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Il saggio riflette sulla sfida che attende oggi la pedagogia, ovvero coniugare educazione e prassi etiche, politiche, economiche del vivere sociale, tornando ad esercitare il suo ruolo progettuale riguardo alla formazione del cittadino, al confronto fra cultura e civiltà, fra modelli e paradigmi, fra finalità e valori da negoziare.

The essay reflects on the challenge that education today faces, or combining education and ethical practice, policy, economics of social life, returning to exercise its planning role with regard to the formation of the citizen, to the comparison between culture and civilization, between models and paradigms , between purposes and values to be negotiated.

Di fronte a fenomeni educativi nuovi ed inediti che emergono nella sfera sociale, economica e politica, l’antica mediazione pedagogica sui fini, sul senso dell’educazione deve rimettersi in discussione per far emergere l’autonomia progettuale della pedagogia: la sfida è coniugare educazione e prassi del vivere comune, siano esse espresse nella costruzione dell’ethos civile, nella comunicazione o nello scambio economico. «Bisognerebbe introdurre, afferma Morin, nella preoccupazione pedagogica il vivere bene, il saper vivere, l’arte di vivere e ciò diviene sempre più necessario nel degrado della qualità della vita sotto il regno del calcolo e

della quantità, nella burocratizzazione dei costumi, nei progressi dell’anonimato, della meccanizzazione nella quale l’essere umano è trattato come un oggetto, nell’accelerazione generale»1.

«La ricchezza degli ambiti di riflessione pedagogica si è, quindi, tradotta nell’impegno (di natura fondamentalmente teorica) a riflettere sull’educazione nelle sue connotazioni fondamentali e costitutive, a tracciarne i tratti fondanti e delinearne la sua natura di scienza e, contemporaneamente, a porsi come ambito consistente e significativo di indagine, arricchito e non limitato dalla molteplicità e dalla poliedricità degli approcci, dei modelli e delle procedure possibili»2.

La teoria pedagogica riflette dunque da una prospettiva pratica sull’educazione come azione da compiere, che si svolge all’interno di diversi ambiti, dai più tradizionali ai più innovativi e che si impone in senso per così dire gerundivo: azione che deve essere compiuta ma anche azione inevitabile che, se non viene posta come oggetto di attenzione non per questo non viene compiuta. Ciò per dire che la pedagogia è chiamata ad elaborare nuove e più incisive prospettive di teoria dell’educazione3 che siano

1 E. Morin, Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare

l’educazione, Cortina, Milano 2015, p. 15.

2 I. Loiodice, Introduzione, I. Loiodice (ed.), Sapere

pedagogico. Formare al futuro tra crisi e progetto,

Progedit, Bari 2013, p. IX.

3 Simonetta Ulivieri in un recente saggio così si

esprime: «Da qui la convinzione che l’educazione nelle diverse epoche costituisca una cinghia di trasmissione di modelli, simboli, idee, comportamenti, conoscenze e nozioni, oltre all’uso di strumenti sia semplici sia complessi; agli storici spetta il compito di farsi interpreti degli ideali formativi delle diverse età,

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in grado di spostare l’attenzione verso prassi

costruttive e progettuali che generino iniziative di educazione per le nuove generazioni: l’attuale contesto socio-culturale accresce infatti la necessità di porre la domanda circa cosa dobbiamo e possiamo fare per educare e quali orientamenti l’educazione debba assumere. La sfida è quella di coniugare educazione e prassi etiche, politiche, economiche del vivere sociale, delle relazioni, delle comunicazioni, delle visioni del mondo, perché la pedagogia torni ad esercitare il suo ruolo progettuale riguardo alla formazione personale, alla formazione del cittadino, al confronto fra cultura e civiltà, fra modelli e paradigmi, fra finalità e valori da negoziare.

Poiché la pedagogia si caratterizza come riflessione teorica che scaturisce e ha come fine la pratica dell’educazione, ossia una pratica umana sociale i cui standard di accettabilità e di eccellenza dipendono dalle concezioni, dai valori e dalle convinzioni condivisi da una comunità o almeno da una larga parte di essa, tale disciplina non può che partire da un’analisi generica delle concezioni, dei valori e delle convinzioni che costituiscono il quadro di riferimento del suo agire.

