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Oltre il pensiero binario: dal binomio antinomia-integrazione al binomio

sconfinamento-connessione

Come abbiamo detto, nella prospettiva problematicista, il procedere antinomico ha una valore prettamente metodologico e nessuna pretesa di fondazione della realtà e della conoscenza della realtà, e ogni metodologia può essere chiusa nel cassetto, quando risulti euristicamente inefficace. Speculare e potenzialmente alternativo al pensiero antinomico, ad esempio, è il pensiero olistico, scarsamente utilizzato dalla scuola problematicista15, ma qui richiamato per la sua capacità di teorizzare una realtà unitaria, anziché binaria, come quella delle antinomie: olistica è, ad esempio, la rappresentazione di una realtà che esiste nella sua integralità, a prescindere dalle disgiunzioni che la mente umana viene compiendo su di essa. Nell’olismo, oggetto e soggetto, natura e cultura rispecchiano processi di categorizzazione propri della nostra mente, che non trovano riscontro nel reale16. Anche in questo caso, però, non si tratta di soppiantare il pensiero antinomico con quello olistico, ma di assumere quest’ultimo, in  

14 Cfr. G. Huther, Il cervello compassionevole,

Castelvecchi, Roma 2013.

15 Cfr. F. Pinto Minerva, Il paradigma della

complessità, in M. Baldacci – E. Colicchi (eds.), Teoria e prassi in pedagogia, cit.

16 Cfr. F. Capra, Il Tao della fisica (1975), Adelphi,

Milano 1989.

funzione metodologica, quando risulti euristicamente più efficace del primo.

Non vi è razionalità, senza sconfinamento: ecco parole chiave del problematicismo per cui il conoscere è un atto continuo di ampliamento ed espansione del campo d’indagine, e la filosofia dell’educazione è una fenomenologia dell’esperienza educativa considerata nel momento della sua universalità 17 . Quale universalità? In base alle concezioni sin qui delineate, può essere quella che allude a prospettive dialettiche di compimento dell’esperienza e di risoluzione dei suoi elementi di problematicità, pensabili in astratto, ma storicamente realizzabili solo in modo parziale e relativo, come abbiamo visto, secondo la concezione banfiana del Trascendentale; oppure, quella che, platonicamente, muove dalla presupposizione di una realtà unitaria non ancora parcellizzata e disgiunta e scissa, se non lacerata, dal divenire storico e dalle sue forme di conoscenza, secondo i dettami del pensiero olistico.

Vi è tuttavia un terzo modo di procedere in direzione di universalità che, pure, consente di spostare in avanti la barra della conoscenza dell’universo umano ed extraumano: consiste nella ricerca di contesti altri d’esperienza che consentano di verificare se quanto è stato appurato nei contesti sin lì indagati sia sufficiente a contrassegnare i fenomeni dell’educazione o sia espressione di una verità parziale, storicamente situata, smentibile e/o relativizzabile. Secondo questa specifica opzione metodologica, l’esperienza dello sconfinamento tende alla connessione, e il piano delle connessioni è un’efficace alternativa euristica tanto al procedere antinomico quanto a quello olistico.

Nei confronti del primo, infatti, connettere significa gestire la tensione dialettica dell’antinomia in termini non strettamente binari, ammettendo all’analisi anche fattori terzi che possono rimettere in discussione la posizione stessa dell’antinomia. Nei confronti del secondo, connettere equivale a rovesciare  

17 Cfr. A. Banfi, La problematicità dell’educazione e il

pensiero pedagogico, La Nuova Italia, Firenze 1961,

© Nuova Secondaria - n. 9, maggio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582 69 l’immagine dell’intero implicita nell’approccio

olistico, considerandola non più come un punto di partenza e un’ipotesi iniziale, ma un tendenziale punto d’arrivo mai realizzabile nella sua compiutezza. D’altronde, anche il concetto banfiano di Trascendentale può essere pensato come una proiezione evolutiva di immagini di integralità dell’esperienza, che fungono da stimolo all’evoluzione.

