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Concetti tecnici e concetti deferenziali

CAPITOLO IV: LA DEFERENZA SEMANTICA NEL PROCESSO

2. La deferenza semantica

2.2. Concetti tecnici e concetti deferenziali

Diego Marconi sostiene che la deferenza semantica è una manifestazione del carattere normativo della lingua. A questo proposito, osserva:

[L]a normatività del linguaggio non si riduce all’esistenza di una gerarchia di competenze; c’è anche il riconoscimento implicito, e spesso esplicito, della gerarchia da parte dei parlanti. Questo riconoscimento […] sta alla base del nostro uso del linguaggio come veicolo per assumersi impegni nel senso di Brandom207. Quando un parlante adopera la parola “olmo”, normalmente intende che le sue asserzioni siano

criterio essenzialmente metalinguistico). (Naturalmente uso qui i termini “senso” e “riferimento” solo per comodità, senza voler richiamare la teoria fregeana nel suo complesso. La teoria di Frege si occupa del significato che le parole hanno

oggettivamente nel linguaggio, e non nei singoli idioletti dei parlanti. Non accetterebbe l’idea che il “senso” di un termine

come lui lo intende possa variare in base all’identità del parlante).

206 L’espressione, introdotta da Burge, ricorre con minime varianti di significato in molti autori di filosofia del linguaggio,

filosofia della mente e nelle scienze cognitive. A titolo esemplificativo: Fodor [1994]; Marconi [1999a; 2012]; Recanati [1997; 2000a; 2000b]; Chalmers [2003; 2012].

207 La nozione di impegno, commitment in inglese, in Brandom indica l’assunzione di responsabilità di un parlante nel

valutate sulla base degli standard d’uso prevalenti per le espressioni che impiega; se non è così, deve chiarirlo introducendo una precisazione del tipo “nel mio senso di ‘olmo’” [Marconi, 1999a, p. 155].

La deferenza semantica, dunque, è una nozione che non riguarda il significato letterale, convenzionale e pubblico delle parole quanto piuttosto il significato che le parole assumono in un particolare contesto d’uso. Più precisamente, riguarda un aspetto del coordinamento tra l’idioletto di parlanti specifici e le regole del linguaggio pubblico a cui questi intendono adeguarsi e serve per precisare le regole sottese a diversi tipi di asserzione208. Stessi termini sono usati in modo deferenziale o in modo

tecnico da parlanti diversi della medesima comunità linguistica a seconda che si tratti di esperti oppure no. È, dunque, una nozione che riguarda la pragmatica – la branca della teoria del linguaggio che ne spiega l’uso differenziato da parte dei parlanti in contesti specifici – oltre che la semantica in senso stretto ed è rilevante anche per la filosofia della mente e la teoria dei concetti. Un termine è deferenziale quando è usato in un particolare contesto d’uso: da parlanti incompetenti che lo associano, anziché a un concetto tecnico, a un concetto deferenziale.

In un particolare contesto d’uso, il contenuto proposizionale di un atto linguistico è equivalente al contenuto dello stato mentale, o atteggiamento proposizionale, che ne costituisce la condizione di sincerità [Searle e Vanderveken, 1988, p. 124]. Consideriamo questo breve dialogo che prendo a prestito da Ruth Millikan:

ESPERTO: Andrò in Brasile quest’estate per studiare i monotremi. NON ESPERTO: Che cosa sono i monotremi?

ESPERTO: Che cosa intendi per “monotremi”?

NON ESPERTO: Intendo quello che intendi tu, naturalmente.

“One of the central tenets of the account of linguistic practice put forward here is that the characteristic authority on which the role of assertions in communication depends is intelligible only against the background of a correlative responsibility to vindicate one's entitlement to the commitments such speech acts express. It is possible to secure entitlement to the commitments (assertional, inferential, and referential) implicit in an idiom without gainsaying the possibility of entitlement to a different one. But even such a modest justificatory project is of interest only to someone who both understands the commitments in question and has some reason to want to become entitled to talk in ways that presuppose them” [Brandom, 1994, p. xii].

In questo senso, comune anche a filosofi come Austin, Grice o Searle, per esempio, “impegnarsi alla verità di p”, significa assumersi la responsabilità di dire che p è vero.

208 La deferenza semantica perciò dovrebbe essere presa in considerazione per precisare la portata delle varie regole che

Williamson indica come sottese a qualsiasi tipo di asserzione e in particolare quella che lui chiama la “knowledge rule”: “One must assert that P only if one knows that P” [Williamson, 1996, p. 494].

ESPERTO: Sai che cosa significa “monotremo”?

NON ESPERTO: No, è proprio per questo che te lo sto chiedendo.

ESPERTO: Allora non puoi intendere per “monotremo” quello che intendo io, perché io so che cosa vuol dire “monotremo” [Millikan, 2001, p. 153, traduzione mia209].