La storia della pedagogia appare in questa luce uno strumento indispensabile perché ad essa spetta l’analisi genetica dei concetti-chiave della disciplina, la ricostruzione critica del suo svilupparsi insieme alla civiltà che l’ha prodotta e che essa ha prodotto. La pedagogia è un fenomeno della storia – al pari di quelli artistici, scientifici, filosofici, in senso lato culturali – e la sua storia è essa stessa un processo di interpretazione e perciò un primo esercizio di teoresi ermeneutica. D’altra parte, la storia della pedagogia, nel momento in cui ci propone le teorie pedagogiche come prodotto di contesti politici, sociali, economici e culturali pone dei vincoli all’interpretazione delle teorie, costruendo argini preziosi al soggettivismo: ci richiede di valutare fatti, circostanze, date e opere rispetto alle quali la nostra interpretazione deve essere coerente e, al terzo livello, ci registrando mutamenti e continuità». S. Ulivieri, La

componente storica del sapere pedagogico. La ricerca storico-educativa oggi. Tendenze storiografiche e linee di ricerca, in G. Elia (ed.), La complessità del sapere pedagogico tra tradizione e innovazione,

FrancoAngeli, Milano 2015, p. 17.

costringe a prendere atto, a confrontarci, con quanto è stato detto prima di noi in merito ad un certo problema.

È convinzione di chi scrive che solo questo tipo di interpretazione attenta alla pluralità degli interlocutori e al contempo ansiosa di confrontarsi sui dati che sorreggono ciascuna narrazione dell’esperienza umana possa avvedersi delle emergenze di formazione più urgenti nella società della complessità, delle interdipendenze economiche e della cultura mediatica4.

La pedagogia, caratterizzata dalla dimensione pratico-progettuale e dall’approccio ermeneutico, può essere considerata una disciplina scientifica? Si dirà che la risposta dipende dalla natura e dall’inclusività della definizione di disciplina scientifica. Sarà positiva, se accettiamo come “scientifica” una disciplina che abbia tre proprietà principali: a) che i problemi posti siano rilevanti (anche se occorre specificare da quale punto di vista); b) che l’argomentazione sia internamente coerente ed esternamente valida; c) che i problemi, le argomentazioni e le conclusioni siano disponibili per una discussione pubblica. Andrà precisato che per “rilevante” si intende “ricco di riferimenti”, cioè di relazioni con qualche realtà esterna: i problemi della pedagogia saranno dunque rilevanti se essa accetta la sfida di confrontarsi con l’individuazione dei bisogni della civiltà nella quale opera, se è in grado di cogliere le domande di educazione dell’età contemporanea non in riferimento a un singolo problema o a una specifica affermazione, ma affrontando l’insieme dei campi di conoscenza e di azione che sono vitali per i membri di quella civiltà.

La pedagogia deve proporsi come sapere pubblico e accessibile, soggetto alla pubblica discussione, approvazione e disapprovazione: anzi, essa deve costruirsi come sapere della comunità scientifica acquisendo la consapevolezza che proprio il suo statuto di sapere “normale” in un certo periodo storico la espone alla rigidità e al rifiuto della messa in discussione, secondo il paradigma khuniano della “scienza normale”.

Possiamo concordare con Bruno Rossi nel conferire alla pedagogia «la connotazione di

4 Per un’analisi più dettagliata si rinvia al recente

volume G. Elia, Prospettive di ricerca pedagogica, Progedit, Bari 2016.

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disciplina propositiva e orientativa, disciplina

cioè che fa dell’impegno ermeneutico il presupposto dal quale attingere la forza per l’indispensabile elaborazione di modelli valutativi e di ipotesi di sviluppo, di idonee soluzioni animate e sorrette da idee-guida provviste di una tipica forza dinamica dinanzi agli ostacoli e alle resistenze che inducono a ritenere senza via di uscita la crisi in cui viviamo, e dotate quindi del potere di offrire risposte essenziali e congruenti alle sofferte attese che la nostra epoca ha in tema di educazione»5.

La risposta alla domanda se la pedagogia sia una scienza sarà, invece, evidentemente negativa se si restringe la definizione al tradizionale approccio analitico, che implica: a) un chiaro oggetto formale di ricerca distinto da quello delle altre discipline; b) uno specifico metodo di indagine in grado di garantire la correttezza e verità delle conclusioni o asserzioni raggiunte, rimanendo chiusi all’interno del sistema6.

Lo studio di una pratica, in particolare educativa, può e deve essere condotto seguendo varie prospettive: da quelle filosofiche, storiche e antropologiche a quelle psicologiche e sociologiche, senza dimenticare, nell’attuale contesto, gli studi focalizzati sulla tecnologia e sull’azione didattica. Compito della pedagogia è acquisire i dati raccolti da questi diversi punti di vista al fine di porre in essere processi di cambiamento e di trasformazione dell’agire educativo che siano coerenti con le finalità che essa si pone all’interno della civiltà democratica e, al contempo, aperta alle discussioni di queste stesse finalità, non dando per scontate le concezioni dell’uomo e della sua educazione che essa assume e che determinano l’idea di buona pratica educativa.

