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Teorie dei generi letterari e idee di storia

Un modello pragmatico dei generi musical

1. Le teorie dei generi e la storia

1.2. Teorie dei generi letterari e idee di storia

1.2.1. Generi tradizionali e (neo)classici

Come è emerso dal CAPITOLO 2, articolare una concezione «tradizionale» di

genere con una pratica storiografica «nuova» è compito arduo, perché le teorizzazioni classiche del genere hanno teso a spiegarlo come categoria ideale, assoluta e metastorica.

Il fatto che i generi «esistano» come categorie metastoriche e assolute fa sì che essi siano interpretati come prescrittivi: è il genere a determinare il campo di ciò che è culturalmente accettabile in un dato momento, a guidarne le interpretazioni, a determinare aspettative e risposte del pubblico. Il progresso del campo artistico può essere così misurato in termini di adesione o scarto rispetto a determinate strutture o norme. Il corollario è, ancora, quello dello sviluppo diacronico come inevitabile decadenza da forme generiche «pure», con conseguenze sull’organizzazione della storia che sono state già annotate.

Questo «funzionamento delle definizioni dei generi come criteri critici» è tipico della concezione della poesia che prevale fino all’epoca romantica (Schaeffer 1992, p. 30). È il Romanticismo letterario a cambiare le carte in tavola, aderendo ad una concezione «essenzialista» del genere letterario, in cui le «metafore organicistiche» (già presenti da Aristotele in poi) «cessano di essere euristiche» per diventare reali, in un certo senso: «il modo in cui le teorie essenzialiste si servono della nozione di genere letterario è più vicino al pensiero magico che non all’investigazione razionale» (p. 32). La parola, cioè, crea la cosa, il genere si sovrappone ai testi e ne costituisce l’essenza, il «principio genetico» (p. 33). La persistenza di «veri e propri “cimeli romantici” [“romantic relics”]» nel nostro modo di organizzare la musica e attribuirle significati e valori è stata riconosciuta come decisiva da Sorce Keller (2012, p. xii).

Questa tendenza, che non nasce con il Romanticismo ma che il Romanticismo mette al centro della propria interpretazione della letteratura, ha ramificazioni importanti nell’ottocento nelle concezioni idealiste alla Hegel ed evoluzionistiche alla Brunetière (1980). Su quest’ultimo è evidente l’influenza del modello del darwinismo: la concezione deterministica dello studioso francese rappresenta l’apice di un modo di scrivere la storia dell’arte come metafora biologica, la cui influenza si estende fino a oggi. È un modo di fare

storia attraverso i generi che attribuisce una «vita» ai generi stessi, e che si serve di concetti come «nascita», «crescita» e «morte». Sebbene nessuno possa, in serenità, far propria questa concezione in epoca di postmodernità, tuttavia è facile riconoscerne i residui (i «cimeli») nei discorsi quotidiani sui generi, e nel nostro modo di pensarli attraverso metafore biologiche. È quasi un luogo comune dire che il punk abbia «ucciso» il progressive rock. Lo stesso rock è «morto» ciclicamente in ogni decennio dalla sua nascita ad oggi, e il western «rinato» con Quentin Tarantino.

Proprio contro l’interpretazione evoluzionista dei generi si pone la visione di Benedetto Croce, la cui riflessione sull’estetica mira «ad eliminare praticamente tutti i discorsi critici sul genere» (Altman 2004a, p. 13), nel quadro del progetto di una sola arte:

Tutti i volumi di classificazioni e sistemi delle arti si potrebbero (e sia detto col massimo rispetto verso gli scrittori che vi hanno versato sopra i loro sudori) bruciare senza alcun danno. (Croce [1902] 1990)3

La prospettiva idealista della «fine dei generi» – ovvero l’idea che i generi non siano più necessari – è destinata a lunga fortuna, indipendentemente dal suo essere associata con Croce. Il rifiuto dei generi ha il merito di re-indirizzare il dibattito sugli stessi: non si oppongono più generi a generi, ma generi a singoli testi (o, nel caso della musica, a opere). Se prima «tutte le composizioni letterarie e gli atti interpretativi erano stati visti […] come esistenti dentro i confini dei generi», questo modello colloca il genere al «polo opposto a quello dell’innovazione modernista» (Altman 2004a, p. 13). Lo stesso principio, seppur declinato in termini diversi, riappare in epoca postmoderna, ad esempio con il concetto di «pastiche» (Jameson 1989).

Il genere diventa allora un principio conservatore da sovvertire, come un residuo del passato che ogni ideologia progressista dell’arte deve avversare. Questa interpretazione dei generi si collega con un’estetica modernista che valuta positivamente il «nuovo», l’«originale», la rottura dei codici contro l’imitazione del passato, la cui origine si può situare nell’ottocento (Sorce Keller 2012, p. 75), che prolifera all’inizio del ventesimo secolo e che è ancora oggi ben

riconoscibile in diversi campi. È quasi un luogo comune per i musicisti affermare di «non credere dei generi», o di rifiutare le etichette che fan e critica attribuiscono loro. Metafore come la gabbia («non voglio essere ingabbiato in definizioni!»), o legate al confine, con concetti come «ibridazione», musica «oltre i generi», o «senza genere» si spiegano in questo sistema di pensiero. Una storia dei generi basata su questa linea di pensiero tende verso la fine della storia stessa, al disgregamento, alla mancanza di coerenza.

