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Le meta-analisi come fonti di evidenza Come può l’insegnante avere accesso alle

migliori evidenze disponibili? Il patrimonio di ricerche empiriche in tema di strategie efficaci per promuovere apprendimento è ormai ampissimo e quasi ingestibile in modo diretto. È necessario quindi rivolgersi a “studi sugli studi”, le cosiddette meta-analisi. Con tale espressione si indica un’analisi secondaria dei dati volta ad integrare tra di loro i risultati di precedenti analisi provenienti da studi singoli o da altre meta-analisi, allo scopo di assegnare senso a tali risultati anche attraverso la loro lettura alla luce di un quadro di ricerca più generale1. La meta-analisi risponde alla duplice esigenza di tenere in considerazione una mole di risultati di ricerca via via crescente e di renderli “operativi”, ossia utili come base conoscitiva per ulteriori ricerche sul tema e come base scientifica su cui fondare le pratiche

1 G. V. Glass, Primary, Secondary, and Meta-Analysis

of Research, «Educational Researcher», vol. 5, 10

(1976), pp. 3-8.

istruttive. In ambito istruttivo e formativo meta- analisi particolarmente importanti sono quelle di Marzano, Hattie, Fiorella e Mayer2.

Una buona meta-analisi richiede anzitutto una selezione ed analisi preliminare delle ricerche empiriche sul tema, allo scopo di escludere ricerche che presentano problemi metodologici rilevanti nel disegno della ricerca, nella raccolta e nell’analisi dei dati.

Successivamente vanno definiti i costrutti presenti nel tema. Se, ad esempio, la domanda a cui intende rispondere la meta-analisi è “Qual è l’effetto medio degli interventi sulle abilità di studio (study skills intervention) sul successo scolastico?” è necessario definire - prima sul piano concettuale e poi su quello operativo - cosa si intende per “interventi sulle abilità di studio” e cosa si intende per “successo scolastico”. La definizione può emergere anche a partire dagli studi considerati, come unione logica delle definizioni operative di tali costrutti adottate nei singoli studi. Ad esempio, la sovracategoria “interventi sulle abilità di studio” avrà un estensione semantica via via più ampia man mano che nuovi interventi verranno presi in considerazione nella meta-analisi. Una volta stabilite le definizioni - concettuali e operative - sovraordinate, sarà possibile quantificare l’effect size medio di quel dato fattore sul successo scolastico, ossia la misura di quanto è ampio il cambiamento che si è prodotto nell’indice di successo scolastico (fattore dipendente) a seguito della somministrazione al campione considerato di un intervento sulle strategie di studio (fattore indipendente), cambiamento e che si suppone causato da tale fattore.

L’Effect size viene in genere quantificato con l’indice d di Cohen, pensato come misura standardizzata della distanza tra le medie di due gruppi (ad esempio gli incrementi medi pre-post di un gruppo sperimentale e di un gruppo di

2 R.J. Marzano – D.J. Pickering – J.E. Pollock,

Classroom Instruction that Works: Research-based Strategies for Increasing Student Achievement,

Alexandria (Va), ASCD 2001; J. Hattie, Visible

Learning: A Synthesis of over 800 Meta-Analyses Relating to Achievement, London, Routledge 2009; L.

Fiorella - R. Mayer Learning as a Generative Activity.

Eight Learning Strategies that Promote Understanding, Cambridge University Press 2015.

