L’invenzione della «canzone italiana»
2. Canzone, italianità musicale e pubblico nazionale
3.1. Sanremo e l’«italianità» della canzone
3.1.3. Il tifo per la canzone, le riviste popolari e la costruzione dell’italianità
Gli anni del successo dei festival della canzone italiana sono anche gli anni in cui, in Italia, si allargano gli spazi per il repertorio popular: sulla radio, sui dischi, dal 1954 in televisione. In parallelo fiorisce il settore della stampa popolare, che dedica spazio crescente alla canzone e ai suoi divi. Già prima della guerra riscuoteva grande successo il Canzoniere della radio, pubblicato dall’editore Campi di Foligno, che riportava i testi dei brani trasmessi dall’Eiar, e che continua la sua pubblicazione anche oltre il 1945. Campi, che pubblicava anche alcuni classici della stampa popolare come l’Almanacco Barbanera, aumenta l’attività nel dopoguerra facendo uscire diverse serie di canzonieri periodici, con le sole liriche, intitolati in vario modo: Canzoni di primavera, Canzoni alle stelle, Canzoni al sole, Canzoni al vento, Canzoni al chiar di luna… Con una mossa che si rivelerà particolarmente azzeccata, l’editore si aggiudica l’esclusiva per la riproduzione dei testi di Sanremo, e dal 1951, in corrispondenza con il primo Festival, lancia Sorrisi e canzoni (diventerà, in seguito, Sorrisi e canzoni TV). Oltre ai testi delle canzoni di successo e ai programmi della radio, la nuova rivista comincia a pubblicare anche articoli, a tema musicale e non solo: interviste con servizi fotografici ai divi, pezzi di costume, gossip sulle star, novità sul jet-set internazionale… In breve tempo, Sorrisi e canzoni diventa uno dei rotocalchi di maggior successo in Italia (anche grazie all’esclusiva sulla pubblicazione dei testi, che resiste per diversi anni).
Sorrisi e canzoni non è naturalmente la sola rivista a occuparsi di canzone: in quegli stessi anni il settore della stampa popolare si espande notevolmente. Fra il 1950 e il 1955 Oggi passa da 500mila a 760mila copia, Tempo da 150mila a 420mila, Epoca da 200mila e 500mila (Murialdi 1980), senza contare la stampa legata al Partito Comunista e le riviste cattoliche come Famiglia Cristiana, che aumentano la tiratura nello stesso periodo. La canzone e i nuovi divi della «musica leggera» sono uno dei temi più coperti.
Le stesse riviste portano avanti quel modo «competitivo» di raccontare la canzone, che nasce insieme a Sanremo. Sorrisi e canzoni comincia a promuovere i primi referendum sulla canzone, ampie operazioni promozionali e conoscitive (per profilare la propria readership) in cui i lettori sono chiamati a scegliere, tramite una cartolina ritagliabile, i propri cantanti favoriti. Il
linguaggio che il rotocalco usa per spingere questi sondaggi alterna un registro da cronaca politica a uno da cronaca sportiva. «Si scatena la battaglia elettorale», «Finalmente il voto ai tifosi della canzone», «Al grido di “Viva Villa” rispondono “Forza Togliani”», e addirittura «Vota per chi vuoi ma vota e fai votare» sono solo alcuni dei titoli che accompagnano uno dei lanci del referendum 1955.46 I lettori e i cantanti si fanno fotografare con cartelli scritti a
mano a supporto dell’uno o dell’altro (FIGURA 5.2), e addirittura Claudio Villa
viene raffigurato sulla copertina come un ciclista che fende due ali di folla mentre «scatta simbolicamente verso il traguardo di Sanremo», riassumendo in sé l’iconografia del campione del Tour o del Giro tanto cara alla retorica italiana del dopoguerra (FIGURA 5.3).47 Alla fine, una «giuria di 160.000 lettori»
sancisce che sono Claudio Villa e Nilla Pizzi i «cantanti più popolari del 1954».48
FIGURA 5.2. Supporter di Giacomo Rondinella in corteo. FIGURA 5.3. Claudio Villa sulla copertina di Sorrisi e canzoni.
È la prima volta che esistono in Italia spazi del genere per parlare di canzone. Questa inedita «rete» nazionale di discorsi sulla musica alimenta l’offerta per una crescente domanda del pubblico. È anche grazie a queste reti di discorsi – e
46 «Si scatena la battaglia elettorale», Sorrisi e canzoni, a. 4, n. 3, 16 gennaio 1955, p.
16.
