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La cittadinanza dei modern

VI. La rivoluzione della cittadinanza

4. Cosmopolitismo romantico

Nello sviluppo concettuale dell’universalismo rivoluzionario la Nazione si presenta come quel soggetto in grado di realizzare la storia. Emergono così due nozioni, apparentemente antinomiche ma che nella sostanza si conciliano. Da un lato l’umanità, dall’altro la storia. La società umana, astratta e generale, trova l’immediato riflesso empirico nel concretizzarsi di alcuni caratteri storici.

Più che di una ‘conciliazione’ si tratta di una vero e proprio ‹‹contrappeso››. Per Carl Schmitt il concetto di umanità ha a che fare con ‹‹l’illimitata sregolatezza

364 Cfr. L. Bobbio, Op. Cit. , p. 26. Bobbio definisce il movimento dei diritti come “dialettico”: ‹‹i diritti dell’uomo nascono come diritti naturali universali, si svolgono come diritti positivi particolari per poi trovare la loro piena attuazione come diritti positivi universali››. Op. cit. , p. 24. Sullo stesso tema cfr. anche A. H. Puleo, Los derechos humanos, un legado de la modernidad, in F. Quesada (Ediciόn de), Ciudad y ciudadania. Senderos contemporáneos de la filosofia politica, Trotta, Madrid, 2008, cit. p. 197;

365

Cfr. I. Kant, Se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio, cit. p. 220. Per una riflessione sul Nazionalismo come ‹‹individualismo di gruppo›› rimando ad A. Jellamo, Una nuova filosofia della guerra, in Guerra, Parolechiave 20/21, Donzelli editore, 1999.

366 Sul punto rimando in particolare a B. Fontana, The Napoleonic Empire and the Europe of

Nations, in A. Pagden (Edited by), The Idea of Europe. From Antiquity to the European Union, Cambridge University Press, Cambridge, 2002, cit. p. 120. Su questo punto la medesima lettura è elaborata da Foucault, secondo il quale l’idea di Impero perseguita da Napoleone Bonaparte ‹‹era un modo per ricostituire quel progetto rivoluzionario che aveva fatto irruzione in Francia nel 1792-1793, ma lo riprendeva nell’idea […] di una dominazione imperiale erede delle forme carolinge, o della forma del Sacro Romano Impero››. Cfr. M. Foucault, Nascita della biopolitica, cit. p. 62.

87 rivoluzionaria››, la quale nel distruggere un ordine genera allo stesso tempo la reazione

controrivoluzionaria, ‘frazionando’ la generica comunità umana in ‹‹popoli storicamente

concreti››367

. Già in Rousseau, come si è visto, è emersa questa ambivalenza. Uno sguardo rivolto al passato, al Diritto naturale moderno e all’individuo in quanto essere umano, l’altro rivolto verso l’avvenire, al realizzarsi dell’individuo soltanto all’interno di una volontà generale e ‘nazionale’368; aspetto, questo, che sarà tipico della scuola storica tedesca e che darà forma ‹‹all’idealizzazione romantica dello Stato nazionale››369.

In Francia, con la rivoluzione, la nazione assume una valenza politica; essa definisce l’appartenenza a un gruppo che si mobilita per la realizzazione del bene comune. La nazione diviene quel nucleo primordiale a partire dal quale si definisce la cittadinanza. Di taglio ben differente è lo sviluppo del concetto di nazione in Germania, in cui si assiste proprio ai primi dell’Ottocento a una ‹‹depoliticizzazione›› della nazionalità370.

L’esito di tale processo è determinato da una radicale reazione alla diffusione delle idee rivoluzionarie in Europa, imposte a colpi di baionetta dalla politica imperialista di Napoleone Bonaparte. I diritti dell’uomo e del cittadino si affermavano universalmente per mezzo delle armi e di una politica egemonica.

