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Teoria sociologica ed etnopsichiatria: l'adattamento, il cambiamento

Personalità poliedrica, interessato alle zone d'ombra attorno ai fenomeni e, al contempo, diffidente nei confronti delle spiegazioni che si pretendono esaustive, Devereux vede nell'interstizio creatosi tra le teorie sociologiche e le basi epistemologiche della psichiatria e della psicoanilisi la possibilità di iniziare a definire le regole del metodo complementarista, il quale presuppone ed esige la coesistenza di diverse letture dello stesso fenomeno, ciascuna esaustiva nel suo ambito, ma parziale negli altri. Già quindi agli albori del metodo proposto dallo studioso, prendono forma modelli di spiegazioni divergenti ma che stanno tra di loro in quel rapporto di complementarità, definito da Heisenberg4, grazie al quale ambedue sono capaci di interpretare un evento in modo

4 Questo principio afferma che “ è impossibile determinare simultaneamente e con la stessa precisione la posizione e il momento di un elettrone. Maggiore è la precisione con cui possiamo determinare la posizione dell’elettrone (in un istante dato) più imprecisa diviene in effetti la determinazione del suo momento, e naturalmente viceversa, come se proprio l’esperienza cui è stato sottoposto “forzasse” l’elettrone ad assumere una posizione ed un momento precisi. Ampliando il suo campo di osservazione alla biologia, Bohr

esauriente e soddisfacente. Una delle ipotesi chiave del lavoro di Devereux si fonda sulla convinzione che una parte notevole delle nostre opinioni e dei nostri atteggiamenti verso gli oppressi, i marginali, i devianti discende da un errore di percezione: gli adulti insegnano ai bambini ad essere puerili secondo un modello specifico, culturalmente determinato, e fregiano poi col nome di psicologia infantile lo studio dei prodotti di questo puerilismo suscitato artificialmente; gli adulti trasmettono modelli di comportamento a cui aderire, e coloro che se ne scostano vengono definiti marginali.

L'impoverimento assoluto dell'adulto occidentale in materia di ideali ha fatto del mondo in cui viviamo una terra inospitale; il giovane reagisce alla carenza morale, etica, profondamente affettiva ed intellettuale con una violenza molto più intensa di quella dell'adulto, giacchè soffre maggiormente il bisogno di assaporare le gioie e i dolori più nobili che fanno di un essere umano qualcosa di superiore ad un uomo in senso tassonomico del termine. "Più turbolenta è la fermentazione del mosto, più qualità avrà il vino. I nostri giovani non sono giovanili perchè così ha decretato la biologia; sono giovanili perché li abbiamo deliberatamente ridotti a uno stato infantile" (Devereux, 2007:236).

Devereux, durante la sua vita e la sua carriera, ha combattuto fieramente contro il tentativo di ridurre le turbolenze dei giovani, dei migranti, degli oppressi a espressioni di forme inferiori di esistenza, contro il rischio di piegarsi all'evoluzionismo e al positivismo, paradigmi che influenzavano pesantemente le scienze sociali, all'epoca. Ha smascherato, assieme ad altri, come in Italia ha fatto De Martino, i legami di potere istituiti tra discipline scientifiche e vita quotidiana delle persone, di cui proprio quelle discipline avevano la presunzione di parlare, definendone possibilità e costrizioni, libertà ed assoggettamento. Devereux era molto attento al contesto sociale in cui nascevano, proliferavano e si imponevano spiegazioni, categorie, modelli utilizzati per comprendere, e semplificare, la realtà sociale; egli sosteneva che le medesime tensioni sociali che agiscono all'interno di una data cultura e che suscitano deformazioni personologiche caratteristiche di tale cultura, determinano anche le teorie scientifiche (psichiatriche), insieme alle procedure terapeutiche ed educative altrettanto specifiche di questa stessa cultura.

