Loretta Fabbri
Mettendo in discussione la lontananza epistemologica e storica tra ricercatore e professionista, il testo illustra la possibilità di riarticolare il loro rapporto in modo tale da promuovere una nuova integrazione fra ricerca, apprendimento e trasformazione.
La ricerca educativa, per essere utile alle comunità, deve sollecitare apprendimenti trasformativi, che si generano dentro la complessità del reale, delle sue dinamiche e relazioni.
Questioning the epistemological and historical gap between researcher and professional, the text aims at illustrating the possibility of reorganizing their relationship in order to promote a new integration among research, learning and transformation. To be useful for the communities, educational research has to stimulate transformative learning, produced within the complexity of reality, its dynamics, and its relationships
Legittimazione di nuove prospettive di
significato
Possiamo rilevare un movimento trasversale che si muove verso uno stesso obiettivo: definire e legittimare forme di ricerca che mettano in relazione attori e interessi diversi secondo nuovi orizzonti e possibili ambiti di reciproco influenzamento.
La distanza tra saperi accademici e problemi reali, siano essi educativi, organizzativi o sociali, è una criticità consolidata che pone interrogativi e sollecita soluzioni. La scarsa
rilevanza attribuita alla ricerca accademica è una delle emergenze da tematizzare. Possiamo però richiamare alcuni consolidati che delineano e legittimano la ricerca di nuovi paradigmi. Per esempio, la collaborazione tra ricercatori e practitioner è considerata una tra le condizioni necessarie per produrre conoscenze utili. La creazione di conoscenza non è più ritenuta una prerogativa dei ricercatori. Alcuni studi1 hanno influenzato la ricerca in generale e con essa la ricerca educativa. Già Argyris e Schön 2 riposizionarono i rapporti tra professionisti e ricercatori, a partire dal concetto d’indagine. Se riteniamo che i professionisti siano degli indagatori cui è richiesto, nel corso dell’attività lavorativa ordinaria, di individuare e correggere gli errori nella prestazione organizzativa, come si deve concepire il loro rapporto con chi svolge ricerche accademiche sull’apprendimento organizzativo? Quali sono le conseguenze delle varie risposte a questa domanda per i ruoli, gli atteggiamenti e i metodi appropriati dei ricercatori? La risposta a queste domande parte dal riconoscimento che il processo di apprendimento organizzativo è realizzato da professionisti che sono di per sé
1 Cfr. S. Gherardi, La pratica quale concetto fondante
di un rinnovamento nello studio dell’apprendimento organizzativo, «Studi organizzativi», 1 (2000), pp. 55-
72; S. Gherardi, Sapere situato ed ambiguità
decisionali in una comunità di pratiche, in «Studi
organizzativi», 3 (2003), pp. 159-183; M. Knowles,
Quando l’adulto impara. Pedagogia e andragogia,
FrancoAngeli, Milano 1993; J. Lave - E. Wenger,
L’apprendimento situato, Erickson, Trento 2006; J.
Mezirow, Apprendimento e trasformazione. Il
significato dell’esperienza e il valore della riflessione nell’apprendimento degli adulti, Raffaello Cortina,
Milano 2003; J. O’Neil - V. J. Marsick Understanding
Action Learning. Theory into practice, AMACOM,
New York 2007.
2 Cfr. C. Argyris - D. A. Schön, Apprendimento
organizzativo. Teoria, metodo e pratiche, Guerini e
Associati, Milano 1998.
Terza sessione
Il potenziale trasformativo della
ricerca educativa
© Nuova Secondaria - n. 9, maggio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582
84
degli indagatori, che gli argomenti cheinteressano ai professionisti organizzativi e ai ricercatori hanno vaste aree di sovrapposizione. La tesi dei due autori è che, se «la prassi organizzativa quanto la ricerca accademica sono concepite come forme d’indagine, è possibile riarticolare la visione tradizionale del loro rapporto in modo tale da promuovere sia conoscenze utilizzabili sia ricerche robuste»3. L’indagine deweyana ha rappresentato uno dei concetti chiave da cui partire per rivisitare i rapporti tra professionisti e ricercatori. Il ricercatore, che nel pensiero di Argyris e Schön non rientra dentro i paradigmi tradizionali, è capace di condividere la logica dei practitioner e desidera produrre conoscenze utili supportando questi ultimi nell’implementazione del processo d’inquiry e nel rafforzamento di ragionamenti causali di tipo situation-specific. La loro proposta è di mettere in discussione la lontananza epistemologica e storica tra ricercatore e professionista. Individuano, infatti, ciò che essi hanno in comune: entrambi sono indagatori interessati alla scoperta e alla correzione di alcuni errori, alla comprensione di situazioni problematiche, disorientanti e conflittuali. Innanzitutto i professionisti sono tematizzati come soggetti epistemici in grado di riflettere sulla prassi organizzativa, una capacità, questa, che i ricercatori tendono a concepire come loro prerogativa esclusiva. Sono agenti sulla base di un’esperienza, fanno cose in condizioni di complessità e incertezza4. Al pari dei ricercatori possono essere interessati a ciò che minaccia la validità dell’apprendimento organizzativo, ossia ai tipi di ragionamento e alle forze di comportamento che portano a trarre lezioni distorte.
