Il testo muove dalla constatazione dei limiti scientifici, formativi e sociali della pedagogia oggi, al fine di prospettare un nuovo impianto epistemologico e metodologico della scienza della formazione. Tra le possibili ragioni dei limiti funzionali della pedagogia, ci si sofferma sulla perdita della funzione formativa nell’uomo e della naturale ispirazione all’integrazione sociale nei processi educativi che essa ha avuto in origine. Elementi, questi, che negli ultimi tempi sono stati sostituiti dalla vocazione a una cognitività diffusa e di massa di scarsa incidenza formativa.
This article takes into consideration the existing scientific, formative and social limitations of pedagogical studies today and proposes a new epistemological and methodological system for education sciences. Among the possible reasons for the functional limitations of pedagogical studies emphasis is placed on the decline of man’s educational function and natural inclination for social integration in the educational processes from which it originated. In the last few years, these elements have been substituted by the appeal for a popular form of mass-learning which has had a very inadequate formative effect.
Negli ultimi tempi il dibattito sul ruolo formativo, culturale e sociale e sulla incidenza della ricerca pedagogica nella realtà educativa è tornato a farsi protagonista. La discussione scaturitane ha portato alla luce un dato di fatto: la pedagogia risulta essere una “scienza” non particolarmente efficace, dal momento che i luoghi del suo esercizio, in primis la scuola, sono funzionalmente insolventi, per la non sufficiente qualità degli apprendimenti e perché questi sono divenuti infine oltremodo autoreferenziali. C’è chi tra gli intellettuali denuncia addirittura il fallimento scientifico, formativo e sociale della pedagogia e chi allo stesso modo e con disincanto si sofferma sull’attuale disfacimento delle istituzioni educative. È proprio nella scuola, intesa come principale istituzione pedagogica, come istituzione sistemica governata dalla scienza pedagogica, che a ben guardare sono misurabili i limiti funzionali di cui la pedagogia ha dato
prova. È di particolare interesse, ai fini della presente riflessione, l’esito di alcune ricerche che hanno sostenuto quanto, anche ad occhi meno esperti, in ogni caso appare evidente. Le sole istituzioni educative che ancora resistono e non tradiscono del tutto la loro finalità istituzionale e culturale, nonché politica, e che quindi hanno una chiara dignità funzionale, sono quelle che hanno attività meno pedagogizzate, quelle in altro modo dove nella scolarizzazione prevale la cura e non domina esclusivamente l’istruzione educativa, dove domina l’integrazione umana e culturale e non la pura formazione intellettuale e disciplinare finalizzata a costruire giovani automi e false identità. Nelle restanti istituzioni l’offerta istruttiva e formativa ha scarso rendimento giacché non è coerente con la domanda formativa, per cui, al di là del suo intrinseco valore culturale, passa sopra la testa della scolaresca.
Da queste premesse e incontestabili rilevazioni si evince la consapevolezza che la funzione della pedagogia sia stata sopravvalutata, come esito di un’autoreferenziale esaltazione culturalistica e istituzionalistica, divenuta motore di ogni utopia ideologica. Infatti, la cifra semantica socialmente utile della pedagogia ha condotto l’opinione pubblica e la cultura più diffusa, per un verso, ad intendere essa come panacea di ogni male etico e di ogni ingiustizia sociale, come quindi indispensabile per il controllo sociale; per un altro verso, a concepirla come necessario fattore per lo sviluppo economico e come elemento di equilibrio comunitario e politico. Le aspettative sono state in buona parte tradite.
