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Sui paradigmi deterministi (a cui le considerazioni precedenti possono condurre), contrapposti a quelli interazionisti, molto è stato scritto9; nel presente contributo, richiamiamo tale controversia anche per il notevole contributo dato dall’approccio della ricerca- azione ai paradigmi interazionisti, a partire dalle indicazioni di Pourtois: «[…] la ricerca-azione si concepisce come un processo di autodeterminazione. L’obiettivo perseguito è di suscitare lo spirito di ricerca (attivazione del bisogno di successo) e l’implicazione esistenziale (attivazione dei bisogni affettivi) per agevolare il cambiamento in una prospettiva di miglioramento delle condizioni degli attori- ricercatori e dei membri della comunità allargata»10. Tale orientamento esclude un paradigma fondato solo su elementi anteriori,

8 A. Canevaro, Pedagogia speciale. La riduzione

dell’handicap, Mondadori, Milano 1999, pp. 104-105.

9 A puro titolo esemplificativo, ricordiamo almeno R.

Caldin, Le possibilità dell’utopia. Anna Freud e il

rapporto tra psicoanalisi e pedagogia, in A. Grotta –

P. Morra (eds.), L’utopia del possibile. Anna Freud tra

pedagogia e psicoanalisi, Pendragon, Bologna 2017,

pp. 43-63.

10 J.P. Pourtois, Quelques caractères essentiels de la

recherche-action en éducation, «Revue de l’Insitut de

sociologie», 3 (1984), pp. 555-572.

senza tener conto delle intenzioni dei soggetti e della ricerca delle finalità perseguite da questi. Ed è alle intenzioni dei soggetti coinvolti – ricercatori e non – che le attività di ricerca potrebbero indirizzare un imperativo etico indicato da Von Foerster, che guarda alle scelte educative conseguenti come foriere di nuove opportunità (le moderne capabilities?) per sé e per gli altri: «do, ut possis dare, cioè agisci sempre in modo di accrescere il numero totale delle possibilità di scelta»11. Lo studioso inserisce tale indicazione all’interno del più ampio approccio alla relazione di aiuto e alla ricerca “sociale”: egli indica come chi aiuta possa provare a intravedere nell’altro un’identità che va oltre quella monocorde e spersonalizzata del bisognoso e del disagiato (il disabile, il detenuto, il profugo ecc.): secondo l’autore, bisogna “credere per vedere”, con fiducia e attesa, accettando la sfida educativa, perché altrimenti si rischia di vedere solo ciò che già si conosce, che risulta familiare, che si prevede o si presume, declinandosi sui pre- giudizi piuttosto che sulle intenzioni, promuovendo relazioni interpersonali che mettano in luce le molteplici identità dell’altro considerando, ad esempio, non solo la personalità di colui che ha acquisito una disabilità – dopo un incidente o un trauma – ma anche quella che lui manifestava, antecedentemente alla disabilità.

Nella ricerca educativa, soprattutto quella caratterizzata “socialmente”, esiste uno iato tra ciò che l’accezione “ricerca” indica e l’itinerario, professionale e personale, che il ricercatore percorre. Il ricercatore, infatti, attraverso le ipotesi, la loro riformulazione, gli aggiustamenti, le calibrature, le attribuzioni di senso che attua nel perseguimento di un percorso euristico, ri-struttura consapevolmente e non l’assetto cognitivo precedente. La ricerca educativa non si omologa a quella delle scienze naturali che utilizza anche la logica del procedere per tentativi ed errori: in ambito pedagogico, infatti, non esiste la possibilità di tornare immodificati al punto di partenza; questo, casomai, conduce alla progressiva costituzione di sempre nuovi punti di partenza con cui fare i conti di volta in volta. Ma l’impossibilità di tornare immodificati al punto di partenza equivale, per il ricercatore (e per