Si produce, allora, soprattutto in Germania, una spinta reazionaria all’illuminismo. Tale reazione individuava nelll’incapacità dell’illuminismo e dei suoi principi astratti di rispondere alle questioni più salienti per la vita umana: amore, bellezza, emozioni, erano categorie alle quali il razionalismo freddo e distaccato dei Lumi sembrava non serbare alcuna importanza. Il progetto di unificazione e omologazione amministrativa di Napoleone si scontrava con le categorie dello “spirito” (Geist); e sono proprio i romantici tedeschi a sviluppare per primi una discussione intorno ai temi dell’immaginazione e dello spirito, contrapposti alla genericità e “universalità” degli ideali illuministici.

Bisogna che i principi ritrovino la loro più prossima concretezza, che lo spirito si sostanzi nel particolare. Non si tratta di un’assoluta negazione dell’universale; piuttosto il discorso cosmopolitico viene riformulato, appare sotto sembianze diverse. Rovesciando la prospettiva, il particolare viene individuato come il modo più ‘reale’ per la realizzazione e materializzazione dello spirito universale.

367

Cfr. C. Schmitt, Romanticismo politico, trad. It. a cura di C. Galli, Giuffrè, Milano, 1981, cit. p. 98.

368 Sul ‹‹doppio›› sguardo di Rousseau cfr. L. Dumont, Saggi sull’individualismo. Una prospettiva

antropologica sull’ideologia moderna, Adelphi, Milano, 1993, cit. p. 121.

369

Ivi, p. 122.

370 Su questo punto rimando in particolare a R. Brubaker, Cittadinanza e nazionalità in Francia e

88 Il cosmopolitismo acquista in questa fase dei caratteri romantici; soprattutto in Germania viene elaborata questa nuova versione che non si pone come una cesura ma come continuità dell’ideale universale elaborato dall’Illuminismo, un cosmopolitismo che si propone come trasformazione e adattamento dello spirito universale allo svolgersi della Storia. L’ideale cosmopolitico non solo sopravvive nei romantici ma si arricchisce di nuovi elementi371. In Germania la nazione assume una valenza mistica, pre-politica. Lo spirito diviene Volksgeist a partire dal quale è necessario rifondare un nuovo Stato, dopo la tragica sconfitta di Jena del 1806, ad opera delle truppe napoleoniche.

La sconfitta genera la reazione, la necessità di un riscatto morale. Il popolo tedesco deve riscoprire il suo carattere primitivo, originario; i romantici forniscono materiale ‘letterario’ per la ricostruzione del mito tedesco. La rivalsa ha il suo nucleo principalmente in caratteri estetici che ben si adeguano alla formulazione della nazionalità in chiave etnica. Tale elaborazione, però, non sembra esaurirsi in un discorso apologetico della cultura tedesca, ma si spinge oltre. Soprattutto Fichte, diversamente dai romantici e sulla linea tracciata da Kant, propone una rinnovata concezione dello spirito dei Tedeschi. Fichte procede nel tentativo di rigenerare lo spirito dei Tedeschi, affinché questi siano in grado di far da guida morale per tutti gli altri popoli, ne sottolinea gli aspetti culturali specifici: una comunità particolare, storicamente e linguisticamente identificata, costituita da uno spirito di popolo originario e “primitivo”. Sta qui il nucleo dei Discorsi alla

Nazione tedesca, opera concepita proprio sulla scia della sconfitta subita a Jena dalla

Prussia.

Il discorso cosmopolitico in Fichte è presente anche dopo la svolta di Jena, ma rimane forse meno esplicito o maggiormente centrato sullo sviluppo di un ideale Tedesco, incaricato dalla storia a realizzare l’eternità di Dio. Questo ideale è l’impulso che rende possibile la ‹‹convivenza dialettica›› fra comunitarismo e universalismo, fra nazionalismo e cosmopolitismo. Per Fichte Stato e Nazione divengono allora elementi strumentali,

funzionali, ‹‹all’universale dell’emancipazione››372.

