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Come funziona la comunicazione di genere?

Un modello pragmatico dei generi musical

4. Un modello pragmatico

4.3. Come funziona la comunicazione di genere?

I generi esistono come etichette socialmente condivise, ma come si crea un significato condiviso di genere? Come funziona, cioè, la comunicazione di genere?

Nelle teorie classiche dei generi letterari, la comunicazione muove dal «testo» verso il «lettore». Parlare di generi come insiemi di testi può rappresentare un vizio metodologico, se si considera come le pratiche «paratestuali» – nel senso di Genette (1989) – contribuiscano a creare il significato dei testi stessi. Fabbri parla di «fatti musicali»: la scelta di includere come portatrice di senso «qualunque attività intorno alla musica» allenta la

distinzione fra ciò che è «paramusicale» e ciò che è «musicale» tout court. È evidente che la comunicazione di genere riguarda entrambi questi aspetti.

Rick Altman (2004a, pp. 251 e sgg.) ha proposto un modello per razionalizzare la comunicazione di genere. Altman costruisce la sua teoria sui generi cinematografici, il che potrebbe limitarne l’applicabilità alla musica, dal momento che il cinema «comunica» in modo diverso. In effetti, l’opposizione fra visioni «semantiche» e «pragmatiche» del genere cinematografico – opposizione peraltro non netta, per ammissione dello stesso Altman –, e cioè fra definizioni basate su «elementi semantici» come «tratti comuni, atteggiamenti, riprese, ambientazioni, set […]», e definizioni sintattiche basate su «relazioni costitutive fra variabili non prestabilite» (Altman 1984 [2004], p. 333) può adattarsi al campo musicale solo a pena di semplificazioni eccessive.

Tuttavia, lo stesso Altman procede da un modello semantico-sintattico (Altman 1984 [2004]) che «per quanto utile nella descrizione degli effetti provocati dalla natura discorsiva del genere, […] non è di per sé sufficiente a descriverli o a chiarirli» (Altman 2004a, p. 314), a uno «semantico-sintattico- pragmatico» in cui l’accento è decisamente posto sulla dimensione pragmatica. Con l’obiettivo di sfuggire «ai residui della tirannia del re testo», Altman sposta allora «l’attenzione dalle pratiche del consumo ai modelli d’uso a più ampio raggio – e maggiormente conflittuali – di tutti i fruitori» (p. 322). I generi si originano in un «processo transazionale attraverso cui il conflitto e la negoziazione tra gruppi di utenti trasformano in continuazione le definizioni di genere» (p. 251) – di fatto, il «rule testing and bending» di Frith (1996, p. 93).

Altman parte da una complicazione del modello standard di comunicazione (emittente à medium/testo à ricevente) introducendo l’idea di un genere «a doppia paternità», in cui il significato è creato sia da un «mittente sconosciuto» che viene decodificato, sia dalle «tecniche di decodifica di una comunità di fruitori dispersa». La comunicazione di genere è quindi basata su due «sistemi significanti», uno «frontale» (quello più tradizionale di ricezione del materiale testuale) e uno «laterale», generato dalle relazioni e dalla creazione di significato interne alla comunità dei fruitori. Dunque, una «discorsività primaria» (quella tradizionale spettatore/film) e una «secondaria» (spettatore/spettatore, intorno al film; Altman 2004a, pp. 263-264).

In quest’ultima è necessario riconoscere un ruolo attivo della critica, e di altre istituzioni, nel processo di stabilizzazione dei significati di genere. Il modello chiarisce efficacemente perché non si possono trattare i generi nei soli termini della ricezione. O meglio, ci dice che la ricezione è un processo sociale che incorpora una comunicazione «laterale»: è frutto cioè di mediazione fra diversi utenti, fra diverse «comunità» di utenti, compresi i musicisti, la critica e l’industria. Sul ruolo che spetta a quest’ultima Altman non è sempre chiarissimo: essa deve essere considerata parte attiva nella mediazione e nella creazione del significato al pari degli altri attori, e meno che mai può essere pensata come un’unità che agisce coerentemente e monoliticamente. Non è da pensarsi, cioè, in opposizione con il pubblico: è necessario anzi superare una visione in cui i «testi» (o i «messaggi») fluiscono dall’industria al pubblico (anzi: ai pubblici), con la critica e altri mediatori di significato nel mezzo.