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controllo, in un piano sperimentale a due

gruppi) o di un gruppo unico testato in tempi differenti:

d = (M1 – M2) / S

dove (M1 – M2) è la differenza tra le due medie, e S è la stima dello scarto tipo (deviazione standard) aggregato delle popolazioni da cui sono tratti i due campioni. Esistono vari modi per calcolare tale stima e questo fa sì che gli effect size possano essere differenti a seconda delle scelte compiute dal ricercatore che conduce la meta-analisi. Gli effect size ottenuti con la stessa modalità di stimare lo scarto tipo aggregato sono comunque comparabili tra di loro e questo è uno degli elementi più interessanti insiti nella tecnica della meta-analisi. Gli effect size sono sempre accompagnati da un loro errore standard e questo rende possibile considerare opportuni intervalli di fiducia in queste comparazioni. Comunque venga svolto, il calcolo dell’effect size fornisce sempre un dato “di media” e come tale va trattato. Se da due meta-analisi emerge, ad esempio, che il fattore “intervento sulle strategie di studio” risulta essere mediamente più efficace rispetto al fattore “riduzione dell’ansia degli studenti”, questo non significa che tutte le varie tipologie di intervento sulle strategie di studio abbiano efficacia maggiore rispetto a tutte le varie strategie di riduzione dell’ansia e non vi possano essere alcune strategie di riduzione dell’ansia che hanno dimostrato alta efficacia. Ciò che la meta-analisi mette in luce è che mediamente gli interventi sulle strategie di studio hanno portato a scarti positivi più alti sugli indicatori di successo scolastico rispetto agli interventi sulla riduzione dell’ansia.

Spesso dalle meta-analisi emerge un’alta variabilità degli effetti: studi che considerano gli stessi fattori, svolti in contesti differenti e con un quadro situazionale differente, portano a risultati anche radicalmente differenti. E’ quindi importante non solo considerare l’effect size come ampiezza media dei vari effetti presi in considerazione (tratti dai singoli studi), ma anche la distribuzione dei singoli effetti (descrizione quantitativa) e la loro natura (descrizione qualitativa dell’effetto e del quadro situazionale in cui è stato prodotto).

Nel caso degli interventi sulle abilità di studio (study skills intervention), tali interventi

possono essere classificati in cognitivi, metacogntivi ed affettivi 3 . Gli interventi cognitivi fanno riferimento ad esempio alla presa di appunti e al riassumere testi o contenuti di un’esposizione; gli interventi metacognitivi fanno riferimento all’autoorganizzazione dello studio intesa come pianificazione, monitoraggio e studio tattico/strategico; gli interventi affettivi fanno leva su aspetti non cognitivi dell’apprendimento quali ad esempio la motivazione e il concetto di sé.

Si consideri l’esempio di tabella riassuntiva di una meta-analisi4 illustrata in figura 1. Tale tabella illustra gli effect size corrispondenti ad un ampio ventaglio di interventi metacognitivi sulle abilità di studio. L’insieme di tali interventi ha un effect size medio di 0,46. Esaminando attentamente la tabella è possibile però vedere che interventi diversi mostrano livelli di effect size molto differenti. In particolare risultano essere maggiormente efficaci gli interventi che prevedono un’alta interazione cognitiva con i contenuti oggetto di apprendimento, quali l’organizzazione e trasformazione di materiali, l’autoistruzione, l’autovalutazione, il chiedere aiuto ad adulti o pari. Risultano essere meno efficaci interventi che prevedono una bassa interazione con i contenuti, ad esempio imparare a gestire il tempo di studio e curare l’ambiente in cui si studia. Questa è ovviamente un’informazione interessante sia per chi è chiamato a far ricerca, sia per chi è chiamato a progettare interventi formativi.

3 J. Hattie, Visible Learning: A Synthesis of over 800

Meta-Analyses Relating to Achievement, cit., p. 189.

4 Ibi, p. 190. Cfr. L. Lavery, Self-regulated learning for

academic success: An evaluation of instructional techniques, PhD thesis, University of Auckland, New

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Figura 1 - Strategie metacognitive di

apprendimento

5

5 J. Hattie, Visible Learning: A Synthesis of over 800

Meta-Analyses Relating to Achievement, cit., p. 189-

190; L. Lavery, Self-regulated learning for academic

success: An evaluation of instructional techniques, cit.