Basti un semplice richiamo storiografico a ricordare che la pedagogia, quando nasce, si annuncia in quanto pensiero dell’inclusione e dell’integrazione sociale attraverso una speculare trasformazione umana. Si ricordare che essa si afferma in risposta alla necessità storica di una sola educazione, dell’educazione unica e uniforme contro le educazioni socialmente stratigrafiche, per esprimere la vocazione meta-comunitaria alla realizzazione dell’immagine di un uomo nuovo universalmente condivisa. È utile, infine, rammentare che prima della società borghese- capitalistica la pedagogia, come scienza, non esisteva perché non esistevano le condizioni storiche e le ragioni epistemologiche della sua
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unicità e universalità scientifica. Non erapedagogia quel compiuto tentativo intellettualistico ed elitario di concretizzare attraverso la paideia greca l’utopia di un mondo che nella realtà non esisteva. Sono stati l’espansione della società, l’introduzione della forma economica a struttura mercantilistica e capitalistica, l’edificazione del mercato sempre più allargato, la caduta dei vecchi poteri dinastici, la crescita degli apparati amministrativi e burocratici, la tendenziale formazione delle società liberali e democratiche, nonché la costituzione delle Nazioni, ad avviare attraverso le istituzioni educative e scolastiche la socializzazione necessaria per formare l’homo novus della futura era sociale. Nel Settecento l’educazione esce così dalla ristretta dimensione familiare e delle classi sociali e si fa fattore sociale, diviene a partire da questo tempo il fenomeno più decisivo della costruzione delle mentalità delle nuove masse di individui che, integrandosi culturalmente, avrebbero costituito le basi per l’edificazione e lo sviluppo delle Nazioni. Fino a quando la società occidentale ha avuto bisogno dell’integrazione sociale, la scuola e la pedagogia hanno avuto una funzione reale e caratterizzante dal punto di vista culturale. Quando, come negli ultimi decenni, l’obiettivo dell’integrazione è man mano svanito a favore della finalità educativa della cognitività diffusa e di massa si è progressivamente spenta la funzione della scuola e con essa quella della pedagogia. A testimonianza di ciò valga quella sola efficacia cognitiva ed educativa dei processi di apprendimento che è possibile registrare in quelli che vengono nelle istituzioni scolastiche occidentali e in specie in quelle italiane. Prova ne sia che gli unici risultati positivi sono rintracciabili solo nei processi educativi a forte finalità integrativa e per lo più fino alla preadolescenza. Di sicura efficacia, infatti, sono prevalentemente i percorsi apprenditivi e le fasi educative che riguardano le fasce infantili, i diversamente abili e gli stranieri. In linea di massima, pur consapevoli dei rischi di fallacia che ogni generalizzazione porta con sé, possiamo affermare che sono questi gli ambiti in cui ancora oggi la scuola e la pedagogia assicurano funzionalità e rendimenti apprezzabili.
Ciò induce a constatare che la pedagogia serve di più ad integrare e socializzare culturalmente
che a potenziare i patrimoni cognitivi degli educandi. E, stando alle premesse esposte, non potrebbe essere diversamente. In ragione di ciò, per ridare appeal, capacità attrattiva e funzionalità vigorosa, si rende forse utile sviluppare la consapevolezza della originaria natura della pedagogia quale scienza dell’integrazione e, per riutilizzare un vecchio neologismo, dell’ umanizzazione. A partire da qui si rende altrettanto utile operare un riassestamento teoretico e socialmente funzionale al fine di non svilire la scienza pedagogica. In tale direzione due sono gli impegni teorici e pratici che la pedagogia contemporanea dovrebbe assumersi. Il primo è quello di arricchire la conoscenza della realtà umana aprendola alla legittimazione esistenziale di dimensioni tradizionalmente negate, la dimensione non razionale e non cosciente di ogni individuo. In tal modo si uscirebbe dalla esclusiva, consolidata, razionalizzata consuetudine alla riproduzione standardizzata di un uomo-tipo e non dell’uomo reale, abbandonando la fallimentare via della fissità e dell’ ”ideale” cui dirigere le sue intenzioni teoriche e pratiche, riabilitando quanto negato nella riflessione educativa della realtà umana fino a diventare concretamente scienza della formazione in senso olistico e della trasformazione dell’uomo. Il secondo impegno è relativo alle finalità educative che non dovranno essere esclusivamente cognitive, ma anche umane e relazionali, restituendo così alla cognizione la sua eccezionale strumentalità per l’integrazione sociale e la sua profonda e strutturale valenza umanamente trasformativa. Non può esserci ricchezza cognitiva senza il radicamento nella dimensione culturale e nel processo di socializzazione antropologica. Entrambi gli impegni sono mossi dalla convinzione che l’educazione cognitiva, se è socialmente aderente, potrà avere successo e incidere realmente sui destini degli uomini. In caso contrario, il cognitivismo diviene pensiero pedagogico non realistico, attività pedagogica dissociata dai costanti mutamenti individuali e sociali.
