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1 “It's an old big band riff”

2. Un vocabolario per improvvisare

2.1 Cliché e bricolage

Con formula musicale intendo un gruppo di note o effetti sonori adatti ad essere impiegati in un determinato contesto armonico per comporre una frase musicale15. È un frammento pre-composto che risponde innanzitutto a un

particolare set di vincoli musicali. Per esempio, una volta individuati quali sono i presupposti per cui in uno stile musicale si possa parlare di “consonanza”, ovvero quali note stanno bene assieme, è possibile costruire una formula che contenga le note giuste da suonare su un dato accordo. Ogni volta che questo accordo si ripresenta, in luogo di articolare ex novo un altro gruppo di note, il musicista potrà ricorrere alla formula, avendo la garanzia di rispettare le regole di consonanza. Sgravato da questo compito, il musicista ottiene un risparmio di attività cognitiva e, conseguentemente, un risparmio di tempo per la generazione del discorso musicale. E di questo tempo risparmiato si può fare un buon uso, come si vedrà.

Fino a qui la definizione può essere accostata a quella di cliché tipografico. Nella stampa a caratteri mobili, quando si stampa una frase, si devono prendere le lettere separatamente e metterle una per una in una barra scanalata per

14 In jazz, con riff si intende una breve figura ritmico-melodica ripetuta, che può essere usata

come accompagnamento o come semplice melodia. «È una frase musicale di due o quattro battute che viene iterata ossessivamente dal solista o dall’orchestra (ma soprattutto da quest’ultima) per creare una tensione ritmica tutta particolare sia nell’esecutore (o, parallelamente, nell’assieme orchestrale) sia nell’ascoltatore. È un “africanismo” del jazz» (Roncaglia 2006, p.182)

15 Nel gergo jazzistico, propriamente ci si riferisce alla formula con vari nomi (dotati di

sfumature diverse): pattern, pet pattern, lick, trick, crip, cliché...(Berliner 1994, p.102). In Italia spesso si usa il termine pattern, che utilizzerò alternatamente a “formula”, cui assegno però un significato più generale.

comporre la frase. Ma per parole e frasi che ricorrono spesso, il tipografo dispone di barre di lettere già pronte: queste frasi già fatte sono appunto i cliché. L’obiettivo anche qui è quello di risparmiare tempo, e la creazione del repertorio di cliché, in tipografia come altrove, avviene sulla base dell’osservazione delle circostanze che si presentano con maggiore frequenza, quelle per cui è comodo avere pronti dei cliché. Questo perché, oltre un certo numero di unità, il repertorio perderebbe di maneggevolezza e quindi di utilità. Nella musica jazz esiste un particolare cambio armonico, con carattere di cadenza, che si presenta molto di frequente: esso viene chiamato ii-V-I (letto “secondo quinto primo”) ed è costituito dalla successione dei tre accordi costruiti rispettivamente sul secondo, sul quinto e sul primo grado della scala musicale in uso. Ogni buon jazzista dispone di un repertorio di formule adatte ad essere suonate sopra un ii- V-I, tali che le note utilizzate suonino corrette all’interno del contesto armonico e ne fluidifichino il transito. E come nella bottega del tipografo, il tempo a disposizione del solista è scarso e preziosissimo. Di più: ai ritmi elevati cui arriva certo jazz è fisiologicamente impossibile elaborare frasi nota per nota (Pressing 1984)16, per cui il ricorso ad un vocabolario di pattern si rende

assolutamente necessario.

Molti studenti costruiscono il loro vocabolario di cliché isolando delle brevi frasi (che percepiscono come componenti discrete) dalle performance dei loro artisti di riferimento. Durante i momenti di studio e di prova, il musicista più avanzato elabora anche dei cliché originali, selezionando dalle proprie improvvisazioni i frammenti più promettenti, che poi, ripetuti e perfezionati vengono inclusi nel bagaglio mnemonico. Per molti musicisti tale pratica è il vero e proprio centro del loro programma di apprendimento (Berliner 1994, p.101)17.