Strategia Definizione Esempio Numero

di effetti ES Errore standard Organizzare e trasformare i materiali

Riorganizzare i materiali di studio per favorirne l’apprendimento

Fare uno schema prima di scrivere una

relazione

89 0,85 0,04

Tenere conto delle conseguenze delle proprie azioni

Tenere conto di ricompense e punizioni per i successi e i fallimenti

Mettere da parte eventi distraenti fino a che il compito da svolgere non è finito 75 0,70 0,05 Usare tecniche di autoistruzione Autoverbalizzare i passi da compiere per svolgere un compito

Verbalizzare i passi da mettere in atto nel risolvere un problema di matematica

124 0,62 0,03

Usare tecniche di autovalutazione

Adottare dei criteri valutativi ed utilizzarli per dare un giudizio sulla propria preparazione/ prestazione

Controllare il proprio lavoro prima di consegnarlo al docente

156 0,62 0,03

Chiedere aiuto Cercare aiuto da pari, docenti, o altri adulti

Studiare con un compagno o avere qualcuno che possa dare aiuto

62 0,60 0,05

Prendere appunti Annotare informazioni correlate ai compiti di studio Prendere appunti in classe 46 0,59 0,06 Ripetere mentalmente per memorizzare

Utilizzare strategie esplicite o implicite di richiamo e memorizzazione

Scrivere più volte una formula matematica finché non viene ricordata con facilità

99 0,57 0,04

Definire obiettivi e pianificarne il raggiungimento

Definire un insieme di obiettivi e sotto-obiettivi e pianificare sequenze, temporizzazioni, e attività da svolgere per raggiungerli

Fare liste di “cosa fare, quando e come” nello studio seguirle

130 0,49 0,03

Rileggere i materiali prima di andare a lezione

Rileggere appunti, testi o parti di libri per prepararsi alla lezione successiva

Rivedere gli appunti precedenti prima di andare alla lezione successiva

131 0,49 0,03

Automonitorarsi Osservare sistematicamente e tracciare la propria prestazione e gli esiti ad essa associati

Tenere un diario dello studio, con azioni ed esiti ottenuti

154 0,45 0,02

Utilizzare strategie orientate al compito

Analizzare i compiti da svolgere ed identificare strategie specifiche per svolgerli

Utilizzare degli ausili mnemonici specifici per ricordare sequenze di fatti

154 0,45 0,03

Creare immagini mentali

Costruire e richiamare immagini mentali vivide per supportare l’apprendimento

Immaginare le conseguenze del fallimento nello studio

6 0,44 0,09

Gestione del tempo Stimare il tempo a disposizione ed ottimizzarne l’uso

Fare una tabella di marcia dello studio con scansione giornaliera

8 0,44 0,08 Curare l’ambiente

in cui si studia

Scegliere o allestire un ambiente fisico ottimale per lo studio

Studiare in un luogo appartato o tranquillo

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112 Come indicato, ciascuno dei costrutti

considerati è ulteriormente scomponibile: i vari studi presi in considerazione da Lavery che fanno riferimento al costrutto “Abilità di organizzare e trasformare i materiali di studio”, ad esempio, prendono in considerazione tecniche differenti di organizzazione e trasformazione che possono avere a loro volta effect size differenti la cui media nella meta- analisi di Lavery è 0,85. Per ciascun costrutto poi vi possono essere fattori moderatori che incidono sull’effect size indicato: ad esempio insegnare come prendere appunti aiuta maggiormente gli allievi di livello più basso

rispetto a quelli di livello più elevato6, oppure fornire esempi di appunti prodotti dal docente e schemi/indicazioni per la presa di appunti aumenta l’effect size del fattore “Prendere appunti” al valore 0,83.

I risultati emersi da una meta-analisi possono essere confrontati con i risultati di altre meta- analisi, che fanno riferimento agli stessi studi di partenza o ad altri studi. La figura 2 presenta alcuni esempi di possibili collegamenti.

