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Errori, vicoli ciechi e splendide vie di fuga

2.3 “Referenti” e “concetti”: testo e lingua?

3. Azioni e istruzion

3.4 Errori, vicoli ciechi e splendide vie di fuga

Come definire l’errore nel caso dell’attuazione di una pratica? Il caso informatico sarebbe quello dell’istruzione intrinsecamente incorretta: l’elaboratore segue puntualmente tutte le istruzioni finché un vizio in esse contenuto non lo pone in contraddizione o gli impedisce di proseguire. Sono i cosiddetti bugs del programma. Sono bugs anche le istruzioni incomplete: per quanto sia normale farlo nelle pratiche umane, non si può dire a un computer “quanto basta” (a meno che non si sia definito all’interno del software che “quanto basta” significhi, poniamo, <100).

Nel caso di un esecutore umano invece l’errore può essere dovuto alla cattiva esecuzione di un’istruzione. Nel caso di una diversa attuazione di una delle istruzioni dell’esempio di Levi l’errore potrebbe constare semplicemente in una cattiva lettura della bilancia. Dovevano essere 200 grammi e invece abbiamo preso un pezzo da 100 grammi. Errore marchiano. Sarebbe diverso se invece l’errore consistesse nel dosaggio del solvente (che nel testo va usato fino ad ottenere una viscosità “adatta”). Se non si possiede un’entrata enciclopedica specifica (chimici o esperti di colle, che magari conoscono anche l’unità di misura della viscosità e conoscono il valore da misurare), non è possibile eseguire quest’istruzione con esattezza. Si dovrà andare a cercare una risposta in repertori simili. Potremmo risalire a quella volta che abbiamo diluito un intonaco, o ad altre esperienze con liquidi viscosi (ritrovati in cucina, ad esempio). Ad ogni modo le realizzazioni potranno variare, e la responsabilità dell’esecutore sarà quella di aver scelto un metro di paragone non attagliato. Il ragionamento abduttivo, secondo Peirce, funziona proprio così.

Nel caso musicale, possiamo prendere ad esempio l’interprete di musica colta. Le sue tipologie di errore possono essere simili. La nota scritta era un fa e invece abbiamo suonato un sol. Errore irrecuperabile, e secondo un’estetica goodmaniana, anche se avessimo suonato tutte le altre note del brano perfettamente, non potremmo nemmeno dire di aver suonato quel brano, perché quel minimo errore elimina la nostra interpretazione dalla classe delle esecuzioni di quel brano. Invece, anche qui, l’errore è diverso se, per esempio, fosse relativo all’esecuzione di una notazione di dinamica. Nella partitura i segni di dinamica sono di tipo analogico: due righe divergenti tracciate sopra alcune battute vogliono significare che, con l’allargarsi della divergenza tra le due righe, deve aumentare l’intensità di esecuzione nel corso delle battute. Qui non esiste un’entrata enciclopedica specifica, e non è possibile eseguire l’istruzione letteralmente. L’interprete dovrà scegliere se crescere linearmente o magari lasciare una brusca impennata solo nella frase conclusiva, e ovviamente dovrà decidere quanto forte sarà il picco massimo del crescendo. La risposta qui va cercata, similarmente, nel repertorio, o nel cosiddetto canone. Bisognerà conoscere un certo numero di interpretazioni di quel brano (o di passi simili di altri brani) e stabilire entro quale intorno si spostano le esecuzioni. Per fare un esempio, ogni periodo storico ha il suo canone per interpretare, poniamo, una sonata romantica. Gli stessi segni di dinamica potevano essere interpretati con variazioni di dinamica molto accentuate oppure, come si usa da fine secolo, con un movimento più controllato. Ovviamente va valutata anche la coerenza all’interno del brano, come i rapporti relativi tra i vari picchi di volume o la compatibilità nelle interpretazioni di passaggi simili. La responsabilità dell’esecutore è di non strafare dove sarebbe indicato contenersi. Ma è facile intuire che è proprio su questo terreno che il passaggio dall’errore alla creatività può avvenire senza soluzioni di continuità.

