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Etnopsichiatria come quadro di riferimento nella pratica e nella ricerca clinica

l'espansione in profondità degli elementi ritenuti (Devereux, 2007). Questa ricomparsa di elementi eliminati dalla gamma del comportamento effettivo nel corso della progressione in profondità degli elementi trattenuti spiega il fatto che si possano ottenere le medesime informazioni o dallo studio in profondità di un solo individuo o dallo studio estensivo di numerosi individui e/o culture; Devereux, a partire da tale convinzione, teorizzò la necessaria alleanza tra etnologia, sociologia, antropologia e psicoanalisi, fondando così il moderno paradigma epistemologico della multidisciplinarità.

Il sistema a cui bisogna conformarsi attraverso una riduzione della gamma dei comportamenti possiede una struttura. Questi insiemi, o modelli, presentano un particolare interesse: rivelano gli assi impliciti intorno ai quali gli elementi del comportamento si

ordinano in modelli e strutture.

L'organizzazione del comportamento attraverso abitudini acquisite o modelli reattivi è cosa nota fin dalla più remota antichità: le "impressioni", ossia tensioni che arrivano dall'esterno e a cui l'organismo, così condizionato dall'ambiente, deve rispondere iniziando ad elaborare meccanismi preferenziali incaricati di risolverle (Devererux, 2007:100), diventano in questo modo abitudini radicate nello psichismo.

Le esperienze impressionanti generano quindi la formazione di abitudini, cioè di condotte più o meno uniformi, prevedibili, coerenti e ristrette.

Il sistema di assi organizzatori del comportamento è quello che nasce dall'esperienza soggettiva di una cultura. Le esperienze propriamente culturali differiscono da quelle che insegnano al bambino a non toccare, ad esempio, una stufa bollente; esse possiedono, infatti, uno sfondo ideologico che, attraverso l'Io, è collegato all'ideale dell'Io e, sebbene meno strettamente, anche al Super-Io che, da parte sua, è del tutto inconscio. La cultura, in Devereux, è innanzitutto un insieme standardizzato di difese, quindi solidale, in primo luogo, con le funzioni dell'Io. Quando Devereux parla di assi culturali organizzatori del comportamento, il suo discorso deve essere interpretato costantemente e unicamente in termini sociologici e culturali, cioè in termini di istituzioni. I disturbi mentali possono essere visti come tentativi inefficaci di conciliare le esperienze del mondo con le modalità divergenti di organizzazione del comportamento: biologiche, psicologiche e culturali. La malattia è un tentativo frenetico ed inappropriato di riorganizzazione, e non di disintegrazione e disorganizzazione, anche quando tale riorganizzazione avviene a spese dell'Io. Nella malattia psichica, il mondo esterno viene strutturato a spese della struttura dell'Io; il funzionamento dell'organismo nel suo insieme è mantenuto a spese delle funzioni dell'Io; si realizza una compatibilità affettiva tra il mondo e l'organismo a spese della compatibilità realistica e logica. Questa è la vera definizione della malattia psichica (Devereux, 2007:104). La psichiatra è autenticamente metaculturale e meta-etnografica solo se fondata su di una comprensione reale della natura e della funzione generale della cultura in sé quale è vissuta ovunque dagli individui normali e da tipi diversi di pazienti psichiatrici; la pratica della psicoterapia metaculturale esige dall'analista una neutralità culturale analoga alla neutralità affettiva che ci si aspetta da lui nella situazione analitica. I materiali culturali possono essere utilizzati e vissuti in modo aggiornato, vale a dire sincronizzati sul presente ed in accordo con la realtà. La cultura è riconosciuta e valorizzata in quanto realtà originariamente extra psichica che viene poi interiorizzata. Un'altra caratteristica dell'individuo normale è la sua capacità di comprendere e di vivere la

cultura come sistema che struttura lo spazio vitale dell'uomo definendo le maniere appropriate di percepire, di valutare e di vivere la realtà, sia naturale sia sociale. Un adattamento anacronistico alla cultura caratterizza gli individui immaturi ed in condizioni di regressione sociale o personale. Nella nevrosi, la cultura continua ad essere riconosciuta per quello che è: qualcosa di originariamente esterno e che è stato interiorizzato; tuttavia, una volta interiorizzati, i materiali culturali vengono inconsciamente reinterpretati conformemente ai bisogni deformati del nevrotico, viene deformato il senso stesso dei materiali culturali.

Lo psicotico, invece, decultura la cultura sino al punto che essa cessa di esistere per lui (o di essere da lui vissuta) come tale. I tratti culturali continuano ad essere utilizzati, ma in maniera puramente soggettiva e senza rapporto con il loro contesto normale. Essi sono diventati vuoti rituali che hanno perduto la loro stretta connessione funzionale con gli schemi mezzi-fini e coi sistemi di valore della cultura. Per lo psicotico, gli individui non sono persone totali, dotate di una realtà e di un'esistenza indipendenti, ma oramai soltanto oggetti parziali, attori di un teatro di ombre, sono soltanto i veicoli di significati esteriori alla loro vera personalità, sono i simboli di qualcosa che esiste all'interno del paziente stesso. La chiave di volta dell'intero edificio psicotico è il suo carattere privato (Freud, 1971), il quale non è altro che un'estrema manifestazione di quanto da Devereux definito negativismo sociale. Soltanto quando avrà realizzato questa neutralizzazione parziale del sistema psicotico (che cesserà ormai di essere del tutto privato o socialmente negativista) lo psicanalista dovrà prendere di nuovo le distanze, diventarne l'oggetto (diventare la psicosi del suo paziente) mediante l'istituzione del rapporto transferenziale, fondato su di un costante confronto con la realtà, e radicata in essa, in modo da produrre un progressivo reinserimento culturale del paziente. Il paziente deve essere parzialmente ri-socializzato (o, almeno, ri-gregarizzato) prima di essere reinserito nella sua cultura.