A fronte di questa cornice di senso il ricercatore dovrebbe:
1. problematizzare la convinzione che la ricerca possa mettere a disposizione quel particolare tipo di expertise che consente ai professionisti di risolvere i propri problemi;
2. chiedersi in che modo la capacità d’indagine di un professionista sia potenziata in seguito all’interazione con colui che possiede un’expertise fondata sulla ricerca;
3 Ibi, p. 47. 4 Ibi, p. 55.
3. pensare se sia possibile basarsi solo su conoscenze prodotte dalla ricerca nell’interazione con i professionisti; 4. pensare se sia possibile e utile ignorare
l’indagine dei professionisti, le loro teorie, i loro modi di sottoporre a controllo le proprie idee;
5. domandarsi quali conoscenze possiedono i professionisti e in che modo indagano e apprendono.
Ricercatori e professionisti condividono, dentro questa prospettiva, la costruzione di modelli esplicativi dei mondi di vita che indagano, cercano di dar conto dei dati che reputano significativi e spesso mostrano un discreto rispetto per l’evidenza contraria. I modelli dei professionisti, invece, devono essere utili al fine della progettazione e quindi la loro indagine è soggetta a regole diverse. Nella prassi quotidiana i professionisti:
1. pensano in termini di “causalità progettuale”. Il loro modello di causalità è specifico rispetto alla situazione. Esso si occupa di fenomeni specifici e non aspira a leggi di copertura generali; 2. generalizzano le loro inferenze
situazional-specifiche di causalità soltanto attraverso un processo che viene definito di “trasferimento riflessivo”, trasferimento perché il modello è trasportato da una situazione organizzativa a un’altra in virtù di una sorta di vedere-come; riflessivo perché l’indagatore dovrebbe rivolgere criticamene l’attenzione alle analogie e alle differenze tra la situazione familiare e quella nuova5.
È stata una preoccupazione diffusa quella di mettere a punto setting metodologici che consentano ai ricercatori di:
1. accedere al mondo della vita degli individui, in particolare a quel processo continuo e contestualizzato dell’attribuzione di significati che guidano gli attori nell’agire sociale e soprattutto di vederne la costruzione negoziale;
2. indagare l’azione, intesa come libera scelta degli attori, conseguente all’interpretazione delle situazioni, indipendentemente da ogni determinismo strutturale (classi, valori,
© Nuova Secondaria - n. 9, maggio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582
85
istituzioni) o psicologico (carattere,attitudine, inconscio);
3. guardare la concezione della società, delle organizzazioni, delle comunità come strutture composte da entità agenti, singole o collettive, in costante interazione tra loro, che interpretano, valutano, agiscono, negoziano, all’interno di punti di vista che il ricercatore deve ricostruire, diventando egli stesso partecipe della realtà che intende indagare, se vuole comprendere
e non solo descrivere
oggettivisticamente le situazioni;
4. condividere l’assunto che la conoscenza sarà circostanziata e situata piuttosto che universale e generalizzabile e il suo obiettivo sarà quello di descrivere uno specifico mondo sociale.
Le ricerche appartenenti alla famiglia trasformativa partono dall’assunto che la realtà sociale sia il risultato di una costruzione umana che affonda le radici nelle storie e nei saperi situati degli attori coinvolti. La costruzione degli oggetti di ricerca ha a che fare con i processi di negoziazione e transizione di significato tra i saperi di cui sono depositari gli attori coinvolti e il punto di vista del ricercatore. La letteratura metodologica si è rafforzata nel corso degli anni novanta, quando si è verificata un’autentica esplosione di lavori che affrontavano il tema delle metodologie qualitative6. Tali lavori provenivano da campi disciplinari diversi e le metodologie che delineavano erano al servizio dell’oggetto di studio e delle sue caratteristiche esigenti soluzioni creative e contestuali. Ciò ha
6 Cfr. Y. Poisson, La recherche qualitative en
éducation, Les Presses de l’Université du Québec,
Québec 1991; D. Demetrio, Micropedagogia. La
ricerca qualitativa in educazione, La Nuova Italia,
Firenze 1992; C. Cipolla - A. De Lillo (eds.), Il
sociologo e le sirene. La sfida dei metodi qualitativi,
Franco Angeli, Milano 1996; S. Mantovani (ed.), La
ricerca sul campo in educazione. I metodi qualitativi,
Mondadori, Milano 1998; A. Melucci (ed.), Verso una
sociologia riflessiva. Ricerca qualitativa e cultura, il
Mulino, Bologna 1998; L. Ricolfi (ed.), La ricerca
qualitativa, NIS, Roma 1997; L. Fabbri, Metodologie qualitative e ricerca didattica. I termini del dialogo,
«Studium educationis», 2 (1998), pp. 619-625; L. Fabbri, La costruzione narrativa del sapere didattico, in B. Grassilli - L. Fabbri, Didattica e metodologie
qualitative. Verso una didattica narrativa, La Scuola,
Brescia 2003, pp. 65-91.