Ora, se sono vere le ipotesi del “modello lasco” e della “competenza incompleta”, definire l’errore nel caso di una pratica basata sull’improvvisazione potrebbe rivelarsi inaspettatamente complicato. Già insospettiti da aforismi come quello, attribuito a Miles Davis, che recita: «Don’t fear mistakes. There are none», i jazzisti alle prime armi si trovano in un limbo un po’ disorientante dove “non esistono errori” ma non è affatto vero che vada bene una qualunque nota.

Un aneddoto interessante viene riportato da Duranti nel resoconto del suo seminario sull’estetica jazz (Duranti e Burrell 2005). Uno dei nodi chiave del

corso di Duranti è quello di analizzare l'attività esplorativa che i musicisti fanno all'interno del corpus di brani. Un brano della tradizione (chiamato spesso standard), suonato e risuonato da diversi musicisti in diverse epoche, può sempre offrire, tra le sue pieghe, una diversa prospettiva, un diverso indizio per una rilettura, uno sviluppo in chiave personale. A questo proposito il pianista Gerald Wiggins, ospite al seminario, spiegava in classe:

This particular tune [Body and Soul]... I played it a million times. And it’s always different. I don’t care how many times you play a song, you findsomething else to do with it. Sometimes it’s good. Sometimes it’s... not so good. [...] ...you hope for the good times most of the time... with me I’ve been pretty lucky. I (don’t have) too many clams. ...a “clam” is a ...mistake that you would like to cover up.

L'aspetto interessante è il riferimento agli errori, ai clams, e alla necessità di rimediarvi (cover up) per la buona riuscita del pezzo. È il caso di chiedersi che tipo di errori possono capitare e, in un secondo tempo, quali sono le strategie per rimediarvi. Duranti infatti chiede a Wiggins di «dare un esempio di un clam». Sulle prime Wiggins rimane perplesso, la richiesta sembra coglierlo in contropiede. Addirittura un'altro musicista ospite, Larry Ferguson, interviene dicendo «ma lui non sa come fare». Ci vuole l'intervento di Kenny Burrell (co- docente con Duranti ed egli stesso musicista jazz professionista) per convincere Wiggins ad intraprendere questo strano esperimento. Wiggins sceglie di sbagliare eseguendo la parte iniziale di Body and Soul inserendo alcuni accordi che suonano chiaramente discordanti, o comunque lontani dagli accordi originali. Arrivato alla terza misura, è Burrell a dichiarare l'ultimo accordo un clam a tutti gli effetti. Ma non tutti sono d'accordo. Dopo un breve dibatto, un terzo ospite, il sassofonista Jim Clayton, interviene così:

Clayton;you know what? I can’t accept that.

Ferguson;you know, me //either.

Clayton; and you know- you know why? because we musicians- we jazz musicians we stand in the corner hoping that we can minimize the clams.

Burrell;‘ha! right. Ferguson;right.

Clayton; and we play and we play and we play and we paint ourselves ... in and out of corners all the time, and so what I just heard from what Gerald was playing, was ... I heard him paint himself into a harmonic corner, Burrell;((laughs)) haha.

Clayton;and then manage to get out. Burrell;((laughs)) haha.

Clayton;because there was- there was tension, and there was release. Burrell; mhmh.

Clayton; so, I just thought it was just something else beautiful, he meant to go there.

«There was tension»: ecco quindi tornare l'idea della tensione, come regola generale, non localizzata e non specifica. La capacità di far seguire ad una tensione un rilascio è una competenza base attraverso la quale è possibile infrangere le regole e costruirne di nuove localmente. La nota x non è considerata corretta se suonata sopra l’accordo y? Benissimo, ma se l’improvvisatore la include in un gesto più ampio, in cui la tensione che nasce dalla dissonanza viene risolta in maniera sensata, allora x può essere suonata sopra y. E “he meant to go there”: ritorna anche l’idea dell’indessicalità. La nota dissonante, se suonata all’interno di un gesto coerente, è un indice che rinvia all’improvvisatore, verso la sua situazione esistenziale. Sentiamo la nota e pensiamo che la cose si stanno mettendo male, che l’improvvisatore sta rischiando o che vuole tentare qualcosa di nuovo. E al termine del passaggio, emerge la validità prasseologica, una validità che garantisce una coerenza delle azioni secondo una logica ricostruibile a posteriori.