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Senso della realtà e senso della possibilità, già ampiamente indagati da molti studiosi, stanno ad indicare una situazione dicotomica nella quale ci troviamo costantemente a vivere. Hegel argomenta ampiamente sulla natura “anfibia” dell’uomo, proteso a vivere tra due mondi ambivalenti che si contraddicono, scrivendo

«[…] noi vediamo l’uomo prigioniero della realtà comune e della temporalità terrena, oppresso dal bisogno e dalla necessità, angustiato dalla natura, impigliato dalla materia, in fini sensibili e nel loro godimento, dominato e lacerato da impulsi naturali e da passioni; dall’altro egli si eleva a idee eterne, ad un regno del pensiero e della libertà, si dà come volontà, leggi e determinazioni universali, spoglia il mondo della sua animata, fiorente realtà e la risolve in astrazioni, in quanto lo spirito fa valere il suo diritto e la sua dignità solo nell’interdire e maltrattare la natura, a cui restituisce quella necessità e violenza che ha subito da essa»1. I rischi che derivano da tale umana complessa situazione riguardano sia l’inclinazione a porsi troppo oltre la realtà, in dimensioni utopiche insostenibili e impercorribili, sia il quotidiano, rassegnato sottodimensionamento delle possibilità, che incontriamo e disconosciamo nel percorso esistenziale, alternando fasi forsennatamente maniacali a paralizzanti forme depressive2. Eppure, la pedagogia attua, nei confronti delle dimensioni utopiche, un instancabile appello a un’autentica progettualità che non può risolversi e ultimarsi in una creazione talmente inesplicabile da non essere in alcun modo ascrivibile alla realtà esistente: la pedagogia, infatti, costituisce «[...] un richiamo all’uso di quello che si potrebbe definire in termini di principio di realtà il quale, peraltro, non va

1 G.W.F. Hegel, Estetica, Einaudi, Torino 1972 (ed. or.

1835-38), p. 65.

2 Ibi, p. 40. Su questo tema, si veda anche S.

Tagliagambe, I cardini e le finalità del codice

deontologico degli insegnanti, in M. Ostinelli – M.

Mainardi (eds.), Un’etica per la scuola. Verso un

codice deontologico dell’insegnante, Carocci, Roma

2016, pp. 57-74.

Quarta sessione

La funzione sociale

della ricerca educativa

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inteso come una sorta di gabbia che chiude e

che impedisce il movimento dell’andare oltre, ma semmai come l’esplicitazione dei vincoli esistenti, la cui conoscenza è indispensabile per poterli superare o quanto meno per poterli spostare in avanti»; in ambito pedagogico, esiste un legame particolare, anzi, un elemento di mediazione speciale, tra utopia e pedagogia (e tra utopia e educazione) che si rileva – appunto – nella dimensione della possibilità, come parola chiave dell’alfabeto pedagogico, che dilata il significato dell’utopia e lo estende fino a mutarlo e a potenziarlo da semplice luogo che non esiste (o non-luogo) ad un luogo ipotizzabile anche se non ancora realizzato3. In questa sede, l’idea pedagogica di utopia è intesa come un’idea regolativa del discorso pedagogico: utopia e pedagogia possono, infatti, reciprocamente offrirsi una funzione di legittimazione e di pregevole complementarità. In realtà, l’utopia sollecita la pedagogia a dare un senso all’educazione non chiuso nella ripetizione e nella riproduzione e, quindi, nella conservazione dell’esistente, ma cercandolo nella stessa originarietà dell’esperienza educativa, eludendo le lusinghe del presente e dell’immediatamente realizzabile. In quest’ottica, all’utopia non vengono attribuite funzioni sfuggenti e consolatorie, ma quelle di potente dispositivo propulsore che dilata e amplifica la gamma degli itinerari da percorrere. Come il possibile di domani, l’utopia rappresenta e mantiene la sua funzione di traino, di direzione e non di esclusiva meta, forse mai raggiungibile4. Bertolini invita a lavorare affinché si attenuino, fino a scomparire, le attuali evidenti sindromi da carenza di utopia e le sindromi da carenza di progettualità pedagogica che inducono a declinare ogni ricerca, ogni azione e ogni progettualità sull’unica dimensione temporale del presente, negando qualsiasi evoluzione o miglioramento, appiattendo e livellando percorsi euristici, ostacolando latenti potenzialità, trascinando verso il disimpegno e l’irresponsabilità educativa, costringendo alla non cura verso le giovani generazioni, riducendo decisioni e scelte educative a superficialità, esteriorità e transitorietà, attirando nella perversa spirale della società

