX.

222

Ivi, Libro I, cap. XIV. 223

Cfr. P. Manent, Op. Cit. , p. 302. Per una teoria dello Stato in Dante, alla luce delle considerazioni di Hans Kelsen, cfr. F. Riccobono, Interpretazioni kelseniane, Giuffrè Editore, Milano, 1989. Per un’interpretazione del pensiero filosofico politico di Dante rimando in particolare al classico E. H. Kantorowicz, I due corpi del Re. L’idea di regalità nella teologia politica medievale, Einaudi, Torino, 1989; si veda, nello specifico, il cap. VIII, “La regalità antropocentrica: Dante”, pp. 389-425.

54 Dante non solo stabilisce una netta “separazione” fra autorità imperiale e autorità religiosa, ma contribuisce altresì a formulare i contenuti propri dell’Impero, il quale si fonda sulla “legge umana” intesa come il risultato di un intelletto universale e immanente. La separazione contribuisce a determinare una doppia categoria di universali, parimenti legittimi ma avente ognuno i propri fini, fra loro differenti. Si generano due corpi collettivi ‹‹reciprocamente indipendenti››224, quello “umano-imperiale” e quello

“cristiano-papale”; mentre il secondo racchiude in sé “soltanto” la comunità dei cristiani, il primo, richiamandosi alla comune natura intellettuale del genere umano, raccoglie intorno al concetto di humanitas225 l’intera razza umana, retta da un solo monarca.

Quest’ultimo, per Dante, incarna la totalità degli uomini e si presenta come una sola

persona, la quale comprende in sé l’intero corpo collettivo; si tratta, come notava

Kantorowicz, di un’anticipazione dell’immagine del sovrano hobbesiano, seppure non ancora del tutto ‹‹personificato›› ma ‹‹corporificato››.

Per costruire il suo apparato teorico-concettuale Dante attribuisce forza autonoma all’intelletto, scelto come l’elemento fondante del rapporto che lega il monarca, diretta emanazione di Dio, all’intera comunità universale umana. Se l’avvento della cristianità aveva generato la “costruzione” di nuove figure di stranieri – in quanto coloro che non obbedivano alla promessa di fede erano esclusi dalla nuova civiltà, fondata sull’unione tra impero e religione cristiana – Dante tenta di rimuovere questo ulteriore ostacolo proponendo un potere universale che si pone come unico interlocutore fra l’umano e il divino, abbracciando l’intera umanità. L’operazione di Dante, come scrive Kantorowicz, trae dalla Chiesa l’ideale della cristianità e lo secolarizza, sostituendolo con la nozione di ‹‹umanità››226

. Rimane, con ogni dubbio, l’impossibilità di stabilire in che modo e intorno a quale azione specifica si manifesta il senso politico dell’intera umanità227.

Quello di Dante continua ad essere, ad ogni modo, il primo e più importante tentativo di porre una soluzione “pacifica” alla lunga disputa tra i due soli che avevano illuminato, a fasi alterne, la vita dell’Occidente fino a quel momento. Dante attraversa la sua epoca con un volto che guarda al passato: la gloria di Augusto e del popolo romano, la necessità della pace universale, il bisogno di un potere politico che emana direttamente da Dio. Allo stesso tempo, intravede gli elementi che saranno alla base della formula che realizzerà il nuovo ordine politico della modernità.

224 Cfr. E. H. Kantorowicz, cit. p. 398. 225

Sulla doppia accezione del termine humanitas cfr. ancora Kantorowicz alla p. 401: ‹‹Humanitas significava, qualitativamente, il comportamento autenticamente umano; dal punto di vista quantitativo indicava invece l’intera razza umana››.

226

Cfr. E. H. Kantorowicz, cit. p. 232; p. 404. 227

Per dirla con Manent, ‹‹a dispetto di quanto sostiene Dante con molta sicurezza, è difficile concepire che l’umanità costituisce un’effettiva comunità politica››. Cfr. Le metamorfosi della città, cit. p. 417.

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