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La comunità come scelta assiologica. Assumere la comunità a oggetto di ricerca, almeno per me, ha il significato di una scelta valoriale. Credo più nella comunità che nell'individuo, ritengo la comunità come un luogo di spontanea realizzazione del soggetto. Mi sento

spontaneamente un comunitarista. Come tale, intendo valorizzare il radicamento sociale degli attori umani, senza tuttavia trascurare l'importanza della libertà e delle differenze individuali. Ciò con cui ho difficoltà a misurarmi è il pensare i soggetti come isolati, impegnati a combattere la propria singolare lotta per l'affermazione di sé, in un quadro sociale caratterizzato da competezione, che nella necessità di limitare l'esercizio della forza come strumento di affermazione personale fonda lo Stato. Insomma non ho simpatie per una visione hobbesiana del mondo. Il comunitarismo è orientato alla differenza, alla complementarità, alla relazionalità come via per raggiungere la pienezza della vita umana. Gli uomini sono radicati in una comunità, ma pure disegnano la propria identità attraverso le distanze che assumono nei confronti dei contesti di provenienza, contribuendo, con ciò, a innovarli. La loro soggettività si forma dentro il grembo della comunità attraverso un processo di individuazione. La comunità verso cui si muovo le mie simpatie è una comunità che, a sua volta, fa un'opzione assiologica nei confronti della democrazia, assunta come la cornice entro cui le differenze possono misurarsi, mettersi in forma, dialogare, contribuendo al rinnovarsi della società. Una comunità in cui la dimensione educativa è essenziale. Una funzione a molti livelli: le istituzioni svolgono nei loro funzionamenti una funzione educativa chiamando i cittadini alla responsabilità, si dotano di agenzie deputate a diffondere il senso civico, dotando i soggetti delle possibilità di concreto esercizio dell'autonomia individuale; i cittadini, a loro volta, si educano reciprocamente attraverso le loro interazioni, e si auto-educano, per regolare i propri comportamenti per renderli funzionali ad una comunità buona.

Per comunità buona intendo quella in cui ciascuno si riconosce con ciascun altro nella condivisione di una comune appartenenza a una forma di vita, a una tradizione, a una concezione del bene; l’identità collettiva è espressa dalla condivisione stabile nel tempo del bene comune. Lo spazio sociale è uno spazio di autorealizzazione composto da persone, membri e non individui: il bene delle persone è il bene della comunità. Appartenere a una comunità significa riconoscere che la comunità è la sostanza di cui noi siamo

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costituiti, attraverso essa guadagniamo

un’identità stabile nella durata e possiamo mutuamente riconoscerci come individui che hanno scopi, bisogni e preferenze. La comunità, sulla base della condivisione di un orizzonte valoriale, struttura la convivenza pacifica tra i membri che ne fanno parte. Un individuo è autenticamente libero quando si riconosce in istituzioni che sono espressione dei valori in cui crede, può autorealizzarsi seguendo i propri valori. È molto importante potersi riconoscere, da individui, stabilmente nel tempo come parti di una storia più ampia, collettiva e comune.

Problemi di definizione

Comunità sì, ma quale comunità? Esistono centinaia di diverse definizioni di comunità, afferenti a diversi ambiti disciplinari, come giustamente ha sottolineato Sergio Tramma nel suo Pedagogia della comunità1. Giovanni Busino, nella voce Comunità dell'Enciclopedia Einaudi2, riferisce che Hellerey, in un articolo apparso nel lontano 1955 su «Rural Sociology»3 raccolse più di novanta diverse definizioni di comunità, emergenti da studi empirici di sociologia. Tentò pure di portare a minimo comun denominatore tutte queste definizioni e ritenne di poter dire che grosso modo per comunità si può intendere una collettività i cui membri sono legati da un forte sentimento di partecipazione, sebbene dalla rassegna non si riesce a capire debba intendersi propriamente per partecipazione, data l'ampia variabilità semantica del termine riscontrata.

Analoghe difficoltà definitorie riscontriamo in ambito psicologico, ove la psicologia di comunità sottolinea come oltre che dire che il concetto di comunità si colloca «a ponte tra l’individuale e il sociale»4, non si può dire molto altro. Il termine è tendenzialmente «indeterminato, poiché sintetizza un punto di vista politico, sociologico, psicologico del lavoro nella comunità» e «incompleto: il più

1Cfr. S. Tramma, Pedagogia della comunità: criticità e

prospettive educative, Franco Angeli, Milano 2009.

2Cfr. G. Busino, “Comunità”, in Enciclopedia Einaudi,

vol. 3, Einaudi, Torino 1978, pp. 696-709.

3Cfr. G.A. Hellerey, Definition of Community, «Rural

Sociology», XX, 1955.

4G. Lavanco - C. Novara, Elementi di psicologia di

comunità. Dalla teoria all'intervento, McGraw-Hill, Milano 2006, p. 10.

delle volte per riferirci alla comunità abbiamo bisogno di specificarne la tipologia, associandovi un sostantivo con funzione aggettivante: parliamo, allora di comunità politica, terapeutica, etica, religiosa, lavorativa e, più di recente, di comunità virtuale»5.

Nonostante le difficoltà di definizione del termine “comunità”, il costrutto trovando definizioni contestualizzate, si rivela fecondo per lo studio e la comprensione di numerosi fenomeni. L'opposizione comunità vs società si è rivelata utile per studiare le dinamiche delle società tradizionali sotto la pressione della società industriale; per definire la sociologia dei piccoli comuni, per comprendere i loro reali, specifici meccanismi di funzionamento, per decifrare come le strutture demografiche, l'ambiente socio-economico, i comportamenti e i modelli culturali dei contesti locali registrino le dinamiche sociali più complessive, metabolizzino il potere integratore dei processi capitalistici, che hanno un impatto talvolta devastante sui piccoli sistemi integrati, sui loro valori, sulle dinamiche di interazione sociale, facenti riferimento a interessi comuni e a

tradizioni condivise.

La globalizzazione, creando una società individualizzata, ha fatto emergere indubitabilmente una voglia di comunità, che talvolta ha portato a una sorta di mitizzazione della comunità organica altra volte a ipotizzare un progetto politico capace di declinare in forme inedite alcune delle caratteristiche positive della comunità: si pensi all'attuale dibattito sulle nozioni di bene comune, comunanza, moltitudine, ecc.

D'altro canto questa possibilità di uso politico in senso progressivo della nozione di comunità era stata indicata già a metà degli anni Quaranta del secolo scorso da Adriano Olivetti6. Per Olivetti la comunità così come noi comunemente la immaginiamo, luogo cioè dell'armonia dei rapporti interindividuali, ispirati a reciproca comprensione e serena fratellanza, probabilmente non è mai realmente esistita, tuttavia noi oggi abbiamo bisogno di comunità per attutire i conflitti che la modernità ha portato, rendendo per molti la vita meno sicura che in passato, ove almeno si poteva contare, in caso di bisogno, sulla solidarietà della famiglia

5Ibidem.

6Cfr. A. Olivetti, L'ordine politico della comunità,

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e dei contesti di vita. Ciò di cui il progetto della

modernità ha bisogno – sosteneva Olivetti – è quello di dare compimento alla cittadinanza, con un ethos composto di spirito civico,

fratellanza e solidarietà.

Oggi, sotto il termine "comunità" possiamo iscrivere tutte le azioni che, sviluppate a livello locale, ma anche utilizzando lo spazio virtuale di internet, mirano a incrementare la partecipazione dei cittadini, sviluppando in essi agency ed empowerment, o come per altro verso si dice, capacità.

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