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Come suona una «canzone italiana»? Identità nazionale e stereotipi musical

L’invenzione della «canzone italiana»

2. Canzone, italianità musicale e pubblico nazionale

3.2. Come suona una «canzone italiana»? Identità nazionale e stereotipi musical

Fino a ora si è parlato, molto generalmente, di un’idea di «italianità musicale» cristallizzatasi nel corso dell’ottocento, soprattutto grazie al successo globale del repertorio operistico e della canzone napoletana, e consolidatasi intorno al repertorio della canzone italiana del «Trentennio». Ma come viene espressa questa «italianità» nelle canzoni di questi anni? Che cosa differenzia una canzone «tradizionale» da una «moderna»? Insomma, come deve suonare una canzone per essere «italiana»?

Philip Tagg si è occupato in modo approfondito di come determinate strutture musicali – strumenti, cadenze, comportamenti armonici, ritmici, timbri… – possano contribuire a creare significato. I significati connessi con la nazionalità o la provenienza geografica di una musica possono essere efficacemente spiegati con quelle che Tagg chiama «style flags», «marche di stile», e che vengono distinte fra «indicatori di stile» e «sineddochi di genere» (Tagg 2012, p. 522). Gli indicatori di stile stabiliscono uno stile-base («home style»), e tendono a essere costanti per tutta la durata di un brano: un esempio classico possono essere gli indicatori di ritmo (ad esempio: un «tango» per indicare «Sudamerica»), o un certo comportamento armonico. Gli indicatori di stile permettono l’esistenza delle «sineddochi di genere», che si definiscono per contrasto rispetto allo stile-base di un pezzo. La sineddoche – pars pro toto – veicola significati extramusicali, dice Tagg. Per fare un esempio banale: gli indicatori di stile della Carmen di Bizet (l’orchestrazione, la qualità delle voci…) la collocano nel dominio della musica eurocolta.71 Le musiche contengono però

numerose sineddochi di genere che stanno per «Spagna», «ispanismo»: cadenze frigie, ritmo di habanera... Questi elementi assumono questi significati in rapporto al contesto: in un altro contesto il ritmo di habanera può significare semplicemente «musica da ballo» (ad esempio, nella Cuba dell’ottocento).

71 Ma potremmo facilmente estendere il concetto agli aspetti paramusicali: il contesto

previsto dall’autore per l’esecuzione dell’opera, ad esempio: una sala da concerto, un teatro lirico, e non un club, un’osteria o una plaza de toros

Proviamo a considerare la canzone italiana degli anni di Sanremo in questi termini.

3.2.1. Canzoni «italiane», «americane», «europee»: Ruccione contro Rossi

Una fonte attendibile per affrontare il tema è lo spesso citato Mario Ruccione: attivo dal periodo fascista, identificato per tutti gli anni cinquanta con il gusto più tradizionale e autore di canzoni che ancora oggi sono associate con il tipico cliché sanremese, su tutte «…e la barca tornò sola» e «Buongiorno tristezza». Nel 1955 Ruccione, in una lettera aperta dalle pagine di Sorrisi e canzoni, si scaglia contro la Rai, ritenuta colpevole – alla luce di alcune scelte recenti – di favorire la musica straniera.72 Ruccione preferirebbe che i giovani cantanti che

l’ente deve selezionare fossero valutati solo per le loro interpretazioni di «canzoni di autori italiani, del genere “italiano” sia ritmico che melodico». Dunque, esistono almeno due «tipi» di canzone italiana, una melodica più tipica, e più propriamente «italiana», e una «ritmica». Ruccione specifica meglio quello che ha in mente poche righe più sotto, quando accusa la Rai di «sacrificare la tipica canzone italiana in favore di un genere di canzoni anonimamente melodico»,73 definito «europeo», «mortificando la migliore

tradizione della nostra produzione». In particolare Ruccione sostiene che questo genere non sarebbe gradito al pubblico, che infatti ha punito i motivi usciti dal recente Festival di Venezia, nessuno dei quali avrebbe raggiunto il successo.