La base teorica da cui parte Altman è quella della linguistica saussuriana e della semiotica lotmaniana. Tuttavia, per dar conto di come i generi cambino sia nel tempo, sia da un utilizzatore a un altro, è necessario non concentrarsi sull’aspetto della langue – cioè del sistema complessivo – ma su quello della parole, e su quel «processo di commutazione attraverso cui gli atti linguistici individuali vengono valutati da reali utilizzatori della lingua» (p. 258). La commutazione (nella linguistica saussuriana, la capacità di passare da un livello all’altro, in cui le differenze su un livello vengono valutate dai cambiamenti che avvengono nell’altro) può essere basata sulle differenze individuali, di gruppo o storiche, e spiegherebbe la mutazione – o la non mutazione – del genere nel tempo.

Il modello riconosce anche «l’importanza della competizione e della comunicazione distorta per tutte le teorie della comunicazione e della comprensione» (p. 325), e dunque rende conto di quella «eterogeneità dei fenomeni cui i nomi di genere si riferiscono» (Schaeffer 1992, p. 73). Quello che potrebbe essere un limite alla comprensione sincronica del funzionamento del sistema dei generi – il proliferare di etichette contrastanti, il fatto che «gli elementi semantici e sintattici sono utilizzati in modi molto diversi» (Altman 2004a, p. 317), gli «errori», le «decodifiche aberranti» (Fabbri 1982a), i diversi modi di pensare i generi che sono stati qui riconosciuti – si spiegano in chiave

diacronica, e possono anzi diventare una risorsa euristica. Il principio pragmatico si svela e si sviluppa nel tempo.

L’accento sulla dimensione pragmatica permette di mantenere un modello di significazione dei generi del tutto analogo a quello della significazione testuale e linguistica. È il principio pragmatico che rende la comunicazione possibile, limitando le infinite possibilità, la dispersione, il rumore, e superando ogni linearità di funzionamento. È secondo un principio pragmatico che funziona la comunicazione di genere: il genere è trattato da Altman come una struttura comunicativa, e al centro vi è quindi la sua funzione.

Le stesse categorie idiosincratiche private (che assomigliano molto ai tipi cognitivi di Eco) rispondono a un principio analogo: le usiamo, seppur privatamente, e magari senza verbalizzarle, per organizzare il nostro ascolto, per categorizzare la musica secondo i nostri valori o i nostri fini. Esse entrano nell’«arena» dei generi soltanto quando vengono verbalizzate, e diventano dunque oggetto di mediazione «laterale» con quelle di altri soggetti.

Nei progetti di Altman, il modello così formalizzato sarebbe applicabile ad «ogni struttura comunicativa in qualsiasi lingua mai concepita», in quanto fondato su «una teoria generale del significato» (2004a, p. 325). La sua grande elasticità, insieme all’efficacia euristica della semiotica saussuriana-lotmaniana, ne fanno in effetti un utile strumento di lavoro. Tuttavia, per quanto aperto, il modello di Altman è limitato dai limiti stessi imposti dagli oggetti cui è stato originariamente applicato: i generi cinematografici. Intanto, per la già menzionata centralità di elementi «semantici» e «sintattici» connessi con la funzione narrativa del cinema. In secondo luogo, perché per quanto venga postulata una pluralità di codici e di pubblici, lo studioso di cinema (e di cinema hollywoodiano, nel caso di Altman) si ritrova a lavorare con un corpus di testi qualitativamente più coerente e quantitativamente più limitato (specialmente se si occupa del cinema degli studios) di quanto non capiti allo studioso di musica. Anche la natura del genere cinematografico sembrerebbe porre, in apparenza, meno problemi: pochi dubiterebbero che i generi cinematografici raggruppino i testi filmici e le pratiche connesse. I generi musicali riguardano «fatti musicali» – pratiche e testi – più eterogenei e diversificati, e soprattutto media differenti (musica registrata o performance dal vivo, musica scritta, tecniche esecutive…).

C’è però un minimo comun denominatore: ponendo l’accento sul principio pragmatico, necessario alla formazione dei generi come li conosciamo e usiamo, Altman tocca il punto chiave. L’approccio pragmatico deve andare oltre al livello semiotico-linguistico, e cioè al fatto che non può essere dato significato linguistico senza uso da parte dei parlanti, e cioè che è nell’uso talvolta contraddittorio di etichette da parte di diversi utenti che si forma il significato dei generi. Deve riguardare l’esistenza stessa dei generi nelle pratiche sociali, e come pratiche sociali. Al di là del suo funzionamento, la comunicazione serve per comunicare, e dunque i generi servono per comunicare. I generi allora non sono da intendersi come un attributo del discorso, ma come qualcosa – una pratica – intimamente radicata dentro la pratica linguistica, dentro i discorsi sulla musica. I generi funzionano in quanto discorsi sulla musica (o meglio, una parte specializzata e formalizzata dei discorsi sulla musica).