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Potere e conoscenza L'Alterità: una questione di metodo

In accordo con l'archeologia di Foucault (1998), il punto centrale della conoscenza, nell'età classica in Europa, era il principio di ordine; i mezzi per organizzare la conoscenza erano il discorso, il tavolo e lo scambio. In questo orizzonte epistemologico, si possono osservare tre sistemi principali:

– una grammatica generale, ossia lo studio dell'ordine verbale in relazione con la simultaneità che è suo compito rappresentare. Essa ha, come suo oggetto, il discorso in cui la nominazione domina: il compito del “discorso classico” è di ascrivere un nome alle cose – nominarle – per poter nominare, in quel nome, l'essenza delle cose stesse;

– la storia naturale, o una teoria della natura intesa come caratterizzare, ordinare e nominare tutto ciò che è visibile: il suo progetto è di costruire una tavola, generica e completa, di specie, generi e classi;

– una teoria della ricchezza, piuttosto che un'economia politica, che analizzi il valore in termini di scambio tra oggetti del bisogno, o in termini di formazione ed origine di oggetti i cui scambi definiranno il loro valore in termini di prolissità di natura (Foucault, 1998:79-211).

In altre parole, durante l'età classica c'era una sola episteme che definiva le condizioni di possibilità di tutta la conoscenza, sia che fosse espressa in teoria sia che fosse manifestata nella pratica. Ma, negli ultimi anni del XVIII secolo, avvenne una rottura con il passato: l'episteme che permetteva e sosteneva la grammatica generale, la storia naturale e la teoria della ricchezza scomparve gradualmente. Vi fu un radicale spostamento dal tema dell'ordine a quello della storia. Nello spazio mai occupato dalla conoscenza classica, nuove forme di conoscenza iniziarono a definirsi e delinearsi: il lavoro, la vita, e il linguaggio. L'economia sostituì la teoria della ricchezza e, con Adam Smith, il lavoro si rivelò un'irriducibile ed assoluta unità di misurazione, e la ricchezza fu separata e misurata in accordo alle unità di lavoro che avevano in realtà contribuito a produrla. La biologia sostituì la storia naturale, e il principio di struttura organica divenne la base per costituire tassonomie e quindi separazione tra organico ed inorganico, con il primo a definire il vivente ed il secondo il non-vivente. Nel campo dell'analisi del linguaggio, la filologia prese il posto della grammatica generale, considerando il linguaggio come costituito non più solo da rappresentazioni e suoni, bensì come costituito anche da elementi formali, raggruppati in un sistema, che si impone sui suoni e le sillabe. Così, una nuova episteme si impone: la

metamorfosi della teoria della ricchezza in economia, della storia naturale in biologia, e della grammatica generale in filologia fa in modo che, per la prima volta nella storia umana, l'uomo appare nell'ambigua posizione di oggetto di conoscenza e, contemporaneamente, di soggetto che conosce. Da questa radicale trasformazione epistemologica alla fine del XVIII secolo, tre modelli si impongono come paradigmi essenziali: funzione e norma, conflitto e regola, significazione e sistema, che costituiscono, e concorrono assieme a coprire, il campo di tutto quello che può essere detto e compreso sull'umanità (Foucault, 1998). E a partire da quegli anni, il nuovo tipo di episteme non smetterà mai di interrogarsi su di sé e sul concetto di alterità, vedendo in quel periodo intensificarsi gli incontri con altre società, altre culture, altre umanità. Durante il diciannovesimo secolo e fino agli anni '20 del XX secolo, il discorso sulle società non occidentali fu generalmente caratterizzato da una prospettiva funzionalista ed una certa intolleranza fondate sulle implicazioni filosofiche del paradigma del conflitto e della significazione. L'analisi dell'alterità, attraverso una temporalizzazione della catena evolutiva di esseri umani e civilizzazione, teneva contemporaneamente conto del concetto di normalità, dinamismo creativo e successi ottenuti dal “mondo civilizzato”, opposto al concetto di anormalità, devianza e arretratezza delle “società non letterate”. Il discorso antropologico, nato in quegli anni, si sviluppò perciò all'interno di un più generale sistema di conoscenza che aveva una relazione di inter-dipendenza con sistemi di potere e controllo sociale.

Sulla Storia, Foucault disse che “tutta la conoscenza ha radici in una vita, una società, e un linguaggio che hanno una storia; ed è proprio in quella storia reale che la conoscenza trova gli elementi capaci di comunicare con altre forme di vita, altri tipi di società, altre significazioni” (1998:372). Sull'antropologia, disse che “l'etnologia si situa nella dimensione della storicità – di quella perpetua oscillazione che è la ragione per cui le scienze umane sono sempre contestabili, dal loro interno, dalla loro stessa storia” (1998:376). La differenza tra le due, in Foucault, appare chiara: l'autore sta enfatizzando la possibilità di una nuova antropologia e la sua dipendenza dalla Storia dell'Occidente. Come fa Lévi- Strauss (2009), anche Foucault distingue la questione metodologica da quella epistemologica: la prima si rivolge al futuro dell'antropologia, la seconda, invece, è interessata a trovare modalità per descrivere la solidarietà che dovrebbe esistere tra Storia e Antropologia5. Questi concetti di antropologia e Storia, significano anche una

5 La differenza fondamentale tra le due discipline non riguarda il soggetto, l'obiettivo o il metodo. Entrambe condividono lo stesso soggetto, ossia la vita sociale; lo stesso obiettivo, ossia una migliore comprensione dell'umanità; e, nei fatti, lo stesso metodo, in cui a variare è solo la proporzione tra tecniche e strumenti di

ridefinizione ed una riorganizzazione delle discipline sociali e, ancor più importante, dovrebbero significare uno smarcamento dell'antropologia dalle teorie evoluzionistiche e deterministiche riguardo la presunta arretratezza delle società non occidentali, e la costruzione di uno sguardo nuovo su tali società, le loro culture, i loro modi di vita e di pensiero. Ma l'utilità del concetto di alterità, di guardare all'altro e alle sue costruzioni, al suo linguaggio, alle modalità della sua vita, etc.., va ben oltre il desiderio di conoscere e studiare l'altro: tale concetto diventa uno strumento per comprendere sé stessi, una possibilità di viaggiare all'interno dei deserti della propria mente, come ha magnificamente detto Lévi-Strauss (2004), e, per la prima volta, l'antropologo scopre che egli è l'Altro, colui che deve accettare di riprodurre ed incorporare, lontano da casa, l'esteriorità della propria cultura, a contatto con un'episteme, una cosmogonia, una visione del mondo radicalmente opposte a quelle dell'Occidente.