11 H. Von Foerster H., Sistemi che osservano,

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l’educatore), all’invito a ponderare le scelte

euristiche, a riflettere sui percorsi metodologici da avviare e sulle decisioni da prendere, a considerare ogni opzione riguardo agli obiettivi da raggiungere, a bilanciare le azioni, per incrementare l’ottimizzazione del percorso euristico e a valutare l’agire educativo: l’irreversibilità, come categoria fondamentale della ricerca educativa, indica la storicizzazione del percorso effettuato e, al contempo, la “permanenza” degli incontri euristici intrapresi. Poiché l’incontro del ricercatore è sempre con un “altro” (documenti, persone, istituzioni, territori), si attribuisce una dimensione relazionale e dialogica alla ricerca educativa stessa: nella consapevolezza dell’irreversibilità del suo cammino, il ricercatore è chiamato ad assumersi la responsabilità teoretica e fattuale delle scelte e delle decisioni adottate nel percorso intenzionale, verso la meta designata. È indispensabile l’incontro della ricerca educativa con le “emergenze” territoriali, sociali e planetarie del nostro tempo; tale ricerca deve fare i conti con le nuove progettualità (il rapporto uomo-ambiente, la razionalizzazione delle risorse ecc.), con nuovi modi di intendere antiche tematiche (la nascita, la vita, la morte), con nuove conflittualità (etniche, culturali, religiose ecc.) e con nuove dimensioni utopiche (la pace). La pedagogia, infatti, contempla nell’agito educativo la categoria del cambiamento, senza la quale non è possibile affermare che vi sia ricerca educativa: l’esperienza – e, ancor prima, la ricerca - non è educativa se non porta ad una ristrutturazione, ad una trasformazione, ad un nuovo modo di porsi – nella riflessione e nella realtà – da parte del soggetto.

Responsabilità

La funzione sociale della ricerca educativa chiama in causa, oltre alla possibilità del cambiamento, la responsabilità, che racchiude in sé anche quella paura che esorta a compiere un’azione: «Non permettere che la paura distolga dall’agire, ma piuttosto sentirsi responsabili in anticipo per l’ignoto costituisce, davanti all’incertezza finale della speranza, proprio una condizione della responsabilità dell’agire: appunto quel che si definisce il

«coraggio della responsabilità» 12 : la responsabilità, infatti, è legata alla decisione e all’ azione che ne consegue 13. E, se – come ci ha insegnato Jonas – la responsabilità riguarda sia il padre di famiglia che il capo di uno stato14, quali saperi meriteranno di essere indagati, scelti, rinnovati, potenziati dall’attività di ricerca? quelli familiari? o quelli pubblici? quelli prossimi? o quelli lontani?

Per fare questo, è necessario che il pensiero si sottometta all’obbligo di fare (di agire coerentemente con l’intenzione) per ottenere significativi cambiamenti. Scrive Chionna: «L’agire responsabile è intenzionalità etica, esplicitazione della motivazione a porre in essere un orizzonte di senso, a generare l’esperienza di significato; si pone in riferimento all’orizzonte valoriale entro cui decidere e per il quale esprimere testimonianze di scelta; è apertura a manifestazioni di impegno [...] l’agire responsabile supera le ragioni privatistiche, va oltre l’unico obbligo d’essere responsabili verso se stessi, per una responsabilità assunta nella consapevolezza che l’intero agire sociale «non può essere rimesso al caso, al destino, alla provvidenza». Le forme più evolute della responsabilità sociale aprono all’agire politico, oltre ogni individualismo e frammentazione, dentro alla storia, nella costruzione della comunità e nel contributo alla promozione del «bene comune» e della «pace sociale», nell’esercizio di un agire responsabile potenzialmente diffuso»15.

Secondo le indicazioni di Jonas, è l’esperienza euristica a produrre responsabilità, perché la conoscenza legata all’esperienza non è più un orizzonte limitato, ma conduce a dimensioni molto ampie e ha ricadute lontane nel tempo e

12 H. Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la

civiltà tecnologica, Einaudi, Torino (ed. or. 1979),

1993, p. 285.

