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Calcoli impossibili e logica formulare.

4. Lo spazio del testo

Non è un caso che la metafora degli scacchi abbia circolato abbondantemente tra i testi fondanti della semiotica già dagli albori. La “rete di relazioni” alla base dell’epistemologia strutturalista è ben resa dalla posizione dei pezzi sulla scacchiera, ma in questo caso è la formalizzazione della “mossa” e del “turno” a interessare. L’alternanza delle mosse si presta ad essere imbracciata da una semiotica fondata su una filosofia dell’atto più che dell’azione. Negli scacchi così come in semiotica, una mossa è un agire che fa essere, base evenemenziale di un processo che si sviluppa per stati discreti (o cambiamenti di stato, nella

terminologia greimasiana) e lascia all’osservatore delle soste in cui è possibile esaminare il campo con cura e prepararsi alla prossima fase. Il modello delle mosse e dei turni può quindi portare con sé un’eredità filosofica precisa, quella di un tempo spazializzato e sostanzialmente astratto. A tale modello, che verrà esplorato nel prossimo capitolo, si collega coerentemente una concezione di strategia basata sul calcolo e l’inferenza.

4.1 Macchine per significare

La semiotica interpretativa ci ha abituato a descrivere l’interpretazione fondamentalmente come un atto di “cooperazione”. L’attività inferenziale volta alla ricostruzione del significato pare inizialmente poggiare sulle spalle del destinatario, che coopera attivando sceneggiature e riferimenti enciclopedici in grado di colmare tutti i vuoti che la macchina testuale non riesce a coprire. Ma è presto scoperto che non si tratta tanto di ricostruire “il messaggio dell’emittente”, ma quanto effettivamente di produrre significato, secondo un’operazione ogni volta creativa frutto di un’interazione strategica. Nella semiotica di Umberto Eco, il testo è

«intessuto di spazi bianchi, di interstizi da riempire, e chi lo ha emesso prevedeva che essi fossero riempiti, e li ha lasciati bianchi per due ragioni. Anzitutto perché il testo è un meccanismo pigro (o economico) che vive sul plusvalore di senso introdottovi dal destinatario […]. In secondo luogo perché, via via che passa dalla funzione didascalica a quella estetica, un testo vuole lasciare al lettore l’iniziativa interpretativa […]. Un testo vuole che qualcuno lo aiuti a funzionare» (Eco 1979, p.52).

Il testo è quindi, in un certo senso, un luogo dove si situa un’opposizione. Chi ha creato il testo ha sostanzialmente agito secondo una strategia manipolatoria volta a far compiere a chi legge una serie di operazioni cognitive, gestendo le sue mosse in un’interazione fittizia con un lettore modello da lui ipotizzato, prevedendo e gestendo le sue inferenze, pilotandolo in quella o quelle che a suo parere sono le associazioni opportune. Dal canto suo, il lettore farà poi un’operazione simmetrica e aprirà o meno porzioni di enciclopedia in base ad inferenze. La posta in gioco di queste strategie è idealmente, come nel caso degli scacchi, di produrre la migliore esperienza testuale possibile. Ma le strategie dell’autore possono essere volontariamente disorientanti: è il caso di molti

esempi riportati da Eco. Parimenti le strategie del lettore possono virare verso l’uso del testo, in barba alle previsioni e proiezioni dell’autore.

Tornando alla terminologia di De Certau, Eco dice bene strategie, perché a ben guardare, il testo come supporto formale e materiale fonda lo spazio su cui si articolano le mosse degli attori. Se c’è adattamento o riformulazione delle ipotesi, essi si danno all’interno di un territorio piuttosto stabile, appunto la tessitura del testo, che fonda il piano immanente dello scontro tra strategie. Ma nella stessa teoria echiana esiste uno snodo che ricorda lo straforo di De Certeau, ed è la pratica dell’uso testuale. Sorta di degradazione dell’interpretazione, l’uso si colloca oltre un limite virtuale: oltre il tale segno non si parla più di interpretazione (fantasiosa, deviante, ecc..), ma di uso.