Ma al di là di casi limite, l’utilizzo delle formule nel jazz va oltre la semplice esigenza “economica”. Quello che potrebbe sembrare un indice di appiattimento, in realtà rappresenta uno dei nuclei creativi dell’attività

16 E a tal proposito, ci si potrebbe chiedere quante delle operazioni cognitive descritte dalla

semiotica o dalla filosofia del linguaggio facciano riferimento implicito ad un soggetto in possesso di tutto il tempo che desidera. Alcune strategie testuali, come presupposizioni, indessicalità, possono risultare inapplicabili in contesti dove il testo scorre velocemente e inappellabilmente.

17 E questa tendenza viene oggi alimentata dalle abbondanti pubblicazioni di pattern già pronti

(“1000 patterns for bebop”, “for blues”...), che ovviamente eliminano il percorso autonomo del musicista.

improvvisativa. Le formule nel jazz si collocano ad un livello semiotico che sta a metà strada tra le singole note e le frasi musicali. Pur non potendole paragonare a “parole” della lingua, esse costituiscono comunque un vocabolario come nelle lingue naturali, ed esiste una combinatoria che permette di legarle in catene sintagmatiche, anche ai ritmi elevati del jazz. L’improvvisazione musicale18

trova nella formula non un ostacolo alla creatività, ma al contrario il giusto mezzo per gestire creativamente l’enunciazione in tempo reale. I cliché concedono “respiro” alla mente del musicista, gli consentono di monitorare la propria attività ad un livello più alto e quindi di potersi permettere costruzioni sintattiche più complesse. Non solo, gli permettono di “rompere il ghiaccio” (cosa che non a caso nella quotidianità si fa con le “frasi fatte”). Di fronte alla tabula rasa che si apre all’inizio di un assolo, la formula è la prima pietra da posare, un aiuto emotivo, intellettuale, perché rappresenta un punto di partenza solido, sicuro, familiare e ricco di possibilità combinatorie. Nei grandi solisti le formule perdono i connotati di sterili automatismi per trasformarsi in materiale creativo. Lavorando sulla formula essi mettono in mostra la capacità di modellare, modificare, di variare il frammento. Abbandonando la formula, mostrano la loro disponibilità a rischiare, a disfare il già sentito, ma che tale deviazione è possibile solo dopo essersi appoggiati a qualcosa di stabile. E dopo un certo numero di ascolti, è possibile accorgersi come lo stesso inventario di formule a cui ogni musicista attinge sia un bagaglio assolutamente personale, uno studio fatto nel tempo che restituisce un’immagine del percorso artistico del musicista. Le formule diventano modalità comunicative, permettono al solista di creare durante la performance una serie di richiami che possono essere colti dagli altri musicisti e dal pubblico. Il suo uso delle formule si tradurrà sì in un gioco combinatorio più o meno brillante, ma anche in un gioco enciclopedico che sfrutta il carico di connotativo presente in ogni formula, per dar voce a richiami culturali, autobiografici, metacomunicativi (a volte persino non intenzionali).

È quindi assolutamente possibile parlare di ricchezza e originalità della performance formulare, nella stessa maniera che suggerisce Claude Levi-Strauss a proposito dei bricoleur nel “pensiero selvaggio” (1964). Come fa notare Davide Sparti (2005), quando si fa riferimento al bricolage intertestuale

18 Ogni tipo di improvvisazione fa un diverso ricorso alle formule, così come le varie correnti

jazzistiche vi ricorrono in maniera diversa, qui cerchiamo di mantenere un approccio generico che mantiene come riferimento centrale il jazz mainstream di derivazione bop.

dell’improvvisatore, è più importante guardare alla resourcefullness, all’ingegnosità del musicista, che non alle resources in sé, ed è proprio nel caso estremo di una notevole scarsità di risorse che l’originalità dell’artista può palesarsi nella maniera più stupefacente.