Un modello pragmatico dei generi musical
4. Un modello pragmatico
4.5. Ripensare i concetti chiave
4.5.4. Stile e stilizzazione
Nella letteratura musicologica il termine «stile» e quello di «genere» sono spesso sovrapposti, e sostituibili l’uno all’altro, e così altri termini (per esempio «forma»: Fabbri 1982a, p. 55). D’altro canto, il termine «stile» ha significato diverso nei cultural studies, dove è alla base stessa della formazione di «subculture» (Hebdige [1979] 2002).34 Questo fraintendimento giustificherebbe
da solo – almeno per il campo dei popular music studies – la scelta di un termine meno connotato come «genere». D’altro canto, il termine «stile» è usato spesso con significato analogo a quello di genere anche da studiosi di popular music (Moore 2001; Fabbri [2002] 2008, p. 73).
Fabbri e quanti si sono iscritti alla sua linea distinguono uno «stile» come «insieme di norme musicali-strutturali» (Tagg 2012, p. 267) – cioè, gli aspetti più strettamente «musicali» della codificazione di un genere –
33 Come si è già notato, nei contributi più recenti Fabbri (2012a) parla di «convenzioni»
(«conventions») e non di «norme socialmente accettate» (come in 1982a). Visto il paragone con il sistema linguistico, il termine «convenzione» è in effetti più adatto allo scopo, per quanto le «norme» di Fabbri fossero da subito «socialmente accettate», e i due termini siano quasi sinonimi. Il che non toglie che determinate convenzioni, in determinate comunità, possano essere «pensate» con un carattere decisamente normativo (si veda sul tema, anche in riferimento al superamento del concetto di «habitus»: Fabbri 2012b, p. 22).
34 Questa accezione di «stile» andrebbe anche trattata in parallelo a quella di
da un «genere» inteso come codice di livello superiore, che include anche lo «stile». Tuttavia, quella di «stile» è anche una «nozione cross-generica» (Marino 2014, p. 52), poiché uno stile – o anche un «idioletto», ovvero uno stile personale – può essere altamente riconoscibile anche all’interno di generi diversi. Come, d’altro canto, si possono «fare» e esistono «stili di genere», e le citazioni stilistiche sono talmente comuni da non costituire di per sé marche di identità (Fabbri 1982a, p. 55). Per esempio, l’idioletto chitarristico di Carlos Santana è riconoscibile indipendentemente dal genere della canzone in cui lo si ascolta, e un «basso funky» è tale anche all’interno di un brano di canzone d’autore.
In ogni modo, il significato – che è almeno duplice – di «stile» contribuisce al concetto di genere: Marino ha suggerito di considerare il genere musicale come uno «stile musicale legato a uno stile socio-culturale, ovvero connotato da significati e funzioni socio-culturali» (Marino 2014, pp. 44; 49 e sgg.) – una soluzione salomonica, anche se probabilmente valida solo per quei generi «più generici». In una concezione più ampia, è ragionevole pensare che possano esistere generi che sono definiti stilisticamente solo in senso musicale, o solo in senso socio-culturale.
Quello che accomuna le due accezioni di «stile» – quella musicale e quella socio-culturale – va ricercata ancora nei processi diacronici: accettando la definizione di Meyer di stile come «replication of patterning» (1989, p. 3), lo «stile» è appunto quello che viene replicato nel tempo, e la cui replica si codifica in convenzione. Lo sviluppo diacronico delle convenzioni di genere può allora essere efficacemente descritto nei termini di una stilizzazione (adattando il concetto da Bachtin 1979). Attraverso la stilizzazione nuovi testi vengono creati a partire da elementi di un modello, elevandone alcuni elementi a stile (ovvero, a convenzione stilistica). Fra gli elementi che possono essere stilizzati e replicati ci sono tanto gli «stili individuali», o gli «idioletti» – che possono dare vita a «stili» condivisi – quanto gli stili condivisi stessi. Ma questo processo non riguarda solo lo «stile» in senso formale (suonare «nello stile di…»), ma ogni elemento replicabile, compresi gli altri aspetti descritti dai diversi tipi di norme di genere, compresi quelli ideologici. «Stilizzare» un elemento significa, intanto, riconoscerlo come distinto da altri elementi, come dotato di senso in sé («ontologizzarlo», in qualche modo), perché possa essere replicato nel tempo.
