E' all'interno della pratica di un esercizio condotto dall'individuo su sé stesso, all'interno del tentativo intrapreso per trasformare l'individuo, in una ricerca di un'evoluzione progressiva che ha come meta la salvezza, è in questo lavoro ascetico su di sé al fine di salvarsi, che si trova la matrice, il modello originario della colonizzazione pedagogica dei giovani. A partire da questo modello vediamo delinearsi i grandi schemi della pedagogia, e cioè l'idea che non si possano apprendere le cose senza passare attraverso un certo numero di stadi obbligatori e necessari, che questi stadi si succedono nel tempo, e infine che, nello stesso movimento che li dispone lungo il tempo, essi scandiscono, per ogni nuova tappa di sviluppo, un progresso. La congiunzione di tempo e progresso è centrale nella pratica pedagogica, così come lo era, e lo è, nell'esercizio ascetico. Nelle scuole fondate dai Fratelli della vita a Deventer, poi a Liegi e a Strasburgo, oppure dai gesuiti, si vede comparire per la prima volta le suddivisioni secondo l'età e secondo il livello raggiunto (Foucault, 2004); in questa nuova pedagogia, emerge qualcosa di inaspettato rispetto alla vita dei giovani, ossia la regola di clausura. È all'interno di uno spazio chiuso, con rapporti con l'esterno normati e controllati, che l'esercizio pedagogico deve compiersi; è all'interno di questo spazio chiuso che gli educatori diventano modelli e guide, e facilitatori di sviluppo e progresso, per cui non bastano tecniche e teorie apprese dallo studio a costruire la relazione pedagogica, ma piuttosto grande enfasi viene posta sulla capacità (acquisita? Innata?) dell'educatore di porsi come modello con la propria vita, i propri discorsi, il proprio corpo che si offre a guisa di specchio per i ragazzi, che devono evolvere da uno stadio all'altro, e che possono trovare negli adulti delle istituzioni uno schema di comportamento giusto e rigoroso – e, implicitamente, in contrapposizione con i modelli più confusi e marginali di adulti forniti dai genitori dei ragazzi. Possiamo trovare un'ulteriore applicazione dei dispositivi disciplinari anche all'interno di un altro tipo di colonizzazione: non più la colonizzazione dei giovani, bensì, semplicemente, quella dei popoli colonizzati. Qui si ha a che fare con una storia singolare: furono infatti i gesuiti, avversari della schiavitù, a contrapporre, nell'America del Sud, all'utilizzazione brutale e distruttiva di tante vite umane, ovvero ad una pratica della schiavitù estremamente dispendiosa e scarsamente organizzata, un diverso tipo di distribuzione, di controllo e di sfruttamento – degli esseri umani – messo in atto attraverso un sistema disciplinare. Le famose repubbliche cosiddette “comuniste” dei Guaranì in Paraguay (Foucault, 2004; Lanternari, 1994) erano in realtà microcosmi disciplinari strutturati secondo un sistema gerarchico,
all'interno del quale agli individui e alle comunità veniva imposto uno schema di comportamento di tipo completamente statutario, con indicazioni di orario di lavoro, di riposo, dei pasti, etc.., con un regime di sorveglianza completa e costante, ed un sistema permanente di punizioni che accompagnavano l'esistenza dell'individuo in ogni istante. In tali comunità, un controllo del genere permetteva di rintracciare qualcosa che indicava una cattiva tendenza, un'inclinazione malvagia che fossero segnali, tracce di disposizioni permanenti da correggere, o imparare a tollerare. Altri esempi di sistemi disciplinari sono l'esercito, o la disciplina imposta agli operai o a quel disciplinamento interno alla nostra società, che ha dato vita all'intero sistema di internamento (dei folli, dei nomadi, dei diversi, etc..) dall'epoca classica fino ai giorni nostri; ma ciò che è importante, e che produce riflessi nei modi e mondi dell'educazione e della cura, deriva dalla diffusione dei sistemi disciplinari, che iniziano a pervadere la nostra società attraverso un processo che Foucault ha definito di “colonizzazione interna ed esterna” (Foucault, 1993:226), e nel quale si ritrovano tutti gli elementi che caratterizzanti il modello disciplinare, vale a dire la fissazione spaziale, la gestione del tempo, l'applicazione e lo sfruttamento delle forze del corpo attraverso la regolamentazione dei gesti e degli atteggiamenti, la costituzione di una sorveglianza costante e di un potere punitivo immediato, e infine l'organizzazione della presa in carico del corpo singolo da parte del potere che lo costituisce come individuo, ossia corpo assoggettato (Foucault, 1985). Tale strutturazione multipla e molteplice ha richiesto alle scienza di usare qualcosa in più delle semplici tassonomie, ossia le scienze misero in campo ciò che Foucault chiama una “tattica”: la disciplina è una tattica, cioè un determinato modo di distribuire le singolarità, secondo uno schema che però non è classificatorio, ma che consiste nel distribuirle nello spazio, nel consentire accumulazioni temporali capaci di ottenere effettivamente la massima efficacia possibile, a livello sociale (Foucault, 1998b). Ad aver portato, quindi, alla nascita delle scienze dell'uomo è stata l'irruzione,la presenza o l'urgenza di problemi tattici posti dalla necessità di distribuire le forze nella società e nel lavoro, in funzione delle esigenze dell'economia che si stava sviluppando. Distribuire uomini, donne, ragazzi in base a tali esigenze richiedeva una tattica, che ha il nome di disciplina, ossia tecniche di distribuzione dei corpi, degli individui, dei tempi, delle energie; non deve stupire se, ad esempio, dei tantissimi ragazzi “marginali” che abitano questi luoghi di cura, la maggioranza assoluta viene indirizzata, al momento della scelta della scuola superiore, ad un istituto definito – ironicamente, almeno alle mie orecchie - “professionalizzante", rimarcando, da un lato, la necessità di riformare questi piccoli devianti ad una “normalità” costituita sull'asse lavoro-guadagno, ma dall'altro,
drammaticamente, l'implicita avvertenza che tali individui cresciuti ai margini vi resteranno, in quanto sarà loro negato l'accesso ai settori più alti dell'istruzione e della cultura, distribuendo ancora una volta tutte queste giovani persone sul gradino più basso della nostra società, o meglio, ri-posizionandoli lì, visto che proprio da lì provengono.