Figura 2 – Possibili collegamenti tra i risultati della meta-analisi di Lavery e risultati di altre meta-analisi.

 

 

6  L. Shrager – R.E. Mayer, Note-taking fosters

generative learning strategies in novices, «Journal of

Educational Psychology», vol. 81, 2 (1989), pp. 263- 264.

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Attraverso le sintesi dei risultati offerte dalle meta-analisi e i collegamenti/distinzioni che questi ammettono, è possibile ottenere un alto valore conoscitivo dalla mole di risultati di ricerca disponibili, facendo emergere regolarità, tendenze, collegamenti, linee di ricerca particolarmente promettenti e linee di intervento in contesti istruttivi e formativi, che ovviamente non darebbero garanzia assoluta di successo, ma che avrebbero almeno il vantaggio di essere supportate da una corposa ricerca pregressa.

Prospettive e opportunità

L’insegnamento come pratica basata sulle evidenze offre modalità scientificamente fondate per poter superare processi decisionali basati su meccanismi arbitrari quali tradizione (“Abbiamo sempre fatto così…”), pregiudizio (“Quelle tecniche non vanno bene, lo so io come fare…”), dogma (“Si fa così.”), ideologia (“Tutti dicono che si fa così, quindi …”). Per l’insegnante, adottare questa prospettiva (auto)critica significa interrogarsi sulle proprie prassi consolidate e chiedersi se le credenze che orientano la propria azione siano veramente fondate su basi empiriche più ampie di quella ascrivibile alla propria esperienza personale o se vadano riconsiderate e riviste alla luce di un quadro più ampio di esperienze formalizzate, quali quelle espresse dai risultati di ricerca. È un passaggio importante perché implica almeno un parziale superamento dell’autoreferenzialità in favore di argomentazioni intersoggettivamente condivise. Ovviamente è necessario affidarsi a buone evidenze, costruirsi una competenza specifica per rintracciarle, comprenderne la portata ed adattarle al proprio contesto professionale senza snaturarle. Ma è una sfida più che mai urgente se vogliamo che agli occhi della società l’insegnante sia un vero professionista dell’istruzione.

Roberto Trinchero Università di Torino

Ulteriori riferimenti bibliografici

R. Trinchero, Costruire e certificare competenze con il curricolo verticale nel primo ciclo Rizzoli Education, Milano 2017).

R. Trinchero, Costruire e certificare competenze nel secondo ciclo, Rizzoli Education, Milano 2017.

R. Trinchero - D. Robasto, Strategie per pensare. Attività evidence-based per migliorare la didattica e gli apprendimenti in aula, FrancoAngeli, Milano 2015.

R. Trinchero - con D. Felini, Progettare la media education. Dall'idea all'azione, nella scuola e nei servizi educativi, FrancoAngeli Milano 2015. R. Trinchero, Costruire, valutare, certificare competenze. Proposte di attività per la scuola , FrancoAngeli, Milano 2012.

R. Trinchero, Gli Scacchi, un gioco per crescere. Sei anni di sperimentazione nella scuola primaria, FrancoAngeli, Milano 2012.   DISCUSSANT DI SINTESI

Tra metodi e

contenuti: problemi

aperti

Giuseppe Bertagna

Che cosa significa «potenziale trasformativo» della ricerca educativa? Al di là della lingua di comunicazione e dell’esaltazione dell’approccio Evidence based, l’autore evidenzia che l’efficacia trasformativa reale e potenziale della ricerca sta nella qualità critica e nella novità/originalità delle conoscenze, nella convinzione che il vero nodo di questa disciplina e della sua complessa identità non è l’analisi dell’esperienza perfetta ma proprio l’esperienza educativa umana imperfetta.

What does “transformative potential” of educational research mean? Beyond the language of communication and exaltation of the Evidence based  

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approach, the author points out that the real and potential transformative effectiveness of research lies in the critical quality and in the novelty / originality of knowledge, in the belief that the crux of this discipline and its complex identity is not the analysis of the perfect experience but just the imperfect human educational experience.