Tre approcci euristici, dunque, tendenzialmente intercambiabili a seconda dei contesti e dei fini della conoscenza. Il più attuale e maggiormente in linea con il clima scientifico e culturale del nostro tempo è probabilmente il terzo, che rivela margini di affinità fra il problematicismo pedagogico e il pensiero di Edgar Morin e di Gregory Bateson18. Non a caso, è anche quello maggiormente impiegato dall’ultimo Bertin e dai suoi allievi19 . Tre metodi, dai quali discendono distinte concezioni del rigore e delle sue enunciazioni linguistiche. Infatti, mentre la tradizione metafisica fondava la conoscenza su un impianto di derivazione soggettivistica, e quella scientista e positivista su un impianto di derivazione oggettivistica, il problematicismo rifiuta ogni fondazione della conoscenza in termini sia di pura soggettivazione che di mera oggettivazione. A quali criteri d’indagine e a quali categorie è possibile riferirsi per evidenziare il possesso di maggiori o minori requisiti di rigore scientifico? Per il procedere antinomico, il criterio sarà dettato dal tentativo di favorire l’integrazione fra questi due momenti; per il procedere olistico, dalla capacità di dimostrarne l’originaria indisgiungibilità; per quello delle connessioni, infine, dal loro entrare in circolo con fattori terzi d’esperienza non originariamente compresi  

18 Cfr. A. Tolomelli, La fragile utopia, ETS, Pisa 2007;

cfr. S. Demozzi, La struttura che connette, ETS, Pisa 2011.

19 Cfr. G.M. Bertin, Disordine esistenziale e istanza

della ragione, Capelli, Bologna 1981 e Ragione proteiforme e demonismo educativo, La Nuova Italia,

Firenze 1986; cfr. M. Contini, Figure di felicità.

Orizzonti di senso, La Nuova Italia, Firenze 1988 e Per una pedagogia delle emozioni, La Nuova Italia, Firenze

1992; cfr. M. Contini – M. Fabbri – P. Manuzzi, Non di

solo cervello, Cortina, Milano 2006; cfr. M. Fabbri, Sponde, Clueb, Bologna 2003 e Controtempo, Junior,

Parma-Spaggiari 2014.

nell’analisi. Ogni concezione del rigore varia in funzione dei fini della conoscenza e dei metodi impiegati per realizzarli.

Ogni concezione del rigore tuttavia risulta sterile, se non si lega a concezioni dell’impegno etico, che ne facciano emergere il volto politico, pedagogico e progettuale, l’impatto col contesto educativo e sociale. Se è vero che l’etica comincia, quando finisce l’ontologia 20 ne consegue che anche lo sviluppo della conoscenza non può essere delegato all’esercizio del pensiero logico tout court. La conoscenza è rigorosa, se è in grado di contemperare al proprio interno i fattori soggettivi e oggettuali, insieme a quelli che ne ampliano il quadro di riferimento in relazione ai contesti, allo sfondo e alle intenzioni etico- progettuali. Per questo il rigore non può non essere letto in termini di complessità e di significatività, categorie che consentono il rimando tanto alle figure dell’antinomia, quanto a quelle dell’olismo e del procedere per connessioni. Il rinvio a tutti questi fattori e alla pluralità dei metodi indicati conferma l’efficacia di un’ulteriore categoria, quella di relatività della conoscenza, che, mentre ripudia il dogmatismo e le aberrazioni dell’ideologia, si sottrae ad ogni concezione della conoscenza che si limiti a legittimare l’esistente secondo configurazioni univoche ancora interne al pensiero lineare. Nel solco del divenire, opera, più o meno indisturbata, la “normale” quotidianità di vite che, come sottolinea Hegel, rimangono prive di parola e di testimonianza nelle pagine bianche della storia, ma su di essa campeggiano sovrani gli eventi terribili narrati nei libri di storia: nessuna conoscenza può limitarsi a legittimarli, poiché molte di quegli eventi rispecchiano un eccesso di semplificazioni e di sbilanciamento dell’esperienza, che, attraverso il pensiero lineare e un eccesso di disgiunzioni, ha più volte intaccato il tessuto della civiltà, quando non ne ha minacciate le possibilità stesse di sopravvivenza.

Maurizio Fabbri Università di Bologna  

20 Cfr. E. Levinas – A. Peperzak, Etica come filosofia

 

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