Allora, la codificazione diacronica dei generi avviene attraverso processi di stilizzazione, che possono riguardare qualunque aspetto fra quelli coperti dalle norme di genere riconosciute da Fabbri, dal sound al tipo di pettinatura, dalla prossemica al contesto in cui si svolgono determinate attività, dal modo di pensare la comunità di genere fino al rifiuto di nominare il genere stesso, dalle estetiche alle poetiche. I processi di stilizzazione sono regolati pragmaticamente dalla mediazione fra i diversi membri di una comunità di genere.
4.5.5. Ideologia
Precedentemente si è sostenuto come i modi in cui concepiamo il concetto di genere, e in cui organizziamo lo spazio musicale in generi, non siano separabili da posizionamenti ideologici – ovvero, come ideologie siano al centro dei processi di «ontologizzazione» della musica. In senso più ampio, si tratta di ammettere che ogni scelta non è mai neutrale, e che questo riguarda anche il nostro modo di organizzare il discorso, e le nostre capacità di formulare teorie, anche in chiave di auto-riflessione metodologica: quella di «ideologia» è infatti divenuta «una nozione essenziale negli studi critici dei discorsi accademici sulla lingua», e «veicola una sorta di consapevolezza autoriflessiva della comparabilità di fondo fra concezioni della lingua “popolari” e “di esperti”, oltre che dei modi in cui interessi nascosti possono influenzare entrambe» (Errington 2001, p. 158). Anche i modi in cui pensiamo i generi (ad esempio, come entità essenziali, o come strutture relative) sono collegati allora a posizionamenti ideologici. Fabbri aveva suggerito, sulla scia di Eco (1975) di trattare il concetto di ideologia (anche nel suo significato di «falsa coscienza») come un’«ipernorma» che struttura le singole norme/convenzioni di un genere, e che assegna loro una priorità anche gerarchica, nella codificazione di un genere. Il processo di stilizzazione, dunque, è strettamente collegato con l’insieme di credenze e valori del «parlante di genere» e della sua (delle sue) comunità di riferimento.
Nella società occidentale, le strategie più comuni attraverso cui viene attribuito il valore «artistico» riguardano ideologie del «nuovo» e dell’«autentico», variamente declinabili in ideologie sorelle. È il caso dell’«autorialità»: la pratica di attribuire valore a un oggetto (musicale e non) in
quanto frutto del genio individuale non è scindibile da un’ideologia dell’autenticità, attiva in un sistema di valori che «antepone l’innovazione alla tradizione, la creazione alla riproduzione, l’espressione personale alle abitudini correnti» (Cook 2005, p. 16). La strutturazione gerarchica delle convenzioni di genere segue principi ideologici di questo tipo: è il riconoscimento di una «novità» a far sì che un singolo elemento discreto possa essere validato e stilizzato. È l’interpretazione di alcuni elementi in quanto «marche di autenticità» a strutturare le convenzioni di molti generi.
In quanto principio che «gerarchizza» e mette ordine fra le convenzioni di genere, e guida la selezione di quali elementi sia riconoscibili come discreti e stilizzabili, l’ideologia è strettamente collegata con le estetiche della musica. I processi pragmatici di mediazione fra «parlanti di genere» che portano alla codificazione dei generi musicali non sono pensabili come indipendenti da processi di validazione estetica (di segno positivo o negativo: un insieme di fatti musicali può anche essere riconosciuto e codificato come «non dotato di valore estetico»). La formazione di un «canone» di fatti musicali significativi di un dato genere (solitamente, opere e artisti) è un processo che avviene, diacronicamente, proprio in conseguenza di questi processi di autenticazione.