4.2 Passeggiate e calcoli

La nozione di strategia ha sempre avuto un suo spazio anche all’interno della semiotica greimasiana, anche se con un ruolo non precisato, messa in ombra dalla più funzionale nozione di programmazione. Da quanto si desume dal Dizionario (Greimas e Courtes 1979), la strategia non sarebbe che l’istanza di gestione di programmi narrativi complessi, con collocazione non ancora definita, che lascia il termine ad un uso non completamente definito, e quindi libero. La nozione è riemersa con maggiori specificazioni negli anni ’90, all’interno del campo d’analisi sociosemiotico. Tramite la conversione dell’esperienza pratica in una forma di testualità compatibile con lo sguardo semiotico e della situazione comunicativa come “scenario attanzializzato”, i nuovi attori sembravano richiedere sempre di più una descrizione strategica più che meramente programmata. In Floch (1990) i comportamenti urbani riflettono strategie profonde («strategie della continuità» e della «discontinuità») che informano programmi narrativi più specifici (l’esploratore, il professionista, il bighellone, il sonnambulo). Nel 1989 Eric Landowski aveva proposto alcune ipotesi di sistemazione del campo, chiedendosi innanzitutto se la parola “strategia” designi davvero un concetto, e soprattutto se esso sia uno solo. Sicuramente si tratta di capire cosa è avvenuto nel passaggio dall’uso militare a quello contrattuale che stiamo utilizzando ora. Dopodiché, la prima partizione appare già familiare: vi è chiaramente differenza «tra qualcosa che può essere eventualmente riconosciuto come percorso strategico e qualcosa che, al contrario, non può essere chiamato che una semplice “passeggiata”» (ibidem). Passeggiare, per Landowski, è vagabondare

lasciandosi condurre e guidare dai fattori casuali incontrati sul terreno mano a mano che lo si scopre, quando invece il soggetto dotato di competenza strategica punta fin dalla partenza a un obiettivo e organizza il suo avvicinamento in funzione delle conoscenze di cui dispone. L’aspetto significativo, nella trattazione, è che Landowski sceglie come metodologia d’analisi quella di abbandonarsi ad una «passeggiata lessicale» per avvicinare gradualmente l’oggetto, la strategia, la quale poi diviene il centro delle argomentazioni. Le “passeggiate”, pur ammissibili come tattiche operative, non arrivano cioè al livello della teoria. D’altronde, una volta stabilito che si tenterà di dare un modello strategico attraverso la nozione semiotica di attante, risulta chiaro che l’intento è dispiegare il sistema di una razionalità strategica. Per quanto concerne la partita a scacchi, «l’anti-attante si presenta come un materiale malleabile sulla base di determinate regolarità di comportamento, la cui conoscenza definisce la competenza operazionale dello stratega nella misura stessa in cui esse modellano adeguatamente la competenza pragmatica della partita da manovrare» (1989, p.231). La compatibilità con il modello di De Certeau, fin qui rassicurante, si infrange sulla nozione Landowskiana di tattica.

Si diano due attanti qualsiasi, S1 e S2, il primo che cerchi per ipotesi di influenzare l’azione del secondo. Per S1 si possono considerare due tipi di interventi nettamente distinti in termini di grammatica narrativa secondo lo statuto sintattico attribuito a S2. In un primo caso, l’anti-attante S2 è il semplice esecutore di un programma virtuale, parziale o globale, predeterminato sotto forma di regole o leggi. In questo caso non si esce dal tipo di configurazioni esaminate in precedenza, e per scatenare, o al contrario ritardare, o addirittura escludere il “passaggio all’azione” di S2, sarà sufficiente a S2 organizzare o al contrario evitare le condizioni di attualizzazione del programma considerato. Ne consegue questa definizione semiotica che proporremo per la tattica: una scienza delle manovre attualizzanti. (Landowski 1989, p.232)

Ecco quindi la differenza fondante: se la tattica è attualizzante, la strategia opera al livello della virtualizzazione dei programmi narrativi, manipolando la competenza decisionale, ovvero cognitiva, dell’anti-soggetto. Due scacchisti possono scambiarsi dei “colpi” bloccando o avviando degli automatismi conformi alla tecnologia del gioco, ma nello stesso tempo, dato che i giocatori sono soggetti che si osservano e si “sentono”, tutti i colpi scambiati avranno per di più immediato valore di discorso, poiché gli effetti di senso sul piano strategico si sovrappongono agli effetti di choc ottenuti tatticamente sul terreno.