Questo scambio è paradossale perché l’esperto non sembra riconoscere una regola che invece dal punto di vista pragmatico è universalmente accettata: non è necessario conoscere del tutto il significato che una parola ha nel dizionario per potersene servire per formulare enunciati dotati di senso. Nel dialogo, la parola “monotremo” è usata dai due parlanti con il medesimo significato? Dipende: il significato è uno solo se per “significato” intendiamo la norma semantica che in un dizionario della lingua italiana correla la parola al suo riferimento; tuttavia, se per “significato” intendiamo il concetto associato al termine rispetto al quale il parlante si impegna in questo particolare contesto conversazionale (il cosiddetto speaker’s meaning) sembrerebbe di no. Nel dire “monotremo”, l’esperto si impegna a riferirsi alla classe di mammiferi ovipari di cui fa parte l’ornitorinco; il non esperto si impegna a riferirsi a qualsiasi cosa l’esperto chiami “monotremo”. Certo c’è un senso in cui i due dicendo “monotremo” intendono la stessa cosa, perché la parola nell’idioletto di entrambi parlanti ha il medesimo riferimento; ma c’è un altro senso in cui i due non intendono la stessa cosa, perché le occorrenze della parola sono associate a concetti diversi. Comprendere la differenza tra questi due tipi di intensioni è essenziale per capire il diverso impegno che le parole dell’esperto e del non esperto esprimono in questo specifico contesto conversazionale. L’idea che stesse parole siano associate a concetti tecnici dagli esperti e a concetti deferenziali dai non esperti, espressa già in Fodor [1994, pp. 34-37; 1998, p. 77], è stata esplorata più nel dettaglio da François Recanati [2000a, p. 463; 2000b, p. 304] che spiega il meccanismo di fissazione del riferimento dei concetti deferenziali sul modello della teoria degli indicali di Kaplan. Nell’idioletto del parlante deferente, il termine acquisisce un riferimento in virtù di un meccanismo indiretto come se il parlante usasse la parola “x” col significato “la cosa che quei tizi chiamano ‘x’”. Nell’idioletto

209 Testo originale:

“Expert: I am going to spend the summer studying monotremes in Brazil. Me: What are monotremes?

Expert: What do you mean, ‘monotremes’? Me: I mean what you meant of course.

Expert: Do you know what ‘monotreme’ means? Me: No, that’s why I’m asking.

del parlante è riconoscibile lo stesso metodo di individuazione del riferimento che Kaplan riconosce negli indicali: il concetto che il parlante correla mentalmente al termine (il carattere in termini kaplaniani) sarà la funzione che dato il contesto di enunciazione (il parlante a cui si deferisce) consentirà di identificare il modo di presentazione del riferimento (il contenuto)210. Per esempio,

mentre per un cosmologo, l’espressione “buco nero” indica un concetto tecnico correlato a un insieme di altri concetti tecnici, come “spazio-tempo” o “campo gravitazionale”, per un parlante non esperto l’espressione è associata a un concetto deferenziale: un concetto cioè la cui intensione rinvia all’uso linguistico degli esperti dell’espressione “buco nero” [Recanati 2000a, p. 456]. L’intenzione del parlante comune nel parlare di “buchi neri” è quella di riferirsi alle stesse entità fisiche che i cosmologi chiamano in questo modo, pur non conoscendo i criteri che sono alla base dell’uso specialistico dell’espressione. Il criterio fondamentale di individuazione del riferimento presupposto dal parlante comune è metalinguistico. Al contrario, chiunque si occupi professionalmente di buchi neri per condurre le proprie ricerche non potrà accontentarsi di criteri metalinguistici. Dovrà conoscere con precisione i criteri tecnici che pretendono di individuare il riferimento del suo campo di studio. Non solo: un cosmologo esperto (o chiunque si ritenga tale) potrebbe anche giudicare che sia opportuno riformare la definizione ricevuta di “buco nero” discostandosi dall’uso che ne sia stato fatto in passato. Potrebbe scoprire, così, che la definizione di “buco nero” per come è formulata nei manuali di cosmologia non si riferisce ad alcun fenomeno realmente esistente oppure che individua in modo generico fenomeni che dal punto di vista esplicativo sarebbe più utile distinguere. Potrebbe, perciò, nelle sue pubblicazioni o nell’ambito del suo gruppo di ricerca, conformare il proprio uso dell’espressione “buco nero” a una definizione nuova ed idiosincratica, necessaria per dare una migliore spiegazione dei fenomeni fisici per cui l’espressione era stata originariamente coniata e che in futuro, se la ricerca dovesse avere successo, potrebbe essere accettata come nuovo significato pubblico dell’espressione211.

210 Recanati osserva anche che l’esperto verso cui si deferisce può essere a sua volta deferente, ma il termine acquista un

riferimento solo se c’è qualcuno alla fine della catena deferenziale. Ex allievo di Lacan, descrive l’uso di alcune espressioni da parte dei lacaniani come un caso di deferenza a vuoto: tutti i lacaniani sono deferenti nell’uso di un determinato dictum di Lacan come “L’inconscio è strutturato come un linguaggio” o “Non c’è alcun rapporto sessuale”, ma queste espressioni restano prive di significato nel loro idioletto perché non esiste esperto capace di determinare il riferimento delle parole che ricorrono in esse [Recanati, 1997, p. 84].

