Un modello pragmatico dei generi musical
3. Verso un modello: dalla teoria alla pratica (e ritorno)
3.3. Conclusioni Quale modello? Quali generi?
Le opposizioni, le diverse idee, i diversi usi e le diverse necessità che governano l’esistenza sociale dei generi musicali nella pratica quotidiana di tutti noi dovrebbero aver rivelato alcune contraddizioni. Alcune considerazioni generali che si possono trarre.
1) Nei discorsi sulla musica, l’uso dei generi musicali riguarda tanto una questione di accordo quanto di disaccordo fra le parti. Questo, in prospettiva diacronica, è alla base di quel «rule testing and bending» in cui i generi esistono quotidianamente, nei termini di Frith (1996, p. 93). Il disaccordo riguarda sia che cosa viene codificato e come (e dunque l’attribuzione di un fatto musicale a un dato genere, e in base a che tipo di convenzione), ma anche come vengono pensate le categorie. Riguarda cioè sia il dire «questo è rock» / «no, questo è pop», sia il pensare le categorie di «rock» e «pop» in modo assoluto oppure relativo, a seconda del contesto e della necessità. Metafore biologiche, evoluzionistiche, concezioni assolute, metastoriche o romantiche, gerarchie imposte, posizioni arbitrarie sono il pane quotidiano dei discorsi che le persone fanno con i generi: se si opta per un modello di genere «relativo», questo modello non può sottrarsi dal contemplare tutti i «reali» usi emici delle etichette di genere, compresi quelli che aderiscono a una prospettiva in apparenza contraddittoria con il modello stesso. Un modello adeguato di genere deve dunque rendere conto di idee sui generi sia «assolute» sia «relative», e di come queste diverse concezioni interagiscano nelle pratiche comuni. Si dovranno dunque integrare nel modello modi contraddittori di pensare il genere e di organizzare i fatti musicali.
2) Indipendentemente da come le persone «pensano» i generi, la pratica quotidiana ci insegna che usare i generi significa prendere delle decisioni. Anche scegliere di non scegliere (cioè, di non attribuire etichette generiche a determinati fatti musicali) è una decisione. Ma per quanto si intenda il genere come concetto storicamente, culturalmente e socialmente contingente, o per
quanto si validi esteticamente la «musica senza genere», la vita di noi tutti è fatta di situazioni in cui dobbiamo rispondere «pop» o «rock», o mettere un disco nello scaffale giusto, o scegliere la giusta risposta alla domanda di un poliziotto. Dunque, il modello dovrà rendere conto dei limiti pragmatici cui l’uso dei generi deve sottostare. Anche in questo senso l’attribuzione di genere è «decisionale» e non «fattuale» (Elliot 1962; Fabbri 1981). La storia dei generi è la storia di come, nel tempo, diverse comunità hanno reagito a diverse situazioni, prendendo diverse decisioni. Allo stesso tempo, le decisioni su che tipo di genere usare dipendono anche dal contesto, e dal medium. Determinati usi del genere richiedono concezioni assolute, e attribuzioni univoche (il gioco del «chi sono?», o l’attività di un commesso della FNAC). Altre permettono, o necessitano, di concezioni relative.
3) Se alla base delle attribuzioni di genere stanno le scelte degli utenti, dettate tanto dal contesto quanto da posizionamenti ideologici, allora le attribuzioni multiple sono sempre possibili: un fatto musicale non è mai interpretabile come appartenente a un solo genere, così come un individuo non è mai membro di una sola comunità. Le attribuzioni multiple rispecchiano la varietà di situazioni in cui si usano i generi, risolvono problemi di sovrapposizione, e superano l’opposizione fra posizioni estetiche e ideologiche differenti.
4) Nonostante il caos che può derivare dalla categorizzazione «selvaggia» e dalle attribuzioni multiple, molte delle pratiche che si possono fare con i generi (ad esempio, mettere a posto un disco, o usare o inventare generi «ibridi») prevedono un’organizzazione gerarchica e «a directories» delle tassonomie. La capacità di organizzare i generi in directories varia a seconda delle comunità di genere e delle competenze. Per quanto i generi funzionino come «categorie selvagge», allora, sono perlopiù pensati da chi li usa come «schemi dizionariali» (Eco 1997).
5) I modi in cui concepiamo il concetto di genere, e in cui organizziamo i generi, non sono scindibili da posizionamenti politici, ideologici ed estetici. Il giudizio di valore non è accessorio, ma inscritto nel funzionamento delle tassonomie. Il giudizio di valore riguarda sia il che cosa viene codificato e come, sia come vengono pensate le categorie. Anche la «scelta di non scegliere» o l’impossibilità di attribuire un’etichetta univoca implica posizionamenti estetici,
perché assegna un valore (implicitamente o esplicitamente) alla musica «senza genere» e afferma l’unicità e l’originalità di un singolo testo o di un insieme di testi.
Serve dunque un modello che tenga conto dei diversi usi che dei generi si fanno, così come delle diverse concezioni di genere, e dei diversi modi di pensarli e organizzarli, talvolta contraddittori. Un modello che concepisca i generi come «unità culturali» (Fabbri 2012a, p. 180) e, in quanto tali, culturalmente, socialmente e storicamente contingenti. Che renda conto del fatto che i generi «esistono» in quanto processo, e non struttura stabile. Serve una concezione inclusiva di genere, che non distingua fra generi e non-generi (o fra prospettiva etica e prospettiva emica), e che non imponga le categorie che farebbero comodo al ricercatore: quelle del presente sulla musica del passato (il «rock» come è inteso oggi su quello che era «rock» in un dato momento del passato), o quelle di una comunità sulla musica di un’altra (le categorie della musica colta sulla popular music, ad esempio).
Si potrebbe anche essere tentati di lasciare perdere, e di sostenere che i generi siano diventati, nel mondo contemporaneo, concetti del tutto inadatti alla comprensione di un mondo musicale complesso e irriducibile a modelli stabili, etichette vuote e prive di ogni utilità euristica, oltre che di difficile impiego per un progetto storiografico. Non è così. Come ha notato Brackett, per quanto siano vaste le possibilità di ogni singolo genere in un dato momento, esse non sono mai infinite. E il fatto che «i confini del genere [siano] permeabili e fluttuanti, non significa che essi non siano pattugliati» (2005, p. 76). Li «controlla» quotidianamente non l’autorità dei critici (o non solo), ma l’uso che dei generi viene fatto nei discorsi sulla musica. Come per il linguaggio, i confini dei generi e il loro funzionamento sono regolati da un principio pragmatico. Non possiamo fare a meno dei generi, esattamente come non possiamo fare a meno del linguaggio. Allora, più che entità astratte, i generi ci appaiono infine nella loro concretezza, perché esistono – dentro il linguaggio – per fare delle cose, per rispondere a esigenze pragmatiche.