Due settimane dopo, dalle stesse pagine, Carlo Alberto Rossi risponde a Ruccione. Rossi è un autore della generazione più giovane: è nato nel 1921, dunque ha tredici anni in meno del collega. All’epoca aveva già scritto la musica di brani come «Amore baciami» e «‘Na voce, ‘na chitarra e ‘o ppoco ‘e luna», e più avanti scriverà per Mina «Le mille bolle blu». Rossi è anche editore musicale (con la Ariston prima, e in proprio con la C.A. Rossi Editore poi), dunque le sue schermaglie con Ruccione hanno un significato politico più ampio. Dopo aver dichiarato che «non esiste tradizione o non tradizione, europeismo, americanismo o meno» ma che «esiste solo della buona, della

72 Mauro Ruccione, «Lettera aperta di Ruccione alla Rai», Sorrisi e canzoni, a. 4, n. 50,

11 dicembre 1955, p. 3.

mediocre, della scadente musica […] a prescindere “dal genere”», Rossi specifica quali sono gli elementi deteriori del genere «italiano», e quali le ambizioni di una canzone italiana «moderna»:

[…] perché il pubblico italiano sente il bisogno di respirare anche aria nuova, di fischiettare motivi che non contengano ogni quattro minuti una terzina sulla quale normalmente si gorgheggia una buona mezz’ora…74

La descrizione di Rossi non stupisce più di tanto: si potrebbe anche liquidare il discorso e riconoscere nel carattere melodico dei brani e nel virtuosismo dei cantanti gli elementi che una canzone deve possedere per suonare «italiana», gli «indicatori di stile» dell’italianità. La centralità della melodia nelle pratiche orchestrali è anche teorizzata in uno dei rari manuali dedicati agli arrangiatori, firmato da Pippo Barzizza (non certo un tradizionalista) nel 1952, e non è difficile riconoscere come carattere tipico delle voci di questi anni una tendenza ad abbellire la melodia con melismi, a cantare con voce impostata (tenorile, o con un falsetto «da stornellatore», per gli uomini). Si tratta di un’associazione semantica piuttosto evidente, se – per esempio – uno degli alfieri di questo stile, Giorgio Consolini, può essere pubblicizzato sulle pagine di Musica e dischi come «il cantante nazionale».

Al contrario, allora, la presenza di ritmi d’importazione sarebbe sineddoche di «americanità» e di «gusto moderno». Più difficile è riconoscere che cosa Ruccione intenda per canzone «europea», ma si potrebbe pensare alluda ad alcuni discreti successi recenti di Rossi, in cui non è riconoscibile un carattere chiaramente «americano», ma che neanche espongono particolari marche di «italianità». Ad esempio, i due valzer «Mon pays» (che vince nel 1954 il già citato Festival della canzone italiana di Parigi)75 e «Vecchia Europa»

(vincitrice al Festival di Venezia), in cui il ritmo ternario e il testo contribuiscono a costruire una sorta di nostalgia da belle époque per –

74 Carlo Alberto Rossi, «C. A. Rossi risponde a Ruccione», Sorrisi e canzoni, a. 4, n. 52,

25 dicembre 1955, p. 10.

75 Luciana Peverelli, «Trionfa la canzone italiana a Parigi», Sorrisi e canzoni, a. 3, n. 19,

rispettivamente – Parigi, e l’Europa «dal Tevere fino alla Senna […] fra i tigli del Prater di Vienna».76

È tuttavia molto facile dimostrare come le cose siano ben più complesse, e come non sia possibile spiegare concetti come «italianità», «europeismo» o «americanismo» solamente in questi termini. Le contraddizioni sono particolarmente evidenti per l’ascoltatore di oggi, la cui competenza e le aspettative connesse con il suono di una «tipica canzone italiana» rendono particolarmente arduo catalogare i brani di questi anni secondo le categorie di Ruccione o Rossi. Un’analisi appena più approfondita dei brani delle diverse correnti come erano riconosciute all’epoca conferma come il carattere «italiano» non sia in riducibile ai soli termini musicali.