4.3 Scene instabili

Di strategie si è parlato in sociosemiotica, ma più recentemente il termine è stato incluso in un modello generale per l’analisi semiotica proposto da Jacques Fontanille. I tre livelli impliciti nella discussione appena accennata della teoria echiana (quello del testo, quello delle pratiche interpretative e dell’esperienza testuale) vengono radunati e incassati assieme ad altri in una gerarchia di livelli di analisi volta a rinnovare lo statuto dell’oggetto (degli oggetti) della semiotica, senza rinunciare ai principi fondativi. Nella fattispecie, il tentativo di Fontanille è quello di fare salvo il principio dell’immanenza del senso, restrizione «di grande potenza retorica» che pone le condizioni di qualsiasi analisi con ambizioni modellizzanti, distinguendo il principio in sé dalla determinazione dei suoi limiti. Questi limiti, provvisori e arbitrari, erano stati a suo tempo fissati al testo-enunciato, ma non è affatto detto che per il semiologo contemporaneo, che prova a misurarsi con oggetti, pratiche e forme di vita, il principio di immanenza non rimanga applicabile rigorosamente, a patto di discutere la specificità e la pertinenza di questi nuovi piani di immanenza. Nello sguardo teorico di Fontanille le semiotiche-oggetto si articolano in una gerarchia che parte dal vecchio segno, passa per il testo (cioè testo-enunciato) e si apre ad oggetti e pratiche, fino ad arrivare alle forme di vita e alle culture nella loro globalità. L’interpretazione diviene così una pratica che si avvia su di un testo, dotato di un supporto materiale che diventa oggetto all’interno di una situazione semiotica. E questa concezione di situazione semiotica «configurazione eterogenea che raccoglie tutti gli elementi necessari alla produzione e all’interpretazione della significazione di un’interazione sociale» (Fontanille 2004, p.7) diviene quindi la nuova frontiera epistemologica da risolvere attraverso un processo di risoluzione delle eterogeneità. Le prime categorie messe in gioco da Fontanille sono quella di scena e strategia: la scena è colta a partire dal reperimento di «dispositivi enunciazionali stabili (testi interni e oggetti in particolare)», la strategia a partire dall’adattamento delle diverse enunciazioni nel tempo. Il ruolo piuttosto stabile dell’oggetto-libro pone quindi la pratica interpretativa all’interno di una dimensione scenica, mentre una conversazione casuale, in cui ogni singola enunciazione rimette potenzialmente in gioco ogni valore, si coglie attraverso la dimensione strategica.

4.4 Moltiplicazione delle strategie, cristallizzazione

Lo slot lasciato aperto nel modello fontanilliano è interessante: come reagisce questa dimensione strategica, ancora non concettualizzata, con le considerazioni fin qui fatte, soprattutto in merito alle tattiche di De Certeau? Innanzitutto va notato il terreno sdrucciolevole in cui il concetto dinamico di strategia va a collocarsi. Le situazioni semiotiche di Fontanille convertono l’esperienza pratica in uno «scenario attanzializzato dove i ruoli enunciazionali sono giocati da testi, elementi ambientali, ecc..[…] I principi metodologici del testualismo vengono proiettati sugli scenari sociosemiotici e il principio di immanenza può essere salvaguardato». Ma, come commenta Pierluigi Basso (2006, p.223), «con la situazione-strategia […] cambia completamente il punto di vista teorico, la configurazione di uno scenario figurativo diviene congiunturalmente, per via di un’assunzione, il problema da gestire da parte di un soggetto che deve adattarsi, coordinarsi rispetto alla concomitanza/successione di scene e pratiche». Ma tale cambiamento di prospettiva viene «deproblematizzato teoricamente dalla cristallizzazione delle scene-strategia: essa è prevedibile e lavorabile pragmaticamente secondo prassi o procedure». L’adattamento postulato da queste situazioni-strategia va sviluppato e portato fino alle sue conseguenze. La pratica dell’improvvisazione pone il destro per alcune linee di ricerca legate ad un pensiero tattico più che ad un pensiero strategico.