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4 “Don’t write the script in your head!”

5. Generazione ed emergenza

5.1 Frame e rappresentazione interna

Secondo Sawyer, il concetto chiave alla base di questo tipo di processi è l’emergenza collaborativa. È George Herbert Mead a introdurre in filosofia il concetto di emergente (emergent), come paradigma di regole che definisce ed è definito da ciò che sta succedendo nella performance (per dirla con Bourdieu, «struttura strutturata che funziona da struttura strutturante», 1972). Quando l’emergenza si manifesta, è come se seguisse sempre dal precedente, ma prima che si manifesti essa non segue per definizione dal precedente (Mead 1932, p. 2). Nel caso di una performance musicale, l’improvvisatore, sottoposto ai limiti dell’emergente creato collettivamente, produce un’azione dotata di implicazioni indessicali48; i suoi interlocutori, attraverso le loro risposte nelle azioni

successive, collettivamente determinano in che misura quest’atto vada a far parte dell’emergente; il nuovo emergente quindi sottopone a vincoli la successiva azione. Il nuovo tipo di testo “dinamico” che si prospetta non è mai un oggetto finito, chiuso, bensì uno spazio di lavoro che vive unicamente nel corso dell’improvvisazione. All’interno di questo nuovo testo, l’autorità del sistema linguistico comunitario, la grammatica, subisce concorrenza dall’instaurarsi delle nuove regole collettivamente e contestualmente determinate (secondo i meccanismi di “poetica pragmatica”, cfr. Silverstein 1984). All’interno di un dialogo ben funzionante tra musicisti, l’emergenza conduce alla definizione di nuovi topic, di nuovi punti di riferimento, nei quali valutare, di volta in volta l’appropriatezza di un enunciato. Come nota Sawyer, in sociologia la scelta di una posizione teorica relativa a quest’appropriatezza costituisce uno spartiacque epistemologico: nella valutazione interviene il frame o piuttosto l’iniziativa individuale? Infatti, i grandi mutamenti di paradigma della sociologia degli anni ‘60, che riportano l’attenzione della disciplina sull’individuo e sul suo arbitrio, nascono come reazione ai grandi modelli strutturalisti, come il funzionalismo di Parsons o l’etnografia Lévi-Straussiana, che invece indagavano il comportamento in quanto condizionato dalle strutture sociali. Riconoscendo il pericolo di una struttura troppo forte, discipline come l’etnometodologia (fondata da Harold Garfinkel), l’analisi della conversazione

(avviata da Harvey Sacks, Emmanuel Schegloff e Gail Jefferson), l’interazionismo simbolico (Blumer) e la moderna antropologia del linguaggio (Duranti, Goodwin), si sono concentrate di nuovo sull’individuo, secondo l’asserto che è la creatività degli attori a definire la situazione comunicativa e i vincoli sociali, e non viceversa. Per l’interazionismo simbolico, il senso di un dialogo sta tutto nelle intepretazioni dimostrabili di una frase. Per l’analisi della conversazione non ha senso parlare di contesto esterno alla conversazione (variabili come condizioni sociali, sesso), essi esistono solo nella misura in cui prendono parte allo scambio conversazionale.

5.2 Intenzionalità e testo

Al netto della diversità di approcci di queste varie discipline, anche la semiotica contemporanea adotta un approccio interpretivist, in cui la descrizione di una conversazione avviene a partire dalle azioni degli attori che la animano. Un nodo cruciale in tutto ciò è costituito dall’approccio analitico alle “rappresentazioni interne” degli attori: qual è, se esiste, il contenuto informativo di partenza? In uno scarno modello informazionale, la comunicazione da A a B cerca per lo più di limitare i danni, ovviando a problemi di codice, di rumore, di sincronia, ma in sostanza è volta semplicemente a ricostruire il più fedelmente possibile il messaggio di A, che rimane come dato incontrovertibile. In filosofia analitica, questa attività investigativa di ricostruzione del messaggio di A è il punto di partenza per le complesse teorie delle implicature conversazionali. Grice ha un’esplicita teoria dell’intenzionalità, sulla base dell’assunzione che ogni parlante abbia un’intenzione anteriore alla sua performance di enunciazione, e che il destinatario deve interpretare questa intenzione tramite un lavoro investigativo (Levinson 1983, Cosenza 2004). Ma se la ricostruzione dell’intenzionalità è terreno friabile in qualunque analisi della conversazione, essa diviene un non sequitur se chiamata in causa (implicitamente o meno) per lo studio delle pratiche improvvisate. Come adeguare un’intenzionalità comunicativa, un modello di “rappresentazioni interne”, ad un contesto come quello radicale illustrato all’inizio del capitolo? E, in secondo luogo, stiamo ancora parlando di intenzionalità nel caso di condotte d’azione inscritte direttamente nelle tecniche del corpo, non più coscientemente auto- rappresentate, né a volte ricostruibili in seconda battuta dagli stessi attori? «Per render conto della comunicazione in quanto atto si introduce generalmente il concetto di intenzione, che è incaricato di motivarla e di giustificarla. Questa

