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La cittadinanza dei modern

IV. Modernità politica e cittadinanza

5. Un nuovo cosmopolitismo

Il mutamento territoriale non riguardava soltanto lo scenario geografico dell’Europa; la considerazione di Schmitt, secondo il quale ‹‹al principio di ogni grande epoca c’è quindi una grande conquista di terra››255

, si presta a una doppia interpretazione. La scoperta di un “nuovo mondo” al di la dell’Oceano determina proprio nel XVI secolo una radicale trasformazione nell’immaginario collettivo e nella concezione della propria cultura. La terra si configura come un orbis, tanto per riprendere la categoria di una proiezione ecumenica della realtà, divenuta globale. E ancora Schmitt individua in questo scenario la nascita di un determinato modo di pensare, definito come pensare per linee

globali256 , il quale produce una nuova e differente conformazione della coscienza e dello spazio.

Anche un autore come Bodin, classicamente legato allo sviluppo teorico dell’idea statuale, anticipa in un certo senso una visione dei tempi che non rimane legata alla territorialità europea; in una sua opera del 1566, per marcare la differenza tra gli antichi e i moderni, Bodin scrive: ‹‹E mentre essi non seppero uscire dai confini del Mediterraneo, noi ogni anno, navigando, raggiungiamo tutte le parti della terra e trasportiamo colonie, per così dire, fino all’altro mondo, sicché abbiamo aperti i più riposti angoli dell’India, dal che non solo il commercio , che un tempo era in piccolo o non abbastanza divulgato, è diventato intenso e redditizio, ma anche ne vengono incrementate le relazioni degli uomini, che si sentono cittadini di una stessa città, il mondo››257.

L’apertura di nuovi spazi, oltre a favorire i commerci, produce una maggiore intensificazione delle relazioni fra uomini e fra culture differenti; ma lo spazio extra europeo rimane non regolato, uno “spazio senza diritto”. In particolare si pone la questione di produrre un ordinamento in grado di regolamentare sia le guerre e conflitti che si generavano fra concorrenti europei e sia i rapporti commerciali fra gli europei

254 Cfr. C. Schmitt, Op. Cit. , p. 145. 255

Cfr. C. Schmitt, Terra e mare, cit. p. 74. 256

Cfr. C. Schmitt, Il nomos della terra, cit. p. 83.

257 Cfr. J. Bodin, Methodus ad facilem historiarum cognitionem, cit. in L. Scuccimarra, I confini del

61 “conquistatori” e i popoli indigeni. Sulla scorta di queste due necessità si sviluppa il diritto internazionale ‹‹europeo ed eurocentrico››258

.

Fra i principali teorici si annovera Francisco De Vitoria, considerato fra i padri fondatori del “moderno” diritto internazionale. Nella sua opera De Indis recenter inventis

relectio prior del 1539, il monaco domenicano spagnolo realizza una innovativa

concezione del diritto, fondato sulla considerazione della varietà del mondo e sull’unità del genere umano, considerato come una grande famiglia. Molti autori concordano nel sostenere che la necessità di sviluppare una simile teoria è dettata dal ruolo del monaco domenicano; De Vitoria, infatti, essendo spagnolo nonché consigliere di Carlo V, deve poter coniugare la sua rinnovata concezione stoica, fondata sul criterio della socialità naturale dell’uomo, con lo sforzo di legittimare giuridicamente e moralmente l’azione dei

conquistadores spagnoli259. Mettere in evidenza le differenze antropologiche fra indios ed europei diviene quindi il modo attraverso il quale specificare, nell’ambito comunque di una concezione di eguaglianza dettata dal “diritto naturale”, una sostanziale inferiorità costitutiva delle nuove popolazioni. Interviene così un elemento classico a influenzare il funzionamento dei rapporti fra vecchio e nuovo mondo: l’idea di un diritto-dovere di

correctio fraterna, a beneficio degli indigeni, consente ai popoli conquistatori l’uso

legittimo della forza finalizzato alla correzione ed educazione morale e ‹‹per proteggere gli indios dalla ‘tirrannia’ dei loro stessi governanti››260

.

La visione giusnaturalistica di De Vitoria viene quindi utilizzata come strumento finalizzato alle esigenze di conquista, nonostante dalla sua opera emerga con una certa rilevanza un vero e proprio catalogo di diritti, nei quali sono preminenti la libertà di movimento sul globo terrestre e la necessità di stabilire e favorire il naturale processo di comunicazione fra i popoli. Carl Schmitt mette lucidamente in evidenza la “strategia” giuridica di De Vitoria, non si sa quanto voluta, di offrire un maggiore spazio di manovra agli spagnoli, muovendo una guerra “giuridicamente” giusta a coloro che ‹‹si oppongono al diritto di ospitalità e alla libertà di misssione, al liberum commercium e alla libera propaganda››261

.

258

Cfr. C. Schmitt, Il nomos della terra, cit. p. 102. 259

Su questo punto cfr. D. Taranto, voce “Vitoria Francisco de”, in R. Esposito, C. Galli (a cura di), Enciclopedia del pensiero politico. Autori, concetti, dottrine, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 896; più in generale, sulla “giustificazione della conquista territoriale del nuovo mondo”, cfr. ancora C. Schmitt, Il nomos della terra, cit. pp. 104-160; per una sintesi molto efficace ed esaustiva sulla nascita e lo sviluppo del diritto internazionale si veda in particolare G. Gozzi, Diritto internazionale e civiltà occidentale, in G. Gozzi, G. Bongiovanni (a cura di), Popoli e civiltà. Per una storia e filosofia del diritto internazionale, il Mulino, Bologna, 2006, pp. 13-44.