Per essere più espliciti, a generare la coscienza della crisi pedagogica, partendo solo dal basso rendimento della pedagogia, sono intervenute le convergenti scoperte da parte di ambiti scientifici che hanno portato alla progressiva conoscenza di altri mondi reali dell’educazione
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e della formazione e che, parallelamente, hannodisvelato più reali scenari fisici e mentali ove avrebbero luogo i fenomeni educativi e formativi. Dimensioni fisiche e psichiche che chiaramente sono sempre esistite, ma che solo di recente sono state fatte oggetto di osservazione scientifica. Da qui ci si è mossi e ci si è convinti che la pedagogia attuale non domina il complesso e intrecciato fenomeno che chiamiamo educazione, perché lo conosce molto poco, perché lo conosce solo parzialmente. Come a voler dire che la pedagogia opera in un campo molto ristretto rispetto al reale universo educativo, ragion per cui gli esiti educativi risultano negativi. La pedagogia attuale, benché ci siano stati Dewey, le scienze dell’educazione della prima ora (filosofia, psicologia, sociologia, antropologia, igiene) e quelle della seconda ora (biologia, psicanalisi, neuroscienze, genetica, scienze motorie), non riesce a conoscere l’intero universo fenomenologico dell’educazione. Appoggiandoci a questa lettura, essa appare muoversi secondo una epistemologia e una metodologia scientifica fondate sulle categorie del macroscopico e del visibile, sul principio di causa-effetto, dell’intenzionalità, della linearità del tempo, ancora all’interno di un ordine universale cartesiano e newtoniano.
L’ipotesi che vorremmo che si perseguisse, al contrario, muove dalla convinzione che i fenomeni educativi appartengano anche, e forse da essa dipendono maggiormente, a una dimensione microscopica e invisibile, che soggiacciano alla casualità, al principio dell’inintenzionalità, che appartengano al presente e che siano prevalentemente a- causativi. È questo il mondo che ci piace definire dell’ “invisibile educativo”, ovvero di tutti quei fenomeni educativi che non riusciamo a percepire ad “occhio nudo” e con gli altri quattro sensi. La medesima ipotesi poggia, sotto il profilo scientifico, sulla consapevolezza che alle nostre capacità e ai nostri strumenti di conoscenza si attribuiscono più dimensioni dell’esistenza, non una, e che queste possano convivere. Si arricchisce così il ristretto “spazio” umano della operosità pedagogica, tradizionalmente campo del razionale e della Grande Norma (il logos) condivisa dalla comunità sociale e che racchiude la dimensione formale delle esistenze individuali e sociali. Sempre guardando alle consolidate
teorizzazioni pedagogiche, è legittimo riconoscere che l’unico e parziale aspetto psichico preso in considerazione sia stato soltanto quello razionalizzabile, quello dei fenomeni visibili, letti e interpretati dalla psicologia descrittiva. Così si è legalizzata culturalmente e autorizzata moralmente la negazione della dimensione non cosciente, appoggiandosi alla credenza che il non conosciuto sia automaticamente non conoscibile. Eppure noti studiosi e alcune grandi scoperte del secolo scorso hanno gettato luce sull’esistenza attiva dell’inconscio e del suo funzionamento che precede quello cosciente e che anzi per esso apparecchia il materiale da lavorare. Pensiamo, fra i tanti, a Benjamin Libet che ha sperimentalmente dimostrato che molte delle decisioni e dei comportamenti umani vengono assunti prima che il soggetto ne abbia coscienza e se ne assuma le responsabilità. E pensiamo ancora a Karl Friedrich Gauss che da matematico amava ripetere che la sorgente della sua inventività e delle sue soluzioni era tutta da ricercare in un misterioso mondo non razionalmente conosciuto, ma psichicamente vivo che egli stesso sentiva agire con potenza in sé. E ancora il matematico e fisico Henri Poincairè che non si è stancato di scrivere quanto amasse l’Io inconscio che, a suo dire, intuisce e conosce meglio dell’Io cosciente proprio perché riesce dove quest’ultimo fallisce. In questi e in tanti altri scienziati la creatività, sorgente sul campo di quel pensiero interiore non ordinato né controllato né governato dal logos, appare come il motore della formazione umana e, meglio, come il fondamento costitutivo dell’uomo.