Ma che cosa significa «potenziale trasformativo» nel nostro caso della ricerca educativa? A livello superficiale, si potrebbe sospettare che, per noi italiani, la ricerca educativa potrebbe aiutare la moltiplicazione di cambiamenti a diversi livelli (da quello didattico-professionale a quello politico istituzionale e sociale) se fosse scritta in una lingua universale, comprensibile da tutti. Caduto nel totale dimenticatoio l’esperanto, sarebbe la volta dell’inglese. Ed essere, come chiede l’Anvur, originali, creativi, innovativi, portare un reale progresso nelle conoscenze disciplinari con la ricerca educativa che si è condotta in una lingua molto più letta dell’italiano potrebbe assicurare una maggiore diffusione della eventuale qualità dei lavori che elaboriamo e propiziare, in questo modo, confronti e cambiamenti potenziali più estesi. Ma non è l’essenziale. Siamo al superficiale. Alla moda. Che, peraltro, non si sa se resisterà, nel lungo periodo, agli effetti involontari della Brexit.

Il problema dell’efficacia trasformativa reale e potenziale della nostra ricerca non è, infatti, la lingua di comunicazione1, ma la qualità critica e la novità/originalità delle conoscenze e del know how che si riescono ad esprimere, formalizzandoli in maniera adeguata nella  

1 Kant, nella Prefazione alla Metafisica dei costumi

(tr.it., a cura di G. Landolfi Petrone, Bompiani, Milano 2006, pp. 9 e 15), non risparmiava la sua ironia alla pretesa di Garve, campione della “filosofia popolare” dell’illuminismo tedesco, di rendere ogni dottrina filosofica «sufficientemente chiara ai sensi da poter essere comunicata universalmente». A suo avviso, infatti, una vera critica filosofica «non potrà mai diventare popolare» e ad essa si deve chiedere non la piacevolezza e la elementarità ma il rigore, anche a costo di essere tacciati di pedanteria. Si ride facilmente – concludeva l’austero maestro di Königsberg – del pedante impopolare, ma il filosofo critico saprà aspettare pazientemente «di ridere ultimo, e per questo meglio».

lingua materna. Idées reçues o consuetudini imprecise e di senso comune scritte in francese o inglese invece che in un italiano rigoroso non fanno la differenza. Nascondono soltanto il problema. Meglio allora scrivere in un italiano concettualmente sodo, non pneumatico e predicatorio, se questo serve ad evidenziare meglio la posta in gioco.

Tradurre/tradire

Cominciamo allora con il ricordare che scrivere o pensare in una lingua diversa da quella materna significa fare i conti con le specificità epistemologiche del «tradurre». Ogni traduzione, infatti, come è noto, è bella se infedele (G. Mounin). Tradurre, anche a non volerlo, è sempre, in realtà, un tradire. Come ha scritto Miguel de Cervantes significa, infatti, lavorare sul «rovescio di un arazzo»2. Questo perché, come ha osservato P. Ricoeur 3 , epistemologicamente, non esiste una traduzione completa da una lingua all’altra.

Alla tesi porta acqua anche il principio quiniano dell’indeterminazione: «manuali per tradurre una lingua in un’altra possono essere composti in modi divergenti, tutti comprensibili con la totalità delle disposizioni verbali, eppure incompatibili fra di loro. In innumerevoli punti essi divergeranno nel fornire, come loro rispettive traduzioni di un enunciato di una lingua, enunciati dell’altra lingua fra i quali non sussiste alcuna sorta plausibile di equivalenza, per quanto ampia»4. Per ogni coppia di  

2 «Mi pare, dice don Chisciotte discorrendo col

traduttore di un libro dall’italiano in castigliano, che il tradurre da lingua all’altra sia come quando si guarda le tappezzerie fiamminghe da rovescio. Le figure si vedon sempre bene, ma attraverso tanti fili che le confondono, e non appaiono così nitide e a vivi colori come da dritto» (M. de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia (1605), tr. it, a cura di F. Carlesi, Mondadori, Milano 1942, vol. II, cap. LXII, pp. 655-656).