La cultura particolare dei Tedeschi, per mezzo della rivalsa e di uno spirito profondamente rinnovato, giunge al proprio compimento nel momento in cui ‹‹tende e osa diventar generale e comprendere tutti gli uomini, senza distinzione››373

. Il popolo sarà il primo a porre in essere tale progetto di emancipazione e di educazione dei popoli, ma

371

Unità spirituale, amore, patria, religione. Su questi aspetti cfr. P. Kleingeld, Kant and Cosmopolitanism, cit. pp. 151-158.

372 Per un’ampia e approfondita rassegna bibliografica sulla filosofia “cosmopolita” di Fichte rimando al saggio di D. Fusaro, Particolarismo e universalismo nei ‹‹Discorsi alla Nazione Tedesca›› di Fichte, in Rivista ‹‹Filosofia politica››, 2/2014, pp. 227-246. Cit. p. 234, p. 233.

373 Cfr. J. G. Fichte (1807), Discorsi alla Nazione tedesca, trad. It. a cura di E. Burich (1927), Edizioni di AR, Padova, 2009, cit. p. 189.

89 non prima di aver risvegliato la propria coscienza e il proprio spirito, non prima di aver colto l’ideale della moralità ‹‹quale non l’ebbero ancor mai gli uomini, per assicurare la medesima nei tempi futuri e per diffonderla a tutti gli altri popoli››374

.

Alla base della riflessione fichtiana si pone, al pari di Kant, il rifiuto di una monarchia universale che annulli le differenze fra i popoli. L’impianto teleologico dei Discorsi rimane sempre rivolto all’universale del genere umano, ma poggia la sua validità sui concetti di autonomia e libertà, i quali possono realizzarsi soltanto a partire dal particolare, dal concetto di Stato chiuso. Sono le idee che Fichte manifesta già nello scritto Lo Stato commerciale chiuso (1800), all’interno del quale muove una critica sostanziale al prodursi di un mercato internazionale, assolutamente non in grado di assicurare alcun progetto di giustizia o eguaglianza fra gli uomini e fra gli Stati – contrariamente a quanto asserivano Montesquieu e Kant. Soltanto mantenendo l’indipendenza e l’autonomia di caiscuno Stato si può realizzare per Fichte l’ideale di una pace fra Stati.

Sta forse qui l’aspetto più paradossale e problematico della dottrina fichtiana. Aspetto risolto solo in parte dal ricorso di Fichte ad alcune formule che tentano di dimostrare come ‹‹la legge suprema del mondo spirituale›› si attui ‹‹soltanto in molteplici gradazioni e negli individui e in quelle individualità grandi e totali che sono i popoli››375. Si tratta, ad ogni modo, di un cosmopolitismo ambiguo, che ricorre alla nazione particolare per realizzare il suo progetto universalista376.

L’affermazione dello spirito morale di una nazione si trasforma però in un’arma a doppio taglio; lascia presupporre una “immoralità” delle altre nazioni, e di certo lascia trasparire quell’idea di elitismo spirituale che è elemento tipico proprio del romanticismo tedesco. Sarà Nietzsche a sottolineare questo aspetto: ‹‹tale presupposizione è però una

inumanità cattiva quanto la guerra, anzi più cattiva: in fondo essa è già incitamento e

causa di guerre poiché, come s’è detto, attribuisce l’immoralità al nemico››377

. 374 Ivi, p. 209. 375 Ivi, pp. 220-221.

376 Una simile impostazione teorica è contenuta nella riflessione del sociologo Emile Durkheim, sviluppata proprio a ridosso del primo conflitto mondiale. Il cosmopolitismo si radica nel particolare, al fine di manifestare l’universale. Su questo tema specifico cfr. M. Pendenza, Durkheim e la guerra. Stato nazionale e universalismo morale, in D. Pacelli (a cura di), Le guerre e i sociologi. Dal primo conflitto totale alle crisi contemporanee, FrancoAngeli, Milano, 2015, pp. 67-79.

377 F. W. Nietzsche (1878), Umano troppo umano. Un libro per spiriti liberi, trad. It. M. Ulivieri, Newton Compton, Roma, 2006, cit. p. 404.

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