47 Copertina, Sorrisi e canzoni, a. 4, n. 4, 23 gennaio 1955, p. 1.
48 Giorgio Berti, «Nilla Pizzi e Claudio Villa sono i cantanti più popolari del 1954»,
di quelle che sono tessute, negli stessi anni, dal cinema, dalla radio, dalla televisione – che si codificano le convenzioni della «canzone italiana» e il suo canone. Per esempio, Sorrisi e canzoni dedica un numero crescente di articoli alla canzone italiana del passato, proponendo profili di autori di epoca prebellica (molti dei quali, come Ruccione e E. A. Mario, ancora in attività), e riproponendone i testi: nel 1958, la rubrica «Mezzo secolo di canzoni» costruisce di fatto un canone di «evergreen» della canzone italiana, che incorpora progressivamente gli stessi brani di Sanremo, riproposti di anno in anno e storicizzati come «classici».
Questo modo di parlare di canzone, di attribuirle un valore e una storia nel solco di una «tradizione» è non solo inedito, ma impossibile prima del successo di Sanremo, della formula-festival e dell’espansione della stampa popolare. Le sue conseguenze sulla costruzione dell’«italianità» della canzone sono decisive. Una vignetta pubblicata nel 1954 sul popolare giornale umoristico Il travaso delle idee può aiutarci a capire perché. Vi si vede una folla di pubblico vociante, e due passanti commentano: «Di nuovo i capannelli in galleria! Sostengono che Pella è meglio di Fanfani?». «No, che «Piripicchio, piripacchio» è meglio di «Una barca tornò sola».49 Il titolo è: «Noi italiani» (FIGURA 5.4).
La rete di discorsi (e di polemiche) che accompagnano il Festival fin dalla prima edizione (e che lo accompagnano ancora adesso) diviene da questo punto in poi essa stessa tipica, e tipicamente italiana – al punto da aver preso il posto – è questo il paradosso della vignetta – del dibattito politico. Sanremo cioè, più che «specchio della nazione», è allora diventato una componente fondamentale di come la nazione immagina se stessa, nel bene e nel male.
49 I due titoli sono, naturalmente, canzoni di Sanremo in gara quell’anno. I titoli corretti
sarebbero, in realtà, «Piripicchio e Piripicchia» (di Tarcisio - Fusco), cantata dal Duo Fasano e da Gino Latilla con il Quartetto Cetra, e «…e la barca tornò sola» di Ruccione, cantata da Latilla e da Franco Ricci.
FIGURA 5.4. «Noi italiani», vignetta, febbraio 1954. 50
Alla costruzione di un’italianità della canzone in questi anni contribuisce anche un riconoscimento «dall’esterno». Le pagine di Sorrisi e canzoni riservano grande spazio alle tournée degli artisti italiani nel mondo, e ai loro immancabili successi dall’Unione Sovietica agli Stati Uniti. Nel 1953 si tiene a Parigi un primo Festival della Canzone Italiana. Le presentazioni della seconda edizione, prevista dal 26 al 28 marzo 1954,51 ci informano che la manifestazione avrà
luogo presso la Salle Pleyel, sotto la presidenza dell’Ambasciatore d’Italia a Parigi Quaroni e sotto il patrocinio della radio francese: vi partecipano Luciano Tajoli, Nilla Pizzi, Gianfranco Rondinella, Jula De Palma, Franco Ricci e Alma Danieli. Le canzoni, specifica il bando, «dovranno essere inedite per la Francia e avere un carattere tipicamente italiano». Il maestro Nello Segurini, uno dei promotori dell’iniziativa, ne parla nei termini di
una autentica manifestazione d’arte. È una ambasceria del bel canto italiano e della nostra bella musica popolare nella città più esigente e più smaliziata del mondo.52
Sorrisi e canzoni e Musica e dischi coprono diffusamente la manifestazione, fino a celebrare il «trionfo» degli «azzurri della canzone» alla presenza di grandi
50 Riprodotta in: Mario De Luigi, «San Remo… San Remo… San Remo», Musica e
dischi, febbraio 1954, p. 1. Si vedano anche i commenti sul tema espressi nell’articolo.
51 «Altri festival – Parigi», Musica e Dischi, n. 88, gennaio 1954, p. 20.