consentito un’evoluzione e una diffusione della ricerca qualitativa, facilitando la sua istituzionalizzazione nelle università e la nascita di una copiosa manualistica, ponendo le condizioni per la costruzione di un nuovo linguaggio dell’approccio qualitativo. L’attività di formalizzazione ha, infatti, introdotto una maggiore intersoggettività consentendo alle ricerche trasformative di trarne beneficio sotto il profilo del rigore e della chiarezza concettuale7. Determinante è il ruolo attivo e responsabile che i partecipanti alla ricerca assumono. Nelle scienze sociali, psicologiche e pedagogiche non esiste praticamente alcuna forma di conoscenza e di osservazione che non dipenda, anche solo indirettamente, dalla relazione con l’attore sociale. Ciò sembrerebbe valere in un duplice senso: da un lato, perché spesso le pratiche dell’attore costituiscono l’oggetto diretto della ricerca stessa; dall’altro, perché egli è comunque depositario di informazioni preziose per il ricercatore, in quanto è implicato più o meno direttamente, con i fenomeni oggetto di analisi, anche quando essi sono distanti dalle pratiche immediate8.
Una volta che si riconosce il compito di comprendere il comportamento o l’agire umano e educativo come qualcosa che comporta interpretazione e coinvolgimento di altri soggetti, piuttosto che predizione o controllo, le auto-descrizioni delle persone che si stanno studiando divengono molto importanti in ogni progetto di ricerca.
L’attribuzione di un’autonomia teorica ai soggetti indagati – siano essi attori sociali, pazienti, o professionisti, ovvero referenti delle scienze sociali, delle scienze cliniche, delle scienze didattiche – comporta sul piano epistemologico la capacità di riconoscere l’esistenza del loro punto di vista, del loro apparato teorico e del sistema di significati che strutturano le attività di queste persone.
In alcune fasi della ricerca non ha alcun senso parlare di ricercatori e di soggetti indagati. Si dovrebbe piuttosto parlare di co-partecipanti ad un progetto la cui realizzazione è possibile se si
7 Cfr. G. Gobo, La ricerca qualitativa. Passato,
presente, futuro, introduzione a D. Silverman, Come fare ricerca qualitativa, Carocci, Roma 2002, pp. 21-
22.
8 Cfr. C. Ranci, Relazioni difficili, l’interazione tra
ricercatore e attore sociale, il Mulino, Bologna 1998,
© Nuova Secondaria - n. 9, maggio 2017 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582
86
costruiscono alleanze epistemologiche epratiche significative e rilevanti. I ricercatori e gli attori sociali sono chiamati a definire in termini negoziali oggetti d’indagine spesso indeterminati, ambigui e contraddittori chiamando in causa le rispettive categorie di significato. Devono condividere in che modo un ricercatore accede alle pratiche di una determinata comunità, quali strumenti sono accettabili per esplicitare i “rispettivi guadagni e ritorni” delle conoscenze prodotte, per la comprensibilità di determinate azioni o per l’esplicitazione di alcuni saperi taciti.
Un altro criterio è quello della “validazione da parte dei partecipanti”. Consiste nel chiedere ai membri delle comunità studiate come giudicano gli esiti complessi della ricerca o alcuni aspetti particolari. Il giudizio dei partecipanti non assume il valore di conferma della validità della ricerca. Essi non rappresentano la “realtà”, né una rappresentazione più obiettiva rispetto a quella del ricercatore. Hanno conoscenze situate, sono interessati e soprattutto non sono necessariamente più vicini alla verità rispetto al ricercatore. Il confronto tra i risultati della ricerca e le comunità indagate ha un duplice significato. È un livello di triangolazione di punti di vista diversamente interessati che induce forme di “decentramento culturale”. È un indicatore della crescente sensibilità trasformativa attribuita dai ricercatori alla loro ricerca. La credibilità di una ricerca si misura anche per la sua capacità di costruire alleanze sociali e culturali finalizzate a trasformazioni possibili e auspicabili9.