Si possono prendere, a titolo di esempio, alcuni dei brani citati nelle loro lettere da Ruccione e da Rossi a sostegno della propria causa, e verificarne le somiglianze e le differenze. Per esempio, che cosa differenzia – per restare a brani firmati dai due compositori – una canzone come «Buongiorno tristezza» (Fiorelli-Ruccione, vincitrice al Sanremo del 1955) da «Avventura a Casablanca» (Nisa-Rossi, del 1954)? 77 All’ascolto contemporaneo, entrambe

sembrano riconducibili a un generico filone di «canzone all’italiana». Entrambe sono state cantate, in diverse versioni in quegli stessi anni, da interpreti affermati del canto «all’italiana»: fra gli altri, Claudio Villa e Tullio Pane nel primo caso, Luciano Tajoli e Gino Latilla nel secondo.

I profili melodici dei due brani hanno numerosi punti in comune. Lo hook principale di entrambe le canzoni, il cui cantato contiene il titolo, 78 – in

corrispondenza dei versi «buongiorno tristezza» e «cantavi in un caffè di Casablanca» – è basato su una melodia ascendente, che parte dal quinto grado della scala della tonalità d’impianto, e si estende per un’ottava: da re3 a re4 nel caso di «Buongiorno tristezza» (in sol minore, considerando la versione di

76 Dieci anni di canzoni con C.A. Rossi, Canzoni nel mondo, n. 1, settembre-ottobre

1957, raccolta di spartiti.

77 Il brano sarà ripreso da Rosanna Fratello a Canzonissima 1970.

78 Lo «hook» è «l’elemento memorabile, il “gancio” per l’attenzione dell’ascoltatore»,

Villa)79, da un la2 a un la3 (in re minore) per «Avventura a Casablanca».80

Entrambe le canzoni terminano con l’acuto finale.

A dispetto del titolo, «Avventura a Casablanca» non contiene riferimenti musicali che possano suggerire un qualche esotismo, se si esclude l’intelligente appoggio di semitono che apre il chorus e anticipa lo hook, in corrispondenza della parola «ricordo» (la – si bemolle – la), che rappresenta la cellula su cui l’intera melodia è costruita, e che potrebbe alludere, forse, a un’atmosfera arabeggiante. Al netto del riferimento esotico alla città marocchina, la donna vagheggiata dal protagonista della canzone è però vista «cantare “Amado mio” con languor», suggerendo un cosmopolitismo che è ben inscritto in quella si potrebbe riconoscere come la vena «europea» di Carlo Alberto Rossi.

La diatassi81 di entrambe le canzoni è basata su una tipica struttura

chorus-bridge, da song americano. Nel caso del brano di Ruccione, la struttura è piuttosto dilatata (nella versione di Villa a Sanremo il brano dura oltre sei minuti). Un verse lento e introduttivo prepara il lancio dei due primi chorus, su cui entra per la prima volta, inequivocabilmente, il ritmo che sostiene il pezzo. Segue un bridge da manuale, poi un nuovo chorus, e una ripresa del verse, cui segue ancora la struttura canonica.

Intro strumentale (organo) e Verse 1 – Chorus 1 – Chorus 2 – Bridge – Chorus 3 – Intro strumentale (organo) e Verse 2 – Chorus 1 - Chorus 2 – Bridge – Chorus 3 – Chorus finale (strumentale + acuto).

«Avventura a Casablanca» procede in modo simile, anche se manca il verse.

Intro – Chorus 1 – Chorus 2 – Bridge – Chorus 1 – Chorus strumentale – Bridge – Chorus 3 – Coda.

79 Si noti che Villa canta in falsetto. Mi rifaccio all’incisione in 5° Festival della Canzone

Italiana Sanremo 1955, op. cit.

80 Mi rifaccio allo spartito presente in Dieci anni di canzoni con C.A. Rossi, op. cit. La

versione di Tajoli ascoltabile in rete, più tarda, è comunque nella stessa tonalità: www.youtube.com/watch?v=qqVHqw89xXE; accesso: 14 settembre 2015.

81 Con il termine «diatassi» Philip Tagg indica l’organizzazione strutturale degli