52 F.G., «La canzone italiana conquista Parigi», Sorrisi e canzoni, a. 3, n. 7, 14 febbraio
nomi della chanson francese, pur lamentando che alla fine «non si premiasse una canzone più tipicamente italiana»: vince infatti il primo premio assoluto «Mon pays», di Nisa-Rossi, cantata da Jula De Palma.53
Negli stessi anni, si registrano festival della canzone italiana in diversi paesi, dalla Russia54 all’Europa vicina. Il maestro Nello Segurini e un ente
chiamato IFIS – International Festival of Italian Song (insieme all’impresario londinese S.A. Gorlinsky) 55 promuovono nel 1956 un festival itinerante
intitolato Melodie italiane in Europa, che tocca Germania, Danimarca, Inghilterra, Olanda e Francia. Vi partecipano alcuni interpreti di rilievo della canzone italiana di quegli anni,56 fra cui Nilla Pizzi, Jula De Palma, Luciano
Virgili. Le pubblicità su Musica e dischi presentano l’evento come «la più grande iniziativa per l’affermazione della canzone italiana», con tanto di endorsement di Beniamo Gigli:
Sono convinto che il portare all’estero la canzone italiana sia il miglior mezzo per rafforzare la fraternità fra i diversi popoli, facendo loro conoscere la poesia dell’anima italiana.57
Sono selezionate trentanove canzoni, dalle maggiori case editrici italiane, e nel comitato d’onore compaiono il Ministro degli esteri, senatori e conti. Persino il papa – viene annunciato – riceverà in Vaticano la comitiva artistica di Melodie italiane in Europa.58 Il Festival sarà un mezzo flop economico, ma Segurini si
dirà soddisfatto del successo artistico: la canzone italiana – afferma – potrà essere, se si continueranno queste tournées, «la nostra migliore ambasciatrice».59
Complice anche la presenza di comunità di emigrati italiani in varie parti del mondo, la «canzone italiana» comincia allora a essere percepita come un
53 Luciana Peverelli, «Trionfa la canzone italiana a Parigi», Sorrisi e canzoni, a. 3, n. 19,
9 maggio 1954, pp. 2-5.
54 Nello Segurini, «Grazie Italia gridavano i russi ai nostri cantanti», Sorrisi e canzoni,
a. 6, n. 26, 30 giugno 1957, pp. 7-9
55 «Recentissime sui festival», Musica e dischi, n. 115, marzo 1956, p. 42.
56 Pino Losca, «L’ambasciatore della canzone», Sorrisi e canzoni, a. 5, n. 11, 11 marzo
1956, p. 6.
57 Musica e dischi, n. 116, aprile 1956, p. 42. 58 Musica e dischi, n. 117, maggio 1956, pp. 36-37.
59 Nello Segurini, «Il Festival “Melodie Italiane in Europa”, Musica e dischi, n. 119,
genere coerente anche grazie alla sua diffusione internazionale attraverso dischi, tournée di cantanti e iniziative come quella di Segurini. Un riconoscimento «dall’esterno» contribuisce di certo alla codificazione delle sue convenzioni e della sua «italianità». Anche le aspettative oggi connesse con la canzone italiana in molti paesi stranieri (l’ex blocco sovietico su tutti, come è facile sperimentare per chiunque vi si rechi) si delineano a partire da questi anni: non a caso, queste stesse aspettative appaiono oggi, dal punto di vista italiano, appartenenti al passato più che al presente della canzone italiana.
3.1.4. «Buone cose di pessimo gusto»: nostalgia, leggerezza, effimerità
Uomo: «Ho da ridire che sono stufo di certe canzoni moderne» Riva: «Ho capito, lei è uno di quelli che preferiscono le canzoni di un tempo!»
Uomo: «Lo credo bene! In quelle sì che c’era sentimento! Altro che le futilità d’oggi!»
Riva: «Perché, secondo lei le capinere sono molto più importanti delle papere?
Uomo: «Che c’entra? Le capinere avevano una loro ragione d’essere. Ma queste papere che si innamorano dei papaveri… Ma quando s’è visto».60
Il richiamo a un carattere nazionale della canzone idealizzato nel passato si inscrive, più in generale, in un atteggiamento nostalgico nei confronti della musica del «tempo che fu». Quello della prima «canzone all’italiana» è un mondo popolato da «canzoni di un tempo» che avevano tanto «sentimento», se comparate con il degrado del gusto moderno, come ironicamente sottolinea lo sketch riportato qui sopra, tratto dalla trasmissione radiofonica Invito alla canzone, con Mario Riva.61 Il tema della nostalgia attraversa numerosi generi e
repertori della popular music internazionale, al punto che non sembra difficile riconoscere in essa uno degli elementi comuni, quasi fondativi, dello «stile» popular. È un tema chiave tanto nella canzone napoletana (Plastino 2007) quanto in quella americana (Hamm 1979) eppure, secondo Oliver (2003, p. 292), è un soggetto ampiamente sottoindagato. La «nostalgia» nei confronti
60 Invito alla canzone, copione dattiloscritto, 1954, fascicolo 3, Archivio Rai Roma. 61 La trasmissione va in onda alla sera dal gennaio al marzo 1954, con l’orchestra di
della «canzone italiana» del passato è evidentemente una nostalgia che ha «natura mediale» – ovvero, è generata a partire da oggetti di produzione di massa – le canzoni, in questo caso (Davis 1979; si veda soprattutto Morreale 2009). Le prime narrazioni della storia della canzone italiana si sviluppano proprio in chiave nostalgica: così è, ad esempio, per il fortunato film del 1952 Canzoni di mezzo secolo, di Domenico Paolella, una storia della canzone che è un «album di vecchie cartoline “sonore”».62 In seguito al successo del film, molti
titoli degli stessi anni, anche dello stesso Paolella, ne riprendono la formula (Chiti & Poppi 1991, p. 79).