nozione ci appare criticabile nella misura in cui la comunicazione è allora considerata come un atto volontario - il che certamente non è sempre -, o come un atto cosciente - il che deriva da una concezione psicologica dell’uomo un po’ troppo semplicistica». Così ci viene incontro Greimas nel Dizionario (Greimas e Courtés, 1979), ma il problema di tale approccio rimane quello, già evidenziato, di un’impostazione troppo testualista. Operando all’interno di pratiche testualizzate, quindi depositate, possiamo compiere il percorso a ritroso per ricostruire la generazione del senso. Ma trovandoci nelle media res della pratica, nel tentativo di rendere conto di quello che sta succedendo, non dobbiamo più parlare di generazione in senso greimasiano, ma di “genesi” tramite la metafora dell’emergenza. L’emergenza modifica innanzitutto il problema del ritaglio: come sollevato nel primo capitolo di questo lavoro, la pratica è una configurazione non completamente descrivibile tramite la ricostruzione di un processo a partire da un prodotto. Tale atto ha lo svantaggio di porsi sempre troppo in ritardo rispetto al fenomeno. In altre parole in questa maniera si rischia di occuparsi solo di realtà date e mai di virtualità. E nel caso di certe pratiche, così rischiamo di “perdere il fenomeno” perché interessandoci a quello che è attestato e intessuto (per tornare all’etimologia del testo), non diciamo più nulla su quello che può emergere (o poteva emergere) strappando il tessuto. La questione è decidere i tratti distintivi di una pratica: se perdiamo il momento “aurorale” dell’emergenza del senso stiamo perdendo un tratto peculiare? Tramite il concetto di emergenza possiamo pensare ad un modello di funzionamento che non parta solo dalle realtà date, e che ci parla del momento aurorale. Emergenza non solo come analisi dell’emerso, ma come studio di una particolare tipologia di farsi del senso. L’atto dell’ascolto esce profondamente modificato da quest’approccio. Non più un atto di interpretazione che avviene a giochi conclusi, ma processo attivo di creazione del senso, l’ascolto fa parte integrante della pratica, e si tratta sia di un ascolto tra soggetti, sia di un ascolto interno al soggetto (la conversation with oneself). E, per tornare alla lezione di Cage, per divenire non un filtro ma uno stimolo, l’ascolto deve essere preceduto da una tabula rasa semiotica. Ciò che è stato chiamato responsiveness (Sparti 2003), ossia la capacità lasciar manifestare il materiale sonoro in tutta la sua complessità e di reagirvi poi di conseguenza, è fondato su un’epoché relativa alle proprie stesse percezioni. Non è affatto detto che io abbia avuto il controllo integrale su ciò che ho suonato, non è affatto detto che io abbia semplicemente realizzato la mia intenzione. Quando si ascolta, «le pieghe, i meandri del

padiglione sembrano voler moltiplicare i contatti dell’individuo con il mondo, e ridurre nello stesso tempo questa molteplicità, assoggettandola ad un percorso di smistamento» (Barthes 1982, trad. it. p. 240). Il materiale sonoro è molto più complesso di quanto si pensi e la creatività sta nel saper sospendere momentaneamente la seducente attrattiva dei percorsi conosciuti.