3 P. Ricoeur, Tradurre l’intraducibile. Sulla tradizione,

a cura di Oliva Mirela, Urbaniana Univ. Press, Roma 2008 (il volume contiene la traduzione di tre brevi saggi: Sfida e fortuna della traduzione, del 1997; Il

paradigma della traduzione, del 1998; e Un ‘passaggio’: tradurre l’intraducibile, del 2004).

4 W. V.O. Quine, Parola e oggetto, tr. it., Il Saggiatore,

Milano 19962, p. 39; Id., Due dogmi dell’empirismo, in

Il problema del significato, tr. it., Ubaldini, Roma

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115 linguaggi vi sarebbero, quindi, schemi

alternativi di traduzione che sarebbero egualmente coerenti rispetto all’evidenza empirica disponibile, ma non equivalenti. E se la traduzione dal nostro linguaggio in un altro è indeterminata, allora non possediamo criteri assoluti per preferire un’alternativa alle altre. Davidson, in proposito, ha osservato che la stessa idea di schemi mentali incommensurabili si confuterebbe, a dire il vero, da sola perché tale tesi non potrà mai essere verificata in pratica5. Ma non è tanto questo problema che ci interessa qui sottolineare, pur essendo molto importante. È piuttosto il passaggio quiniano sulla comune «evidenza empirica disponibile» da cui gli schemi alternativi di traduzione partirebbero e a cui arriverebbero. I trasferimenti di messaggi da una lingua all’altra, in altri termini, direbbe Habermas, sarebbero praticabili, secondo questa impostazione, perché ci sarebbe un fondo comune, un a priori empirico da realismo ontologico che li unificherebbe. Appunto l’evidenza empirica, punto di partenza e di arrivo di ogni traduzione che non intenda essere oscura ed equivoca. L’Evidence–based non basta

Anche la ricerca educativa, come si è visto, è giunta alla esaltazione dell’Evidence–based

practice (EBP). Questo approccio, diventato

dominante in medicina dagli anni novanta, si è poi esteso a molte altri campi disciplinari. Fino al nostro. L’idea che l’unico criterio spendibile di certezza ed affidabilità degli asserti scientifici e delle decisioni professionali autenticamente, e non velleitariamente, trasformative si baserebbe non più, anche, come si riteneva un tempo, su studi teorici e qualitativi, per così dire metafisici, ma soltanto sulla base di dati empirico-quantitativi, selezionati sull'efficacia della prova, si è fatta sempre più strada, fino a porsi oggi come un’autostrada pure presso gli studi pedagogici.

Ecco, questo è il problema vero a cui portano le difficoltà strutturali di ogni traduzione da cui siamo partiti. Perché è in questa «autostrada» dominante che si annida il rischio, non certo nuovo per la verità, ma sempre risorgente, di un

 

5 D. Davidson, Verità e interpretazione (1974), tr. it., Il

Mulino, Bologna 1994, pp. 263-282.

dannoso riduzionismo non solo epistemologico, ma anche e soprattutto professionale e socio- politico per la cultura scientifica in generale e, in particolare, per quella della nostra disciplina. Se, infatti, la traduzione linguistica, che rimanda comunque all’a priori di una ricerca

Evidence–based, obbedisce al principio quiniano dell’indeterminazione, bisogna domandarsi se anche la stessa ricerca che ha voluto fondarsi sull’Evidence–based non sia, a sua volta, il frutto di un’altra traduzione, ancora più fondamentale ed originaria della prima, che obbedirebbe allo stesso principio. In questo caso, non ci sarebbero di mezzo parole di

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