Il richiamo alle canzoni del passato è anche una forma di autenticazione che valorizza l’antico, la tradizione (e dunque l’«italianità») sul moderno, o un passato idealizzato sul presente. Le strategie retoriche che attraversano i molti scritti sulla canzone italiana di questi anni insistono spesso, in effetti, sul valore delle «canzonette» in quanto strumento di ricordo, capaci di trattenere in sé immagini del tempo che fu attraverso una «individualizzazione del passato collettivo» (Davis 1979, p. 8). Questo modo di «salvare» la canzone attraverso il suo valore nostalgico (una forma di validazione estetica, seppur in senso debole) è perfettamente coerente con la formazione degli intellettuali italiani a cavallo della guerra, di qualunque colore politico. È qualcosa di ben radicato nella cultura letteraria italiana, di origine crepuscolare: basta pensare a certe poesie di Gozzano, e a come gli oggetti più umili (le proverbiali «buone cose di pessimo gusto») assumano un valore proprio in quanto scintille di ricordo dei tempi andati, della giovinezza. Un eccellente esempio di questo atteggiamento applicato alla canzone italiana sono le presentazioni di Nunzio Filogamo al Festival di Sanremo,63 così piene di riferimenti letterari e di formalità d’altri
tempi, a partire dal tono di voce. Se non bastasse questa diffusa sensazione, il riferimento a Gozzano è anche esplicitato.
62 Diego Carpitella, «Musica. Canzoni di mezzo secolo», Noi donne a. 8, n. 5, 1953, p.
22. Il film, di fatto, è una raccolta di scenette legate ciascuna a una singola canzone, da «Ninì Tirabusciò» a «Faccetta Nera».
63 Sono disponibili in commercio, al momento, le registrazioni complete dei Festival del
1952 e 1955, entrambe curate dalla Rai: Sanremo 1952. Cari Amici Vicini e Lontani, Via Asiago 10, 2013, 2 CD; 5° Festival della Canzone Italiana Sanremo 1955, Via Asiago 10 - Twilight Music, 2005, CD.
Rileggendo Guido Gozzano, il poeta crepuscolare che tanto mi fece sognare in un tempo ormai lontano, ho rivisto con gli occhi stupiti la vita passata, quell’era felice e spensierata. L’era della passeggiata in carrozza e della giarrettiera, del piegabaffi, del busto, e di tante altre buone cose di pessimo gusto! [risate in sala] L’era delle serate in famiglia e della quadriglia, della Bertini, di Ridolini, dello schermo silente e del valzer sognante. “Il valzer di nonna Speranza” […].64
Esempi di questo atteggiamento si ritrovano anche prima della guerra. Prendiamo ad esempio questo lungo intervento di Giovanni Mosca. 65
Dir male della canzone, come alcuni fanno, è come dir male dei fiori, che vivono, si sa, quanto vive un fiore e poi si seccano, ma non muoiono completamente, conservando, a distanza di anni, tra le dimenticate pagine d’un libro, negli impalliditi colori, il ricordo del vivo colore di un giorno, nel lieve, quasi sparito sentore di profumo quello del profumo che un giorno c’inebriò. Così la canzone: ha breve vita, spesso quella d’una stagione, ma, dimenticata per anni, ritorna improvvisamente un giorno, prima che all’orecchio al cuore, a ricordarci un’ora, un momento della nostra vita, e sempre una grata ora, sempre un dolce momento […]
Si accusano le canzoni di troppa semplicità, di troppa ingenuità nelle parole e nei concetti: ma semplici, elementari sono i sentimenti ch’esse esprimono: il sentimento del dolore, dell’amore, della gioia, della guerra. […]
Le canzoni sgorgano dal cuore di modesti poeti, mediocri quanto volete, ma esprimenti i sentimenti del popolo, quei sentimenti ingenui, semplici, elementari, che hanno bisogno appunto di parole semplici, e sempre delle stesse parole perché i sentimenti sono sempre gli stessi. […]66