13 Per inciso, qualche studioso afferma che la prima

ricerca che dovremmo condurre, oggi in Italia, riguarda il fatto che riusciamo a sopravvivere – e a fare ricerca qualitativamente elevata – nonostante le condizioni catastrofiche nelle quali operiamo, all’interno delle Università. L’affermazione è, ovviamente, molto condivisibile. Si veda: P. Lucisano, Responsabilità

sociale, valutazione e ricerca educativa, «Giornale

Italiano della Ricerca Educativa», numero speciale, ottobre 2012, V, pp. 13-20.

14 H. Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la

civiltà tecnologica, cit. p. 123 ss.

15 A. Chionna, Responsabilità, «Studium

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nello spazio. In tal senso, la funzione sociale

della ricerca trova qui tutta la sua legittimazione. La responsabilità, che nell’ottica di Jonas accomuna il genitore di fronte al neonato e il capo di stato di fronte ai cittadini, è l’aver cura dell’altro (nel significato anche della generatività cara a E. H. Erikson16), sia questo un compagno, un alunno, un fratello, un figlio, un prossimo. Perciò, Eugenia Scabini sollecita gli adulti ad estendere l’attenzione generazionale a tutti i figli, non solo ai propri, ossia ad ampliare la responsabilità familiare per renderla sociale: si tratterebbe di una responsabilità collettiva nei confronti delle giovani generazioni, che non scinde più l’autorealizzazione privata dalla responsabilità generazionale. L’uomo adulto, infatti, ha bisogno che si abbia bisogno di lui per significare ulteriormente se stesso e la propria vita; la generatività, come caratteristica dell’età matura, si configura come la preoccupazione di curare ed orientare la generazione più giovane da parte di quella più anziana: si tratta di un rapporto tutelare e di reciprocità, in cui chi guida deve lasciarsi dirigere dall’attualità di chi è guidato17.

L’impegno della e nella scelta può essere definito la risposta che il soggetto è chiamato a dare dalla responsabilità del suo essere nel mondo: esso indica la costante tensione umana al superamento di modalità esistenziali unilaterali e alienanti, non strutturata in forme solipsistiche: “«Realizza te stesso realizzando gli altri» è l’imperativo che esprime tale impegno e la tensione a perseguirlo, sapendo che si tratta di un cammino che non può esaurirsi o concludersi mai, definitivamente”. E nonostante l’impossibilità di presagire, per la

16 E.H Erikson, Childhood and Society, W.W. Norton

& Co. Inc., New York 1950; Young Man Luther. A

study in Psychoanalysis and History, W.W.Norton &

Co. Inc., New York 1958; Insight and Responsability.

Lectures on the Ethical Implications of Psychoanalytic Insight, W.W. Norton & Co., New York 1964; Identity Youth and Crisis, W.W. Norton & Co. Inc., New York

1968.

17 E. Scabini, Giovani adulti in famiglia: la difficile

transizione alla vita adulta, in AA.VV., Adolescenti in contesti familiari critici, Atti del Convegno Cospes,

Milano 199, pp. 9-13; Psicologia sociale della

famiglia, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Winnicott

D.W., La famiglia e lo sviluppo dell’individuo, Armando, Roma (1965) 1968 e Sviluppo affettivo e

ambiente, Armando, Roma (1965) 19742.

dimensione dell’impegno euristico, un epilogo dell’itinerario, il percorso può rivelarsi avvincente perché promuove la sperimentazione esistenziale a cui ogni soggetto ha diritto. L’impegno indica un diritto/dovere di ciascuno a conciliare due esigenze tra loro completamente contrapposte, ma interdipendenti e necessitanti di procedere congiuntamente: il diritto/dovere degli altri con il diritto/dovere personali. In tal modo, si contengono anche le rassicuranti lusinghe delle strade già percorse preferendo, invece, itinerari originali e ignoti che sempre si commisurano con i rischi, i pericoli, le incertezze, ma anche con le enormi risorse e l’infinita ricchezza che l’avventura educativa della ricerca e della scoperta di strade sconosciute può offrire18.

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