Un modello pragmatico dei generi musical
2. I generi nell’epoca della cultura di massa
2.2. Teorie dei generi della popular music
2.2.1. Il modello di Fabbr
I generi entrano negli studi sulla popular music in un momento in cui la «svolta semiotica» è ormai ampiamente assodata, e con il vantaggio di non doversi portare dietro il bagaglio di una teoria musicologica convenzionale che non si interessa più di tanto al concetto di genere in quel momento, e che rappresenta anzi un modello da superare.
In questa chiave va interpretato il modello proposto da Franco Fabbri già alla prima conferenza internazionale della Iaspm nel 1981,12 che mutua lessico e
concezione dal Trattato di semiotica generale di Eco (1975), e che viene meglio formalizzato in alcune pubblicazioni fra 1981 e 1982 (Fabbri 1981; 1982a; 1982b). Quella prima teoria, destinata a diventare fra le più citate nei successivi studi sulla popular music, propone una definizione ampia e adattabile, ma sufficientemente assertiva, di che cosa sia un genere musicale. Lo stesso Fabbri
12 Anticipate da un breve articolo su Laboratorio musica: Franco Fabbri, «Musica tra le
musiche», Laboratorio musica, a. 2, n. 14‐15, luglio‐agosto 1980, p. 42, e da una relazione tenuta al Congresso della Nuova Canzone del 1980, organizzato dal Club Tenco di Sanremo.
ha continuato a occuparsi di generi fino a oggi, chiarendo e rifinendo alcuni aspetti del suo modello senza, comunque, tradirne le premesse.13 Secondo la
definizione di Fabbri, un genere è
un insieme di fatti musicali (reali o possibili) il cui corso è governato da un insieme definito di norme socialmente accettate. (Fabbri 1981; [2002] 2008, p. 72)14
Mentre nella più versione più recente, e più sintetica, i generi (al plurale) sono
sets of music events regulated by conventions accepted by a community. (Fabbri 2012a, p. 190 )
Con «fatto musicale» si deve intendere, con il semiologo Gino Stefani (1985), «qualunque tipo di attività intorno a qualunque tipo di eventi sonori» (Fabbri [2002] 2008, p. 72).
Parte del successo della proposta di Fabbri è dovuto alla semplicità della formulazione, e soprattutto al tentativo di catalogare diversi tipi di «norme generiche». Questa sistematizzazione introduce una novità decisiva per lo studio dei generi musicali: pone le norme «tecniche e formali» (cioè quelle «musicali» tout court) sullo stesso livello gerarchico di quelle «paramusicali»,15
classificate a loro volta in «semiotiche»16, «comportamentali», «sociali e
ideologiche», «economiche e giuridiche». Il modello, per quanto costruito per descrivere i generi della popular music, è potenzialmente adattabile a qualunque livello della comunicazione musicale, e Fabbri stesso contempla la possibilità di «sistemi» a un livello superiore (la «popular music», la «musica classica», o la «canzone» possono essere spiegati come «sistemi»), e «sottogeneri» a uno inferiore. Il modello sarebbe dunque anche mutuabile –
13 Si veda, almeno, Fabbri 2000a; 2000c; [2002] 2008; e, soprattutto, 2012a. Un
riassunto dello sviluppo e delle origini della teoria è stato fornito da Fabbri stesso (2012b).
14 Nella versione inglese: «a set of musical events (real or possible) whose course is
governed by a definite set of socially accepted rules» (1982a).
15 Il termine è usato da Tagg (ad esempio: Tagg & Clarida 2003; Tagg 2012), ed è
preferibile a «extramusicali». Si veda anche Sorce Keller 2012; Sorce Keller n.d.
16 «Tutte le norme di genere sono semiotiche», afferma Fabbri ([2002] 2008, p. 78),
che – tuttavia – in questa categoria raccoglie le norme che regolano il contenuto e la forma del testo verbale delle canzoni, il «rapporto tra le funzioni comunicative (in senso jakobsoniano)» e la «prossemica delle performance» (Marino 2014, p. 48).
sebbene non abbia trovato più di tanto applicazioni in tal senso – anche per la musica eurocolta.
Questo modello è rimasto il punto di partenza per gli studiosi che si sono occupati di genere a partire dagli anni ottanta fino a oggi, ed è anche il punto di partenza di questo lavoro. La teoria di Fabbri è tuttavia rimasta nelle bibliografie quasi esclusivamente per quei due primi articoli in inglese (Fabbri 1982a; Fabbri 1982b), talvolta solo come citazione estemporanea, e gli è stata spesso imputata una certa «staticità». L’impressione, a posteriori, è che la poca influenza dei cultural studies inglesi e dei loro paradigmi sulla formulazione della teoria (basta scorrere la bibliografia di quei primi articoli per rendersene conto)17 ne abbia reso più difficile l’integrazione e l’accettazione (se non
direttamente la comprensione) da parte della corrente egemone dei popular music studies in lingua inglese. Grande peso è stato dato, ad esempio, alle «norme di genere» e alla loro classificazione, mentre scarso interesse hanno destato i temi delle «comunità musicali» chiamate a definire quelle norme, e della «competenza musicale», che Fabbri mutuava dal lavoro di Gino Stefani (Stefani 1982; 1985). Sono due soggetti centrali per il funzionamento dei generi – e in generale per la comprensione delle pratiche musicali – che avrebbero meritato maggiore attenzione da parte degli studiosi di popular music. In particolare, l’idea che ogni individuo appartenga allo stesso tempo a comunità multiple e sovrapponibili (idea compatibile con il pensiero dell’antropologia del linguaggio e della critica letteraria: CAPITOLO 3.3.4) può rendere conto
efficacemente del funzionamento diacronico dei generi musicali, e contribuire al superamento dell’obiezione di «staticità».
La teoria di Fabbri contempla esplicitamente la dimensione storica già dalla prima versione (Fabbri 1982a, p. 54): il principio di «codificazione» infatti è collocato «al cuore dello sviluppo diacronico dei generi», e di una delle due applicazioni proposte (la canzone d’autore) si offre anche una tentativa analisi diacronica. Più recentemente, Fabbri è tornato sul tema chiarendo come i generi, in quanto «unità culturali» siano «radicati nella storia», e come ogni
17 Significativo in tal senso è un aneddoto riportato dallo stesso Fabbri «Richard
Middleton asked if my suggestions about ideology as a hyper-norm governing subordinate codes could be related to Gramsci’s concept of hegemony (which wasn’t the case, as I derived that concept from Eco: but I saved that precious comment for later)» (Fabbri 2012b, p. 12).
teoria debba necessariamente tenere conto di come i generi si formano e sviluppano diacronicamente (2012a, p. 180).