64 Sanremo 1952, op. cit., disco 2, traccia 13.
65 L’intervento di Mosca e quello successivo di Marchesi sono tratti da Assi e stelle della
radio, un volumetto in cui, ai consueti profili con fotografia di musicisti e divi che
caratterizzano questo tipo di pubblicazione periodica e popolare, si accompagnano interventi in stile «leggero» di alcuni intellettuali (per quanto anomali) e che, per questo motivo, rappresenta una fonte di grande utilità. Le firme sono quelle di Peppino Mendes, Nisa, Giovanni Mosca, Vittorio Metz, Marcello Marchesi, Riccardo Morbelli e Cesare Zavattini. Gli autori sono più o meno tutti riconducibili agli ambienti della Rai e del periodico umoristico Il Bertoldo. Peppino Mendes è autore di canzoni, così come Nisa (Nicola Salerno); Mosca – il nome di battesimo non è riportato – è Giovanni Mosca, già direttore del Bertoldo, e in seguito di Candido, con Giovanni Guareschi; Vittorio Metz, umorista, appartiene allo stesso ambiente, e così Marcello Marchesi, personaggio chiave della TV del dopoguerra, e Cesare Zavattini. Riccardo Morbelli è autore di canzoni e di testi per la radio e poi per la TV. Il volume è una delle rare fonti degli anni quaranta che contenga riflessioni sul tema della canzone.
66 Giovanni Mosca, «Elogio della canzone», Assi e stelle della radio, Edizioni Atlantis,
O questo di Marcello Marchesi:
Di ogni uomo si potrebbe fare la biografia musicale. Come abbiamo l’album delle fotografie per ricordarci degli episodi passati, così dovremmo avere l’albo delle canzoni del periodo in cui avvennero quegli episodi ed essi rivivrebbero interamente in noi.67
Lo stesso tema può essere declinato anche in termini negativi, come fa ad esempio Indro Montanelli:
Ieri, per caso, m’è capitato fra mano un libro di piccolo formato, dove sono raccolte tutte le canzoni italiane dell’ultimo cinquantennio. Ah, quanti ricordi! E quante nostalgie. Scorrendone i versi, le arie tornavano da sole a ronzarmi nella testa, e a ognuna di esse corrispondeva un particolare periodo della mia vita, una particolare geografia, una crisi sentimentale. “Signorinella pallida”, per me, non è Napoli, ma un cane bracco di nome Gauro a cui pretendevo insegnarla, arrabbiandomici, e le corse con lui a perdifiato nella pineta di Poggiadorno in Valdarno, alla ricerca dei nidi di merli […].68
L’idea delle canzoni come «buone cose di pessimo gusto» percorre l’intero «Trentennio», ed è perfettamente coerente con l’idea di «musica leggera» formatasi negli anni del Fascismo. Anzi, il parlare della canzone in questi termini è anche uno dei pochi modi di parlarne, in questi anni, soprattutto per gli intellettuali. La canzone, in fondo, non va presa troppo sul serio: non è «artistica» (o casomai è un’arte minore), non ha valore storico, e soprattutto è effimera, «ha una vita di tre minuti», come ricorda Mario Riva, ancora durante la trasmissione Invito alla canzone:
[…] Bisogna volere bene alle canzoni; anche se non sono tutte bellissime, anche se non sono sempre capolavori di intelligenza e si [sic, “di”] profondità; bisogna voler loro bene.
Via, signori, siamo giusti. È troppo facile criticare una canzoncina, che ha una vita di tre minuti e si nutre si [sic, “di”] due strofette e di un refrain è quasi una vigliaccheria [sic]. Perché non vi provate a sparlare di un melodramma in cinque atti e un prologo e un epilogo? Dei melodrammi invece hanno
67 Marcello Marchesi, «Perché amo le canzoni», Assi e stelle della radio, Edizioni
Atlantis, Milano, 1941, pp. 45-48.
68 Indro Montanelli, «Con “mamma e lacrime” in Italia si riesce a tutto», Corriere della
tutti paura. Anche quelli che non ne capiscono niente fingono di nutrire per essi il massimo rispetto.69
Questo modo diminutivo di considerare la canzone sopravvive, talora sottotraccia, ancora oggi nella diffusa idea che in fondo «siano solo canzonette». Quello che preme far notare qui è come questo atteggiamento (su cui si tornerà nel CAPITOLO 8) concorra a formare l’ideologia della canzone italiana già a
partire dal momento in cui questa viene codificata.