Dalla cittadinanza europea alla cittadinanza globale
VIII. La cittadinanza europea
6. Dentro e fuori dal demos
Come si è visto nel quinto capitolo di questo lavoro ciò che sta alla base della cittadinanza universale per Kant è costituito dal diritto cosmopolitico, a sua volta fondato sul diritto di visita che spetta a tutti gli uomini. Il fattore cardine di questo diritto risiede nell’ospitalità: ogni individuo ha il diritto di ‹‹non essere trattato come un nemico a causa del suo arrivo sulla terra di un altro››503. Tale formulazione, seppure sembra fare dei passi indietro rispetto all’impianto universalista kantiano, apre ad una serie di considerazioni.
La prima considerazione riguarda il carattere dell’ospitalità. Essa si rivolge allo straniero, all’altro che esprime la sua differenza attraverso la propria presenza inattesa, imprevista, occasionale. Una presenza che reca con sé l’incertezza delle conseguenze, di una potenziale minaccia o invasione. L’altro, se non viene incorporato secondo la regola dell’inclusione, se non diviene “uno di noi”, allora rischia di esistere come straniero, rischia di venire identificato come il nemico504. In questo processo si sviluppa, da una parte, un dispositivo che allontana, declinando lo straniero come nemico respingendolo oltre la frontiera; dall’altra si produce una tendenza omologante che ha come fine deliberato quello di annullare l’estraneità e tutti i suoi connotati505. L’integrazione nel
corpus dei cittadini, di coloro che appartengono alla comunità, riduce le differenze, tende a eliminarle definitivamente506. L’esclusione invece mantiene l’identificazione dello straniero con il nemico e procede con il respingimento.
La seconda considerazione ha a che fare con il livello di rischio, sempre alto, nella relazione fra ospiti. Infatti, la diversità di cui lo straniero è portatore può sfociare in ostilità, presa di distanza, diffidenza. Questa relazione a rischio non è esente da una possibile conflittualità. Tali eventualità non sono assolutamente prevedibili e appartengono all’ambito della contingenza. Ciò che rischia ulteriormente di compromettere la relazione di ospitalità risiede proprio nell’impossibilità di dare alcuna certezza in merito allo straniero che viene ospitato, e quindi su tutti i rischi connessi a una potenziale minaccia intrinseca.
503
I. Kant, Per la pace perpetua, p. 65. 504
Cfr. B. Giacomini, Inclusione e ospitalità: due grammatiche a confronto, in M. Failla, G. Marramao (a cura di), Civitas augescens. Includere e comparare nell’Europa di oggi, cit. p. 69. 505
Sulla dinamica omologante dell’inclusione cfr. J. Habermas, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, a cura di L. Ceppa, Feltrinelli, Milano, 1998. ‹‹Inclusione››, per Habermas, ‹‹significa che questo ordinamento politico può servire a parificare i discriminati e a coinvolgere gli emarginati, senza con questo rinchiuderli nell’uniformità di una Volksgemeinschaft omogeneizzata››. Op. Cit. , p. 151.
506Sul significato del demos e sulle modalità di definizione cfr. S. Petrucciani, Democrazia, Einaudi, Torino, 2014; si vedano in particolare le pp. 128-132.
120 È il classico dilemma del Re Pelasgo nella tragedia Supplici di Eschilo, così lontana nel tempo ma così drammaticamente vicina alla nostra attualità507. Pelasgo, re ellenico, deve rispondere alla richiesta di asilo da parte delle Danaidi, donne ‘barbare’ ma che chiedono di voler risiedere in terra argiva e diventare cittadine. Il motivo è legato alla loro fuga dall’Egitto, per sfuggire a un matrimonio incestuoso con i propri cugini, che ne rivendicano la proprietà. Le Danaidi si presentano con ramoscelli recisi simbolo del ‘supplice’, sacro agli dei; l’ospitalità non può essere negata senza contravvenire alla volontà di Zeus, più volte richiamata.
Un ‹‹molteplice cimento›› invade il cuore del re, il quale esprime tutta la sua preoccupazione innanzi a una tale responsabilità. Si rivolge così alle supplici: ‹‹a voi non posso recar soccorso senza nocumento ai miei; e per contro, saggio non è le vostre preci disonorare. Sono senza via d’uscita e angoscia mi domina il cuore. Agire? Non agire? Affidarmi al caso?››.
Pelasgo, alla fine, decide di affidarsi alla propria comunità, perché ‹‹spetta al popolo tutto approntar rimedi››, non potendo agire senza il consenso del popolo. Il verdetto è favorevole all’ospitalità grazie proprio al decreto del popolo riunito nell’assemblea dei cittadini. Le donne sono accolte, seppur rimane il rischio della guerra. Il demos si è pronunciato per l’accoglienza, obbedendo a un principio che non è previsto da una legge scritta, anzi violando le regole che servono a ‹‹distinguere e separare chi arriva da fuori e chi sta dentro››508. Pelasgo, rivolgendosi all’araldo egiziano che rivendica le donne come
proprietà, rende esplicito il pronunciamento: ‹‹le cose tutte che tu ascolti non sono scritte su tavole o suggellate fra le volute dei rotoli, ma sono chiari suoni di lingua libera!›› 509.
La libera volontà e determinazione del popolo, dei cittadini, apre all’ospitalità e all’accoglienza di profughi che sfuggono alla violenza. In questo caso il pronunciamento ha avuto un esito positivo, le donne trovano la salvezza. Ma il popolo, che sia riunito in assemblea o più modernamente riveli la sua opinione attraverso la parola dei propri rappresentanti, ha sempre questa saggezza? Cosa direbbe oggi il “demos” europeo in merito all’inarrestabile flusso di profughi che chiedono asilo e protezione dalla violenza?
Ovviamente a questi interrogativi così laceranti e preoccupanti non può bastare la risposta teorica della cittadinanza universale, tanto meno la virtuale sfera protettiva dei diritti umani. La cittadinanza europea, con tutte le sue contraddizioni, appare comunque un punto di arrivo dal quale non si può arretrare. Essa può essere ri-considerata, proprio
507
Sull’attualità della tragedia greca cfr. A. Jellamo, La tragedia Attica come fonte giuridica, in R. Siebert, S. Floriani (a cura di), Andare oltre. La rappresentazione del reale fra letterature e scienze sociali, Pellegrini Editore, Cosenza, 2013, pp. 41-59.
508
B. Giacomini, Op. Cit. , p. 70.
509 Eschilo, Supplici, a cura di G. Paduano, cit. in Il teatro greco. Tragedie, BUR, Milano, 2006, cit. p. 142, p. 156.
121 alla luce di questi fenomeni, e non solo di questi, al fine di poter rappresentare un modello che come base di partenza applichi la protezione e la giusta accoglienza a coloro che non sono cittadini. In fondo, il diritto cosmopolitico di Kant prefigurava come elemento minimo quello di non considerare lo straniero come nemico.
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