«Si tratta di recuperare il valore conoscitivo della razionalità pratica, ovvero la disposizione ad agire bene secondo esperienza. La razionalità pratica non esclude né quella teoretica né quella tecnica, ma si manifesta come un’iniziativa intesa a stabilire a quali condizioni un’azione può portare ai risultati sperati […] La

5 B. Rossi, Pedagogia dell’arte di vivere, La Scuola,

Brescia 2015, p. 11.

6 Cfr. M. Pellerey, Educare. Manuale di pedagogia

come scienza pratico-progettuale, Libreria Ateneo

Salesiano, Roma 1999, pp. 22-23.

razionalità pratica si manifesta, perciò in campo pedagogico come sforzo di identificazione delle iniziative e delle risorse attraverso cui l’uomo giunge ad agire ‘bene’, cioè a portare a compimento decisioni prudenti e responsabili»7. Fare riferimento ad una pedagogia intesa come sapere pratico, che assume «la dimensione pratica in tutta la sua importanza, senza peraltro rimanere chiusi nei suoi limiti spazio-temporali, e attivare un continuo processo di interpretazione, progettazione e rinnovate esperienze educative; far dialogare teoreticità pedagogica e concretezza delle situazioni, senza dissolvere l’una nell’altra – rischio peraltro costantemente presente – mi sembra un impegno che la pedagogia contemporanea cerca sempre più consapevolmente di perseguire»8. Ciò richiede, attraverso gli stimoli che provengono da altri campi disciplinari tanto in merito all’interpretazione quanto in merito all’idea di miglioramento, l’attenzione verso una scienza in grado di dare progettualità all’agire educativo orientandolo verso la piena espressione dell’umanità, intesa come esperienza di dialogo e ricerca che conduce al permanente divenire e al cammino continuo verso il pieno significato del vivere. Risolvere un problema della prassi vuol dire anche e soprattutto trasformare una situazione educativa, facendola evolvere verso una condizione maggiormente adeguata, in cui il problema possa dirsi “risolto”, migliorato, contenuto, sotto controllo ecc. «La pedagogia potrebbe, dunque, essere definita come un sapere per trasformare le situazioni educative, ossia un sapere progettuale. La progettazione muove dalla prefigurazione di una situazione adeguatamente modificata rispetto alla sua configurazione attuale. Rispetto ai problemi da affrontare, la pedagogia mette perciò a punto non solo ipotesi esplicative, ma anche e soprattutto ipotesi progettuali per la loro soluzione pratica»9. La progettazione di una pratica educativa implica non solo la definizione dei suoi obiettivi, come prospettiva

7 G. Chiosso, Elementi di pedagogia, La Scuola,

Brescia 2002, pp. 32-33.

8 L. Santelli Beccegato, Educare non è una cosa

semplice. Considerazioni e proposte neo- personalistiche, La Scuola, Brescia 2009, p. 11;

9 M. Baldacci, Trattato di pedagogia generale, Carocci

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verso la quale far convergere le varie azioni e

interazioni, ma anche una organizzazione sufficientemente articolata di percorso formativo. Si tratta di scegliere, in primo luogo, le varie attività educative, le loro caratteristiche e motivazioni, la loro successione, chi ne dovrà essere responsabile e partecipante, ambienti e spazi di vita e di presenza implicati, il clima educativo da promuovere, le modalità di raccolta delle informazioni di ritorno che possono aiutare a regolare o pilotare lo svolgimento del progetto, il modo di valutare se le nostre azioni sono coerenti con gli obiettivi assunti e con le esigenze degli educandi che via via emergono nel corso dell’azione, se esse sono anche efficaci, cioè portano effettivamente ai risultati intesi.

Se la base dell’avventura educativa conseguente la presa di coscienza della domanda educativa proveniente dai giovani, provoca la nostra sollecitudine amorosa nei loro riguardi, occorre che tali sentimenti siano sistematicamente controllati da una vigilanza attenta a non cadere in un sentimentalismo che riconduce il tutto alla sola accettazione di una relazione affettivamente segnata, dimentica di ciò che caratterizza più propriamente l’impegno educativo: la promozione/potenziamento di una crescita umana, personale, sociale, culturale, professionale dei giovani.

Giuseppe Elia

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