Ciò che urge per una nuova pedagogia che voglia fondarsi sulla reale conoscenza del suo soggetto educando è ripartire dalla considerazione dei suoi limiti trasformandoli in punti di forza per arricchirsi e rifondarsi su un nuovo statuto epistemologico. Partendo proprio dal disvelamento della realtà negata.
Gaetano Bonetta Università “G. d’Annunzio”, Chieti – Pescara Riferimenti bibliografici
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La ricerca pedagogica
nel campo
delle professioni
educative e formative
Silvana Calaprice
Educazione e formazione sono strettamente correlate alle trasformazioni della società, che necessita di un’adeguata pedagogia, ma anche di educatori e pedagogisti capaci di rispondere alle nuove sfide educative emergenti. Il tema delle professioni educative diventa un aspetto cruciale della ricerca, che non si identifica semplicemente con la ricerca teorica. La ricerca pedagogica deve operare oggi un cambiamento epistemologico in questa direzione.
Education and training are closely related to the transformations of society, which requires an adequate pedagogy, but also educators and pedagogues able to face to emerging educational challenges. The theme of educational professions becomes a crucial aspect of research, which is not simply identified with theoretical research. Pedagogical research has to work today for an epistemological change in this direction.
Il dibattito sulla ricerca pedagogica nel campo delle professioni educative ha fatto molta fatica ad entrare nelle sfere della suddetta ricerca perché per molto tempo questa si è identificata con quella teorica dando poco spazio alla sua dimensione pratica. Infatti la ricerca pedagogica per anni si è soffermata sulle “finalità” e sui “valori” verso cui avrebbe dovuto tendere la formazione della Persona soprattutto nell’infanzia, adolescenza, giovinezza e nei suoi luoghi tradizionalmente istituzionali, quali famiglia e scuola1. Tutto ciò mantenendo un legame molto stretto con la filosofia, legame che ha mantenuto saldo fino a quando il dibattito sulla scientificità o meno della pedagogia, che ha interessato gran parte della fine del 900, l’ha portata, in certi momenti, anche a proclamarne la morte2.
Mentre però il dibattito teorico intorno a tali temi occupava molta letteratura pedagogica, le nuove emergenze educative impegnavano i professionisti dell’educazione a farvi fronte con impegno e in modo pratico. Infatti le società del nuovo millennio, denominate postindustriali, in base al processo di globalizzazione, insieme ad effetti positivi determinati dall’aver uniformato a livello planetario soprattutto le leggi del mercato e del commercio, venivano assalite da debolezze collettive ed individuali dovute:
1 Cfr. L. Ribolzi, Il sistema ingessato. Autonomia,
scelta e qualità della scuola italiana, La Scuola,
Brescia 1997.
2 Cfr. S. Ulivieri – L. Cantatore – F.C. Ugolini (eds.)
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- all’ambivalenza del mondo eall’impossibilità di poter ricondurre le azioni e gli atteggiamenti degli uomini e delle donne a modelli precostituiti e a valori comuni e condivisi;
- alla caduta dei miti che aveva causato la perdita dell’orientamento e della guida di un modello cultuale e valoriale forte (sono incerti i concetti di bene e male, di vero e di non vero);
- ai flussi migratori (in ingresso ed in uscita) che avevano determinato realtà sociali con al proprio interno una notevole diversità di soggetti, caratterizzati da differenze di varia natura3
- alla perdita del lavoro.
Debolezze che, richiedendo interventi educativi specifici e professionisti capaci di intercettare le problematiche individuali e collettive dei soggetti, hanno naturalmente spinto la pedagogia verso nuovi assetti epistemologici. Quale lo stato dell’arte della ricerca in tale