• Non ci sono risultati.

1 “It's an old big band riff”

3. Ruolo della formula nell’improvvisazione jazz

3.1 Gli studi sull’epica orale

Vi è una notevole similarità tra il concetto di formula musicale e quello di formula proposto da Milman Parry e Alfred Lord nei loro studi sull’epica orale. Secondo Parry, la composizione di un poema epico di tradizione orale (come ad esempio L’Iliade) verte innanzitutto sulla costruzione di versi ed emistichi tramite l’uso di formule o espressioni formulari, e l’organizzazione di interi canti mediante l’utilizzo di grandi unità tematiche. In questo caso la formula è sostanzialmente un gruppo di parole regolarmente usato all’interno delle stesse condizioni metriche per esprimere una data idea essenziale (Parry 1928, Lord 1960, Ong 1982).

Nella tradizione dell’epica orale slava, studiata da Parry e seguaci, il dispositivo della formula si presta a spiegare le tecniche di memorizzazione di poemi di migliaia di versi, ma soprattutto la capacità dei cantori di improvvisare versioni differenti di uno stesso poema in base alle circostanze in cui si trovano ad esibirsi. Il carattere itinerante di tali artisti, infatti, fa sì che essi debbano essere pronti ad affrontare i più disparati uditori. L’elasticità che devono offrire è tale che la loro performance possa essere modificata da spettatori ritardatari che vogliono un riepilogo di quello che si sono persi o da claque accanite che vogliono far allungare il più possibile il loro passo preferito. Tutte queste

variazioni estemporanee debbono avvenire rigorosamente in metrica e con il giusto registro.

Il poeta orale, secondo gli studi di Lord, acquisisce ben presto il senso del ritmo proprio dell'epica slava, basato generalmente su un verso di dieci sillabe con una cesura dopo la quarta. La regola tassativa è che il poema segua in ogni momento questa metrica. In una fase più avanzata dell’apprendimento, il cantore impara un vocabolario di formule. In questo caso, la formule sono frasi sviluppate da altri cantori del passato che esprimono, in diverse combinazioni ritmiche, le immagini maggiormente ricorrenti in epica. L'apprendimento avviene attraverso l'uso ripetuto di queste formule già dalle prime performance, soprattutto affrontando ripetutamente l'esigenza di esprimere una particolare idea e assestandosi infine sulla giusta combinazione che soddisfi tale esigenza. A quel punto, secondo Lord, la formula è entrata a fare parte del "pensiero poetico" del cantore. Va notato che, in realtà, le fasi dell'apprendistato, dell'esibizione e della composizione stessa sono sempre coesistenti e contemporanee. Le esibizioni pubbliche dei cantori sono sì momenti di performance artistica di fronte a un pubblico, ma valgono anche come momenti didattici per gli osservatori partecipanti (gli apprendisti), e possibilmente come momenti di creazione di nuovo materiale per le future generazioni di cantori. Secondo Lord, il processo può essere affiancato a quello di un bambino che sta imparando a parlare tramite la semplice socializzazione in mezzo ad adulti già padroni della lingua. L’assenza di un preciso programma di studio si lega all’assenza di un pensiero auto-riflessivo: non vi è cognizione di aver studiato "questa" o "quella" formula, ma piuttosto una costante assimilazione inconscia tramite imitazione, ascolto ed esercizio. Non a caso, anche i poeti orali più esperti non dispongono di un metalinguaggio per descrivere meccanismi e fasi dell’apprendimento. O gli stessi concetti del teorico alfabetizzato come "forma", "struttura" (o anche semplicemente "esatto numero di parole"), non trovano riscontro la forma mentis dell'artista orale (Ong 1982). Studiando il sistema della formule si studia la vera e propria grammatica della improvvisazione orale, una grammatica che viene sovrapposta a quella della lingua naturale utilizzata. Le formule sono le parole di questa grammatica specializzata (tant’è vero che i cantori spesso usano la parola “parola” con il significato “frase”), e l'improvvisatore "madrelingua" si muove in essa con la stessa naturalezza di cui dispone per quanto concerne la normale conversazione (Lord 1960, p. 36).

Come nel jazz, anche nell’epica orale l’espressione formulare è alla base di una pratica improvvisativa dove non esiste un programma d’azione pre- composto e dove le circostanze d’azione non sono completamente prevedibili. Alla base della competenza per questa pratica vi è una trasmissione del sapere di tipo non scolastico, ma basato sull’apprendistato, sull’osservazione partecipante e sull’assimilazione, senza che vi sia un’esplicita rappresentazione dei concetti imparati.

Nel jazz esiste un parallelo dello schema metrico con cui gli aedi si confrontano: è la struttura a chorus. Così come la metrica impone una determinata successione di accenti per ogni verso, la struttura a chorus è uno schema che si reitera e impone al suo interno una determinata successione di accordi. Non si può improvvisare fuori dal verso decasillabo così come non si può improvvisare fuori dal chorus di 32 battute di un rhythm changes19. E per

tale ragione anche l’improvvisatore jazz deve sviluppare un “pensiero poetico” che gli permetta di agire utilizzando elementi (le formule) che sono già compatibili con la struttura sottostante. Il sapere a disposizione, è un sapere che, in parte, si dispone già da sé.

Inoltre, nel jazz è sempre esistita la modalità di apprendistato che Lord e Parry ravvedono negli improvvisatori epici. Paul Berliner, in più parti del suo Thinking in jazz, non manca di evidenziare il carattere costantemente composito della crescita musicale di un jazzista: il concerto jazzistico è il luogo in cui si esercita l’esibizione di un sapere, la sua trasmissione e la sua evoluzione. Mentre il vecchio maestro sul palco dà prova della propria arte, c’è chi sta seduto tra il pubblico e scopre un nuovo pattern da sperimentare, c’è chi sta più vicino e spera in un’opportunità di una jam finale, e c’è forse chi suonerà il giorno dopo in un altro locale e prende nota di quello che c’è di nuovo (se c’è), lo valuta, decide di sperimentarlo.