L’invenzione della «canzone italiana»
2. Canzone, italianità musicale e pubblico nazionale
2.2. Radio e pubblico nazionale
Fatta salva l’esistenza e la circolazione di brani in italiano già dall’ottocento, in un paese in cui l’uso del dialetto è ancora maggioritario la radio rappresenta il punto di svolta per la nascita di una tradizione nazionale di canzone italiana. L’anno chiave è il 1924, quando l’ente radiofonico nazionale – Uri all’epoca – comincia a trasmettere con regolarità su tutto il territorio dello stato. Divenuta Eiar nel 1927, l’ente triplicherà i suoi abbonati fra il 1929 e il 1932, da centomila a trecentomila (Borgna 1992, p. 105). Il regime fascista facilita anche l’installazione di apparecchi in scuole e sedi di varie organizzazioni: nel 1939 sono novemila le radio «collettive», in sale capaci di accogliere 850mila persone (Prato 2010, p. 201).
Lo spazio dedicato a programmi di intrattenimento con canzoni cresce progressivamente in questi anni, dopo un inizio in cui quel repertorio era sacrificato a vantaggio dell’opera e dell’operetta. Già alla fine degli anni venti la «musica varia» e la «musica da ballo» (queste le etichette in uso all’Eiar) occupano insieme un terzo abbondante del palinsesto, e dieci anni dopo la «musica leggera» (che comprende canzoni e musica da ballo) è il genere più trasmesso (Prato 2010, p. 187; Fabbri 2015a). La crescita della radio accelera il declino (in primis, economico) dei luoghi di ritrovo fino ad allora codificati per la canzone – i tabarin e i café chantant – e diventa la fonte par excellence di diffusione di un canzoniere in italiano. La radio è ora «un mezzo di comunicazione a carattere accentuatamente nazionale, forse il più compiutamente “italiano” tra tutti, il meno legato a specifiche realtà locali» (p. 459). La programmazione nazionale, che esiste dai primi anni trenta, e le politiche monopolistiche e centralistiche del Fascismo hanno ovviamente un ruolo nell’imporre tanto uno standard linguistico,9 quanto uno standard di
canzone, cristallizzandone le convenzioni e uniformando l’offerta. In parallelo emerge anche – in ritardo rispetto agli altri paesi – un divismo radiofonico (Ortoleva 1993, p. 450).
Dal punto di vista economico, l’avvento della radio non fa che consolidare il sistema di mercato esistente, garantendo introiti maggiori agli editori di
9 Se la radiofonia è stata oggetto di attenzione da parte degli storici della lingua, il ruolo
delle canzoni nello stabilire uno standard linguistico condiviso, mi sembra, è rimasto sullo sfondo, e meriterebbe certo uno studio più approfondito.
musica a stampa. L’editoria musicale rafforza così una posizione di potere che solo il boom del microsolco alla fine degli anni cinquanta comincerà a mettere in discussione. La canzone arriva agli ascoltatori della radio sia dal vivo (dal 1931 l’Eiar si collega con la Sala Gay di Torino, dove Cinico Angelini dirige la sua orchestra), sia da disco: nel 1930 un accordo con i discografici permette l’utilizzo di musica riprodotta per due ore al giorno (Cavallo & Iaccio 1981).
Anche il mercato del disco è in crescita durante l’era fascista, sebbene gli anni successivi alla crisi del 1929 segnino un crollo della produzione a livello mondiale (Gronow & Saunio 1998, pp. 57 e sgg.). I 78 giri (non certo economici sia come costo al dettaglio, sia come costi di produzione) puntano di norma a un pubblico colto offrendo incisioni di lirica e sinfonica. Ancora alla fine degli anni quaranta, queste rappresentano da sole un terzo dei tre milioni di 78 giri prodotti (De Luigi 2008, p. 16), ma la novità è che la canzone comincia a essere identificata anche con il supporto disco. È comunque un mercato meno rilevante, per il momento, che si impennerà solo con il 45 giri e l’arrivo dei juke- box – evento che in Italia si verifica, in ritardo rispetto al resto del mondo occidentale, solo alla fine degli anni cinquanta.
Dunque, la canzone italiana ha un suo pubblico anche prima della radio, e indipendentemente da essa. Tuttavia, è con il medium radiofonico (e in parte con il disco) che l’oggetto-canzone si impone per la prima volta, presso un pubblico di massa e nazionale, come oggetto sonoro la cui funzione passa da «canzone “da cantare” a canzone “da ascoltare” (e, eventualmente, da ballare)» (Salvatore 1997, p. 19). Sono anche gli anni in cui la canzone si impone veramente come «dispositivo intermediale», all’interno di un «sistema aperto» e «integrato» (Sala 2016, p. 58) il cui processo produttivo riguarda e tiene insieme media differenti: se un significato «italiano» della canzone si codifica in questi anni, questo avviene in un contesto intermediale.
È soprattutto la natura del medium radiofonico – nazionale, centralistico – a facilitare la cristallizzazione di una certa idea di canzone italiana, o «all’italiana», talvolta con elementi patriottici o di propaganda, o caratterizzata da un certo stile di canto basato sul modello belcantistico e degli stornellatori, con elementi popolareschi. Allo stesso tempo, è l’esistenza della radio su scala nazionale, una radio che trasmette ovunque (o quasi) gli stessi contenuti, a «creare» per la prima volta un pubblico nazionale, una «comunità costellata» –
nei termini di Altman (2004a) – in cui gli ascoltatori possono immaginare un legame con altri ascoltatori, dando vita a una comunità, per il solo fatto che sanno che «là fuori» qualcun altro, italiano, sta ascoltando lo stesso programma, la stessa canzone.
Il nuovo medium contribuisce anche a fissare alcuni elementi tecnici e formali. Come ha annotato Salvatore in riferimento ai primi anni cinquanta (ma il discorso è valido anche per il periodo fascista), la «vocazione a rivolgersi “a tutti”» che caratterizza la canzone di questi anni limitava per gli autori la possibilità di essere originali, e l’«uso obbligato del microfono, ancora poco versatile, tendeva a uniformare le impostazioni vocali su criteri un po’ artificiosi di “discrezione” e “morbidezza”» (Salvatore 1998, pp. 333-334). Gli elementi più tipici della canzone italiana, compresi quelli poi interpretati come deteriori, si stabilizzano allora a partire dagli anni della radiofonia, e lo stesso vale per alcuni caratteri del «canto all’italiana». La nascita della canzone italiana così come la conosciamo si spiega soprattutto nel contesto della neonata radiofonia nazionale.