1.2.2. Generi, strutturalismo, semiotica

È lo sviluppo di nuove correnti ermeneutiche a riportare il tema dei generi letterari al centro del dibattito teorico, superandone la visione statica ed essenzialista e introducendo la dimensione storica e sociale. Il formalismo russo prima, la linguistica saussuriana, la semiotica, i concetti di cooperazione interpretativa, di opera aperta, lo strutturalismo successivamente, ravvivano l’interesse per i generi e costringono a un loro radicale ripensamento. L’apparente crisi della linea (neo)classico-romantico-idealista dei generi (che continua comunque a sopravvivere in molti discorsi sulla musica e non solo) si inscrive infine nella ridefinizione del campo letterario e artistico in epoca postmoderna, al punto che i due fenomeni – l’aggiornamento dei paradigmi interpretativi e la percezione di una «disgregazione» nelle arti, o in senso crociano di una sparizione delle classificazioni – sembrano strettamente interdipendenti. Si esprimeva così Tzvetan Todorov, uno dei più influenti teorici del genere letterario nel novecento:

Continuare a occuparsi dei generi può apparire ai nostri giorni un passatempo ozioso, se non anacronistico. […] Persino i generi del novecento, che tuttavia ai nostri occhi non sono più completamente tali – poesia, romanzo –, sembrano disgregarsi, almeno nella letteratura “che conta” [...]. Per uno scrittore, non obbedire alla più alla separazione dei generi sarebbe persino un segno di autentica modernità. (Todorov 1993)4

Si noti il riferimento alla letteratura «che conta», che conferma come, da un lato, il problema del superamento dei generi riguardi ambizioni di validazione

4 I generi del discorso (Todorov 1993) contiene saggi scritti fra il 1971 e il 1977, e si

estetica, e sottintendendo d’altra parte la sopravvivenza di molte delle concezioni «vecchie» di genere in campi altri dalla letteratura «alta».

I generi, secondo Todorov, derivano da «atti linguistici»; una società «sceglie e codifica gli atti che corrispondono più da vicino alla sua ideologia»5

(Todorov 1993, p. 51). Il teorico russo, partendo da una critica mossa a Northrop Frye, aveva precedentemente distinto i generi «storici» (che risultano «dall’osservazione della realtà letteraria») dai generi «teorici» (che nascono da una «deduzione di ordine teorico» (Todorov 1977). I primi esistono nella storia, i secondi vanno analizzati come categorie astratte. I primi sono categorie «metadiscorsive» (si trovano cioè nel discorso sui generi), i secondi categorie «discorsive». La natura istituzionalizzata e sociale dei generi letterari, se pure non agisce come principio ideale o immanente nel governare il corso della letteratura, fa sì che i generi funzionino come «“orizzonti d’attesa” per i lettori e come “modelli di scrittura” per gli autori» (Todorov 1993, p. 49). I contributi pionieristici di Northrop Frye (1969), di Todorov, e in generale di strutturalismo e post-strutturalismo a una nuova teoria dei generi sono decisivi nell’allargare il campo di applicazione della teoria: dalla sola letteratura (un corpus di testi già canonizzati) a tutte le pratiche discorsive.6 Dunque, riportando il concetto di

genere nell’alveo del dibattito sulla retorica (Derrida 1980; Miller 1984).

L’idea che i generi possano essere «storici», ovvero generati da interpretazioni codificate del tempo, rappresenta senz’altro una svolta nella storia delle teorie dei generi. La questione irrisolta riguarda piuttosto la distinzione fra «generi storici» e «generi astratti» e «teorici», che ripropone il tema dell’autorità del critico: in una visione storica, questo modo di intendere i generi «congela» l’opera d’arte (il termine è di Frye) e lavora con categorie astratte (i generi teorici) su «spaccati sincronici» (Todorov 1977, p. 11): i generi esistono diacronicamente nella storia della letteratura, ma lo studioso agirebbe sincronicamente «tagliandone» dei quadri; la storia si genererebbe dialetticamente in questo confronto. Si tratta, comunque, di un modello

5 Todorov collega la nascita dei generi alle trasformazioni subite da alcuni «atti

linguistici»: l’atto linguistico del «pregare» sarebbe alla base del genere «preghiera»: dunque, al centro del modello evolutivo dei generi letterari (che nascono sempre da altri generi) c’è necessariamente un atto linguistico. Già questo ci suggerisce come il modello non sia facilmente applicabile a campi altri da quelli della letteratura, o del linguaggio verbale.

principalmente sincronico, per quanto corretto da una dimensione diacronica. L’analisi semiotica dei generi, sebbene non insensibile a preoccupazioni di natura storica, «fu per definizione fin dall’inizio mirata a ignorare la storia» (Altman [1984] 2004, p. 330).