3 P. Bertolini, Intenzionalità, rischio, irreversibilità,

utopia, «Studium Educationis», 2 (1999), pp. 256 -257.

4 Ibi, p. 257.

narcisistica anche coloro che proprio dagli adulti dovrebbero essere orientati e guidati5. In ambito pedagogico, la possibilità può rappresentare il campo dell’educabilità, mission alla quale – come ricercatori e come educatori - non possiamo sottrarci, data la scelta del nostro ambito di studio, di ricerca e di intervento. La possibilità potrebbe addirittura essere intesa come una delle strutture portanti dell’esperienza educativa, quando si intende l’educazione come un processo formativo per il quale il singolo – o un gruppo – si costituisce nel tempo in una costante tensione che dal presente tende al futuro, verso ciò che ancora non è. L’oggetto privilegiato della ricerca educativa rimane, dunque, l’attuarsi dell’educabilità – come possibilità – dell’uomo e del suo essere-per-l’educazione – anche attraverso la disamina di quelle “forme” nelle quali si concreta la processualità dell’evento educativo stesso6.

Musil chiama senso della possibilità ciò che concorre a prefigurare/immaginare, in una certa situazione, una possibilità di cambiamento, liberandola da elementi deterministici: «Se il senso della realtà esiste, e nessuno può mettere in dubbio che la sua esistenza sia giustificata, allora ci deve essere anche qualcosa che chiameremo senso della possibilità. Chi lo possiede non dice, ad esempio, qui è accaduto questo o quello accadrà, deve accadere; ma immagina: qui potrebbe o dovrebbe accadere la tale o la talatra cosa; e se gli si dichiara che una cosa è com’è, egli pensa: be’, probabilmente potrebbe anche essere diversa. Cosicché il senso della possibilità si potrebbe anche definire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbe essere e di non dare maggiore importanza a quello che è, che a quello che non è»7. Questa affermazione ci permette di avvicinare anche il

5 Ibidem. Si veda anche Id., L’esistere pedagogico, La

Nuova Italia, Firenze (1988), 19987.

6 Id., Intenzionalità, rischio, irreversibilità, utopia,

cit., pp. 256-257. Si vedano anche: M. Contini,

Possibilità, progettualità, impegno, «Studium Educationis», 2 (1999), pp. 258-263; G.M. Bertin - M. Contini, Costruire l’esistenza, Armando, Roma 1983; D. Orlando, Metodologia della ricerca pedagogica, La Scuola, Brescia 1997; C. Xodo, Introduzione alla

filosofia dell’educazione, Cleup, Padova 1996: R.

Caldin, Introduzione alla pedagogia speciale, Cleup, Padova, 20072.

7 R. Musil, L’uomo senza qualità, Einaudi, Torino

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tema dell’impossibile alla ricerca educativa,

dato che la costante tensione tra ciò che, realisticamente, possiamo fare e ciò che, idealmente, potremmo fare incide prepotentemente, oggi, nel nostro fare ricerca, dove appare necessario uscire da una pura constatazione di ciò che si presenta come possibile o impossibile e che rischia di bloccare le nostre tensioni e le nostre azioni. Infatti, il rapporto tra possibile e impossibile si presenta, in realtà, come un “rapporto mobile” che ampliando gli elementi del possibile ci aiuta ad avvicinarci sempre più ad elementi ritenuti dell’impossibile.

Scrive Canevaro: «L’impossibile è un elemento relativo, e necessita di una riformulazione che consente di capire che ciò che si presenta come impossibile in una formulazione, in una modalità, può diventare meno impossibile, e quindi può entrare nell’area del possibile se affrontato in un’altra formulazione»8.

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