Secondo Henri Poincaré ogni fenomeno che ammette una spiegazione ne ammetterà e Heisenberg hanno potuto riscontrare l’azione del principio di complementarità anche in questo campo. Il principio di distruzione trae origine da un fatto semplice quanto importante: ogni studio sperimentale troppo spinto del fenomeno “vita” distrugge proprio quanto cerca di sceverare con troppa precisione: la Vita. In base a questi discorsi Devereux teorizza che alcuni fenomeni della realtà possono essere interpretati sia dal discorso etnologico che da quello psicoanalitico, ma che questi due discorsi non possono sussistere contemporaneamente. (Devereux G, 1975:22)

numerose altre ugualmente soddisfacenti (Poincaré, in Nathan, 1990).

Il grado di evoluzione di una civiltà non è in funzione del grado di sviluppo culturale dei suoi membri meno evoluti; una delle cause della schizofrenia è proprio questo scompenso tra la complessità di una cultura e le limitazioni inerenti al campo degli spiriti migliori che ad essa partecipano. Per orientarsi efficacemente nell'ambiente fisico, così come in quello culturale, l'individuo ha bisogno non soltanto di un buon numero di attitudini innate ma anche dell'apprendimento. L'orientamento in qualsiasi cultura è molto più difficile dell'orientamento nell'ambiente fisico; questa difficoltà di orientamento provoca i disturbi funzionali nell'uomo, in possesso di una cultura.

Questo stato di cose si esprime anche sul piano sociale: può essere interessante a questo punto esaminare lo sviluppo e la socializzazione del bambino, in chiave etnopsichiatrica, qui in Occidente come altrove. Ogni bambino nasce all'interno di una rete di obbligazioni reciproche che possono essere descritte attraverso l'analisi funzionale dei rapporti di parentela. Malinowski (2011) e molti altri hanno insistito sull'importanza di questo gioco di obbligazioni reciproche; Linton (1973) attribuisce molta importanza al fatto che, in numerose comunità primitive, il bambino può, quando ha fame, rivolgersi ad un numero abbastanza grande di donne dalle quali può ragionevolmente sperare di essere allattato. Inoltre, in numerose comunità è il fratello della madre (lo zio materno) a detenere l'autorità affettiva. Tutto ciò concorre ad una dispersione precoce dei legami libidici e anche degli antagonismi che caratterizzano in modo quasi esclusivo i rapporti tra genitori e figli nella nostra società. La socializzazione consiste in un progressivo sciogliersi dei legami tesi e caricati di aggressività tra il bambino e i membri della sua famiglia ristretta. Le conoscenze acquisite in seguito sono già implicitamente contenute nella mappa cognitiva del territorio socio-culturale che ha imparato a conoscere molto presto nel corso della sua esistenza. L' ordine naturale dell'organizzazione tribale arriva fino ad includere, come Durkheim ha dimostrato, gli animali, i vegetali, persino esseri e oggetti inorganici, finanche lo stesso pantheon. Nello sforzo di adattarsi a questo mondo sovrannaturale, il primitivo, secondo Devereux, elabora una serie di rituali, di credenze, di modalità di ragionamento (socialmente accettabili) che lo spingono a credersi perfettamente orientato in questo mondo. Le modalità di pensiero e di adattamento scoperte anche nella schizofrenia appartengono tutte a questa classe di orientamento (socialmente stabilito) in un mondo sovrannaturale. Il primitivo non è sempre prelogico, egli agisce in maniera perfettamente oggettiva quando è alle prese con problemi ordinari che è capace di risolvere. All'inverso, Lévy-Bruhl ha ripetutamente sottolineato che anche l'uomo moderno, talvolta, agisce e

ragiona in maniera prelogica; per il sociologo, questo pensiero prelogico affiora solamente in situazioni gravi, capaci di provocare fenomeni di disorientamento e di stress emotivo. L'omeostasi normale non cerca di conservare costante nessuna cosa; essa cerca piuttosto di contenere entro certi limiti – o poli – le variazioni di stato, pur suscitando e favorendo i cambiamenti all'interno di questi poli, giacché il processo, proprio come l'esperienza di vivere, consiste precisamente in questi cambiamenti controllati.