211 Nel suo Trattato di semiotica generale, Umberto Eco sostituisce alla tradizionale dicotomia tra giudizi analitici e

sintetici la tricotomia tra giudizi semiotici, fattuali e metasemiotici. L’asserto metasemiotico esprimerebbe un giudizio che mira ad ottenere quello che Eco chiama un “mutamento di codice”. Accettando questa distinzione, le ridefinizioni specialistiche compiute dagli esperti possono essere ascritte alla categoria degli asserti metasemiotici: “perché un asserto fattuale diventi semiotico, occorre che esso assuma la forma di un asserto metasemiotico […]. Per labile che sia il codice,

Usando il lessico fregeano e semplificando un po’, si può dire che il concetto tecnico e il concetto deferenziale che gli corrisponde siano due sensi che insistono su un medesimo riferimento: due modi di presentazione del medesimo riferimento212. Mentre il concetto tecnico è definito in modo tale da

consentire a chi lo possiede di identificare in modo autonomo il suo riferimento, il concetto deferenziale è definito in modo metalinguistico.

Verosimilmente, più in una comunità linguistica aumentano le credenze che la persona comune accetta per il solo fatto di averle acquisite da esperti, più tende ad aumentare il numero di parole che esperti e non esperti associano a criteri d’uso differenziati: criteri tecnici per la minoranza di esperti che si servono del termine per elaborare e raccogliere nuove informazioni e spesso criteri deferenziali per la maggioranza di parlanti comuni che di quelle informazioni sono meri consumatori. Il diverso

l’asserto metasemiotico fissa la validità dei successivi asserti semiotici sino a che non sarà ‘scalzato’ da un altro asserto metasemiotico” [Eco, 1975, p. 169]. L’asserto fattuale che l’acqua è H2O (giudizio relativo alla struttura fisica dell’acqua)

può diventare un giudizio semiotico (giudizio relativo al significato di “acqua”) solo grazie a un giudizio metasemiotico (giudizio che tende a riformare il significato di “acqua”). Come abbiamo visto, invece, in base alla teoria di Putnam [1975; 2013] sarebbe sbagliato dire che il significato di un termine scientifico cambia nel momento in cui gli scienziati progredendo nelle loro ricerche ne adottano una nuova definizione. A suo modo di vedere, infatti, quando un parlante si riferisce a un genere naturale, intende riferirsi in maniera indicale alla natura profonda condivisa da alcuni paradigmi, presenti nell’ambiente in cui il parlante stesso si trova, senza che per questo egli debba avere in mente una definizione né del genere naturale né dei criteri che fissano ciò che conta come natura.

212 Questo in realtà è un po’ impreciso perché il lessico fregeano con la dicotomia senso-riferimento non distingue tra due

sensi di “senso”: ciò che Recanati, rifacendosi a Kaplan, chiama carattere e ciò che chiama contenuto. Richiamando quanto detto nel capitolo precedente parlando di bidimensionalismo, si potrebbe anche dire che il concetto tecnico e il concetto deferenziale hanno un diverso contenuto nozionale o narrow content e un medesimo contenuto relazionale o

wide content: questi sono solo nomi diversi per ciò che Recanati e Kaplan chiamano rispettivamente carattere e contenuto.

Come abbiamo visto, il contenuto nozionale o narrow di un concetto o un pensiero sarebbe determinato unicamente da proprietà intrinseche al soggetto che intrattiene quel concetto o quel pensiero; il contenuto relazionale o wide sarebbe determinato da proprietà estrinseche al soggetto. Per esempio, il contenuto nozionale o narrow del pensiero “qui piove” intrattenuto da Mario a Bologna il 14 maggio 2019 è “nel luogo in cui mi trovo adesso piove”, mentre il contenuto relazionale o wide è “a Bologna il 14 maggio 2019 piove”. Nello scenario controfattuale in cui Mario si trovasse a sua insaputa a Parma e non a Bologna, il contenuto nozionale del suo pensiero sarebbe il medesimo, mentre il contenuto relazionale sarebbe diverso. Sul tema, v. Sacchi [2013, pp. 251 ss.]. È opinione diffusa che ciò che rileva nella valutazione della correttezza del ragionamento e dei processi deliberativi sia il contenuto nozionale, non il contenuto relazionale. Sul punto, v. Chalmers [2003]. Questo spiega perché l’impiego di concetti deferenziali nel ragionamento implica restrizioni epistemiche che non si applicano ai corrispondenti concetti tecnici, nonostante il loro contenuto relazionale sia il medesimo.

modo di usare le parole da parte di esperti e non esperti sottende un diverso modo di pensare al loro riferimento e quindi di ragionare213. Credo che la comprensione di questa differenza sia utile per

spiegare alcuni aspetti del ragionamento giuridico del giudice che si serva di un esperto per accertare i fatti sottoposti al suo giudizio.