La psicopatia

Mentre il negativismo sociale dello psicotico lo conduce soltanto a ripudiare la cultura in sé, lo psicopatico, invece, fa, in un certo senso, una guerra sistematica e provocatoria contro la cultura. Lungi dal conformarsi a un modello di comportamento adulto definito in termini realistici, si sforza di agire il ruolo dell'adulto, così come lo concepisce il bambino. Se, intellettualmente, egli capisce i valori e i significati che aderiscono agli items culturali, affettivamente non giunge a reagire a quegli stessi valori e significati. Lo psicopatico è spesso uno specialista dell'arte di sfruttare l'attaccamento altrui ai valori culturali. La sua abilità predatoria è la conseguenza di una tendenza ad accostarsi per scopi manipolativi,

in modo freddamente cinico e interessato, a quanto gli altri possiedono di più caro. La maniera in cui il paziente manipola i materiali culturali è inevitabilmente indicativa della sua immaturità, nevrosi, psicosi o psicopatia; l'etnopsichiatria, qui, ha il compito di mettere a punto l'insegnamento e la pratica di una psicoterapia culturalmente neutra.

Negativismo sociale

La concezione della psicopatologia criminale, negli studi di Devereux, riposa su due postulati:

– il comportamento criminale è sintomatico di un conflitto e, come ogni sintomo, comporta un vantaggio nevrotico nella misura in cui placa l'angoscia provocata da tale conflitto;

– c'è un rapporto funzionale tra il tipo di crimine commesso e la natura del conflitto. Il comportamento tipico di un dato criminale costituisce, in qualche modo, il suo sigillo o il suo marchio di fabbrica; esso porta l'impronta della sua personalità come la porterebbe un poema scritto da lui. La teoria fondamentale di Devereux è che il comportamento criminale ha le stesse radici del comportamento deviante non criminale, differendone per un solo aspetto, però cruciale: il negativismo sociale. Se il problema del comportamento deviante, considerato come sintomo, rimane ancora insoluto, ciò dipende dal fatto che il crimine è, in definitiva, ciò che la cultura riconosce come tale.

Più una civiltà diventa evoluta, più complessi diventano i problemi di adattamento che essa pone all'individuo. L'adattamento alla situazione sociale è più facile, per Devereux là (nelle società "primitive") che qui da noi perchè la società è più semplice e i membri di essa formano una comunità più che una società; la socializzazione è, in tali società, più sistematicamente incoraggiata che nella nostra.

L'incontro con i migranti

Secondo il grande matematico Georg Cantor è più importante porre una domanda correttamente che darle una risposta (Coppo, 2007b). Con i migranti, ciò è doppiamente vero: la domanda corretta riguarderà il loro particolare funzionamento sociale, la loro particolare visione del mondo, ma sarà corretta se terrà conto anche del funzionamento e della visione del mondo di chi la pone. Allo scopo di afferrare il senso della tesi sostenuta dal migrante bisogna talvolta discostarsi dai sentieri battuti dal pensiero razionale per operare intellettualmente su di un piano singolarmente vicino a quello che Freud ha definito “processo primario” (Freud, 1997) e Lévy-Bruhl “mentalità pre-logica”. Bisogna cercare di capire la vera funzione del discorso nel migrante e analizzare i procedimenti ai quali ricorre l'esperto per oscurare e deformare il senso di ciò che il bambino-migrante si

sforza di esprimere mediante il linguaggio. Un esempio che sta a cuore a Devereux riguarda la sfera spirituale delle persone, migranti ed autoctone: fenomeno culturalmente presente ed attivo sulla vita quotidiana di molti che provengono da altrove, esso tende, secondo lo studioso, ad essere occultato nelle pratiche di cura e di terapia nella nostra società, attraverso il ricorso a categorie che traducono il perturbante in conosciuto.

Il ricorso al capro espiatorio, ad esempio, fenomeno molto frequente da noi quanto in altre parti del mondo, testimonia quanto è difficile, se non impossibile, ammettere che forze lontane, complesse, quasi anonime, possano colpire al cuore la nostra esistenza; uno dei fattori sociogenetici determinanti la schizofrenia è l'assoggettamento dell'individuo vivente in seno alle società complesse a forze anonime, impersonali, sulle quali egli non ha alcuna influenza e che agiscono sul suo stesso essere. Nella nostra cultura, come in molte altre, se non tutte, l'assoggettamento dell'individuo a regole e norme sociali e culturali avviene all'interno di una relazione di potere tra gruppi dominanti e fasce di popolazione oppresse e dominate, attraverso la fabbricazione di alcuni stereotipi che costringono l'oppresso a conformarsi al pensiero dominante (Valsecchi, 1999), che su di lui eserciterà pressioni con tutti i mezzi a disposizione (la relazione bianco/nero, eterosessuale/omosessuale)

Nulla è più facile del condurre gli oppressi ad adottare il comportamento avvilente che si esige da loro: basta vietar loro l'accesso – e l'uso – ai meccanismi di difesa di cui dispone il gruppo socialmente favorito e dominante (Bourdieu, 2010).