Devereux fu anche un critico coraggioso e radicale della società occidentale: non esitò a rovesciare certi assiomi della psicoanalisi che giudicava poco scientifici ed interpretava come razionalizzazioni, occultamenti della relazioni di potere su cui si fonda la nostra società, di cui gli psicoanalisti, come altri, sono i rappresentanti. In alcune pagine di straordinaria lucidità (Devereux, 1975) svela, ad esempio, come la teorizzazione del complesso di Edipo e l'attribuzione di pulsioni cannibaliche al neonato mascherino la realtà di specifiche relazioni transgenerazionali e come primari siano piuttosto il complesso di Laio (il desiderio del padre di castrare il figlio) e le pulsioni cannibaliche genitoriali.

Devereux, nella sua opera, dedica particolare attenzione a ciò che lui definisce "psicosi etnica": egli avverte che i maggiori problemi nella relazione terapeutica sorgono quando psicoterapeuta e malato condividono valori, credenze e pratiche sociali disfunzionali per propria natura nonché quando il quadro sociale in cui si inscrive la situazione terapeutica favorirà comportamenti fondamentalmente dereistici; il trattamento, in queste situazioni, sarà particolarmente arduo.

Devereux definisce psicosi o nevrosi etnica ogni disturbo psichico che presenta i seguenti caratteri:

– il conflitto che sottende la nevrosi o la psicosi investe anche la maggioranza degli individui normali; il paziente quindi è come tutti gli altri ma lo è più intensamente; – i sintomi caratteristici della nevrosi o della psicosi etnica non sono improvvisati. Essi

non sono inventati dal paziente ma gli sono forniti dal suo ambiente culturale e rappresentano dei modelli di cattiva condotta

Diagnosi

Altro interesse che dominò il lavoro dello studioso francese fu quello di svelare i rapporti di potere esistenti tra il procedimento diagnostico nell'itinerario terapeutico bio-medico occidentale, e la conseguente attribuzione di etichette quali malato, deviante, anormale, e via dicendo. La diagnosi può essere definita come il processo culturale attraverso il quale un individuo acquisisce lo status di persona anormale e il processo psichiatrico gli

attribuisce un'etichetta diagnostica (Devereux, 2007). Prendendo in esame il problema cruciale del processo logico che sottende il procedimento diagnostico, esso, per lo studioso, consisterebbe nel sapere se si tratti di un processo di esclusione o di un processo di enumerazione. Da etnologo, per Devereux, il processo attraverso il quale un individuo giunge ad essere designato come nevrotico o psicotico è notevolmente simile a quello mediante il quale egli si vede attribuire qualsiasi altro statuto, mentre per lo psichiatra questo processo rappresenta un procedimento diagnostico. L'individuo che manifesta comportamenti ben determinati acquisisce tale status che gli viene poi attribuito dalla società, la quale, così facendo, gli riconosce di essersi comportato in modo da aver diritto allo status di folle (etichetta diagnostica). Il termine pazzo denoterà unicamente lo status riconosciuto di coloro il cui comportamento corrisponde ad una singolarità; al contrario, si usa il termine nevrotico, come ogni altro termine a connotazione strettamente psichiatrica, nei contesti in cui criteri psichiatrici obiettivi permettono di concludere che sono presenti veri fenomeni psicopatologici. Come ha sottolineato Roheim (2006), nelle società primitive, società ad orientamento terapeutico, un improvviso declino di fortuna o una malattia organica o psichica appartengono a un solo e medesimo universo concettuale e interessano, allo stesso titolo, il guaritore. Di conseguenza, il fatto che una data situazione di stress sia abitualmente assegnata al guaritore costituisce una tappa o una procedura significativa. "Qualcosa di ordine psichico che compete al guaritore non va in me"; questa è un'importante tappa diagnostica. Alcuni sintomi psichiatrici hanno la caratteristica essenziale di divergere più o meno apertamente dalle norme del gruppo, e ciò in una maniera apertamente e necessariamente provocatoria. Questi è perciò, per la società, un elemento perturbatore. L'analisi degli psicotici conferma che i loro frequenti atti di automutilazione sono tentativi di espellere l'organo colpevole, la cui attività è percepita come estranea all'Io ed esterna allo schema dell'Io corporeo (Devereux, 2007:204).

1.3 I fattori culturali nella terapia psicoanalitica: la psicoanalisi, strumento di