260 Cfr. L. Scuccimarra, Op. Cit. , p. 203. 261

62 De Vitoria mostra in maniera mirabile le modalità attraverso le quali si sviluppa il diritto internazionale europeo, a sua volta determinato dalla frizione fra categorie medievali – ancora ferme su posizioni etico-religiose – e categorie che vanno a mutare di significato con l’avvento della modernità.

A quella del teologo De Vitoria segue la visione giuridico umanista di Alberico Gentili262. Occorre sottolineare che lo sviluppo teorico di Gentili si colloca nell’ambito dell’intima ‹‹connessione che sussiste tra cosmopolitismo, guerra giusta e impero nella fase formativa della teoria internazionale moderna››263

. É facile intravedere il tentativo di legittimazione, sul piano internazionale, di una categoria che appariva oramai nella fase del suo tramonto, l’impero. D’altra parte, il periodo in cui Gentili matura il suo pensiero si pone sulla scia delle formulazioni bodiniane sullo Stato, inteso anche come entità che a sua volta qualifica la guerra.

In maniera non molto dissimile da Dante, il cosmopolitismo di Gentili aggancia l’idea di una riproposizione in chiave globale del modello imperiale romano264. Per fare ciò deve porre, alla stregua del modello ciceroniano ripreso dal De Officiis265, un elemento giustificatorio alla base delle guerre di Roma; la guerra per una ‹‹difesa onesta››, dunque, è quella categoria concettuale che rende possibile su scala globale l’operare delle armi romane, al fine di mantenere la stabilità, tutelare l’ordine della cosmopoli e salvaguardare la ‹‹società umana universale›› da ogni tipo di violazione: ‹‹E così si fa la guerra perché è violato un diritto di natura››266. La novità di questa formulazione sta nel fatto che Gentili fa riferimento a una giustizia cosmopolitica garantita dal ruolo dello Stato, di cui ‹‹il movente imperiale è la molla indispensabile››267

. Lo Stato è il vero attore di una politica di guerra, interprete legittimato a stabilire la ragione che muove la propria potenza; a preludio di ciò che avverrà nel contesto della “guerra dei trent’anni”, Gentili è più che certo che ‹‹non ci può essere una guerra per motivi religiosi››268. L’elemento del religioso

262

‹‹Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, il “paradigma vitoriano” andrò incontro a ben più radicali integrazioni, destinate ad aprire la strada alla più produttiva linea di riflessione postmoderna sull’ordine dell’ecumene globale: quella, per intenderci, coincidente con la fondazione di una dottrina dello ius gentium compiutamente secolarizzata››. Cfr. L. Scuccimarra, Op. Cit. , p. 248.

263

Cfr. D. Panizza, Il ‹‹De Armis Romanis›› di Alberico Gentili: paradigmi imperiali, guerra e la ‹‹moderna cosmopoli››, in ‹‹Filosofia politica››, a. XXV, n. 2, agosto 2011, cit. p. 215.

264

Sull’influenza dei classici nel sistema di pensiero di Gentili cfr. R. Tuck, The Rights of War and Peace: Political Thought and the International Order from Grotius to Kant, Oxford Press University, 1999, pp. 16-40.

265

Non a caso nel testo in latino Cicerone attribuisce ai romani il ruolo di patrocinium orbis terrae, si veda De Officiis, Libro II, 8, 27.

266

A. Gentili, De jure belli libri tres (1612), Libro I, cap. 13, cit. in C. Galli (a cura di), Guerra, Laterza, Roma- Bari, 2004, p. 62

267 Cfr. D. Panizza, Op. Cit. , p. 225. 268

63 sarà sostituito dalla “politica di potenza” dei singoli Stati, in uno scenario mutato e plurale.

Tale scenario prende forma seguendo alcuni criteri, in particolare si sviluppa a partire da un nuovo impulso commerciale ed economico; l’esigenza di regolamentazione dei flussi come degli scambi genera, così, un ‹‹regime protoliberale››269 nel quale la potenza degli Stati è direttamente proporzionale alla loro ricchezza e capacità di espansione economica. Si va affinando in questo modo – seguendo qui la lettura interpretativa di Michel Foucault270– uno ‹‹spazio di concorrenza›› fra una pluralità di attori, i quali svilupperanno una serie di funzioni e tecniche finalizzate al conseguimento di una maggiore potenza.

Si potrebbe intercettare all’interno di questo percorso il progressivo emergere di un “nuovo” paradigma di intelligibilità; alla luce della griglia interpretativa di Foucault, ci si addentra in un contesto in cui ‹‹lo Stato rappresenta dunque uno schema di intelligibilità di un insieme di istituzioni già stabilite e già date››. All’interno di questo paradigma, di questo “nuovo” discorso sullo Stato, acquista una sempre maggiore importanza la capacità di quest’ultimo di operare per ‹‹obiettivi strategici››271

. Come scrive Laura Bazzicalupo, ‹‹il concetto centrale di guerra (che è pure sempre un concetto di scontro vitale) si depotenzia e lascia spazio a quello più duttile di strategia, concetto che rimanda alla razionalizzazione economica e alla ottimizzazione dei costi in vista di uno scopo››272

.