CAPITOLO I: LA DEFERENZA EPISTEMICA NEL PROCESSO
2. Da un modello deferenziale a un modello educativo?
2.2. Irrealizzabilità concreta del modello educativo
La redazione della Northwestern Law Review in cui è pubblicato l’articolo di Allen e Miller sente l’esigenza di segnalare con una Editor’s note che dopo la submission dell’articolo ma appena prima della pubblicazione la Corte Suprema si è pronunciata in Daubert, spingendo il diritto federale
statunitense verso quello che Allen e Miller nell’articolo chiamano modello educativo16. L’idea è
ampiamente diffusa nella letteratura giuridica. Secondo Faigman:
Invece di determinare semplicemente se una tecnica scientifica è generalmente accettata, i giudici sono ora chiamati a comprendere la scienza in prima persona. La sentenza Daubert è stata rivoluzionaria perché ha posto fine all’abdicazione dei giudici rispetto alla loro responsabilità di valutare la affidabilità delle prove scientifiche prodotte. Ora si richiede ai giudici di comprendere il metodo scientifico abbastanza bene da poter decidere se una particolare tecnica sia valida e affidabile come prova [Faigman, 2000, p. 2, traduzione mia17].
E altrove:
La sentenza Daubert richiede ai giudici di valutare la ricerca scientifica grosso modo come la valutano gli scienziati. Incorpora i valori essenziali della cultura scientifica [Faigman, 1999, p. 63, traduzione mia18].
Nello stesso senso, Caudill e LaRue [2006, p. 33], secondo i quali con Daubert si passa finalmente da un modello deferenziale di interazione tra giudici ed esperti, in cui il giudice si fida ciecamente e basa la propria decisione sul principio d’autorità, a un modello educativo, in cui il giudice finalmente si assume la responsabilità di comprendere e vagliare criticamente il fondamento teorico e argomentativo delle prove di cui si chiede l’ammissione19.
16 Mentre l’articolo concerne essenzialmente il problema di come la giuria deve valutare la prova dell’esperto, la sentenza
Daubert riguarda le condizioni che devono sussistere perché un giudice ritenga la prova dell’esperto ammissibile e perciò
presentabile dinanzi alla giuria. Tuttavia, i due temi sono strettamente legati.
17 Testo originale:
“Instead of simply determining whether a scientific technique is generally accepted, judges now are expected to understand the science themselves. Daubert was revolutionary because it put an end to judges’ abdication of their responsibility to assess the reliability of proffered scientific evidence. Now, judges themselves are expected to understand the scientific method well enough to decide whether a particular technique is valid and reliable as evidence”.
18Testo originale:
“[T]he Daubert holding calls on judges to assess scientific research in much the same way scientists might. It incorporates the essential values of the scientific culture”.
19 Ancora sull’idea che Daubert rappresenti un fondamentale cambio di paradigma, Sheila Jasanoff:
“Daubert entailed not only the application of a new legal standard but also something more radical—a change in long- standing habits of judicial tolerance toward party experts, coupled with habitual judicial deference to the jury’s fact- finding function. […] [T]he ruling sought, in effect, to reposition the epistemic foundations of admissibility. It was widely interpreted as requiring judges to ‘think like scientists.’ The judge’s role, according to this reading, was to bring the legal assessment of science into closer alignment with assessment of science by scientists” [Jasanoff, 2005, pp. 49-50].
La sentenza è generalmente considerata l’approdo giudiziario di un movimento d’opinione, nato col libro-denuncia di Peter Huber, Galileo’s Revenge. Junk Science in the Courtroom [Huber, 1991], con l’obiettivo di instillare nei giudici un maggior senso critico e una migliore comprensione del metodo scientifico. Secondo Huber, all’inizio degli anni novanta, l’uso della scienza-spazzatura nell’ambito di alcuni importanti processi si presenta come un gravissimo problema per la giustizia statunitense: in centinaia e centinaia di casi, importanti decisioni giudiziarie vengono prese sulla base di prove solo apparentemente scientifiche. L’unica soluzione a questo problema – sostiene Huber – sarebbe una maggiore integrazione tra cultura giuridica e cultura scientifica: i giudici sanno troppo di diritto e troppo poco di scienza. In una società sempre più tecnologica, i giudici dovrebbero invece imparare a vagliare criticamente le informazioni scientifiche che ricevono nel corso del processo e a comprendere in prima persona le prove in base alle quali loro stessi o le giurie assolvono o condannano le persone. Devono essere gatekeepers, i guardiani delle porte del tribunale, e basarsi su una rigorosa applicazione del metodo scientifico per tenere fuori dal processo la scienza-spazzatura. Ma, al di là delle intenzioni alla base di essa e al di là della retorica che la circonda, qual è stato il vero impatto pratico della sentenza Daubert?
Per cominciare, la vittoria dei Daubert fu del tutto irrilevante nel caso concreto. Le prove la cui ammissione era ostacolata dal Frye standard e che i Daubert volevano far ammettere furono considerate inammissibili dal giudice del rinvio, proprio come erano state considerate inammissibili nel processo Mekdeci. L’aspetto più ironico di questa vicenda è che il nuovo standard, considerato un baluardo per la difesa delle giurie dalla cosiddetta scienza-spazzatura, viene creato per iniziativa di un gruppo di postulanti che fondavano le proprie difese precisamente su scienza-spazzatura e che proprio per questo erano insoddisfatti del precedente test dell’accettazione generale. Oggi è provato in modo piuttosto schiacciante che in effetti il Bendectin non era affatto pericoloso.
Quando la società Merrell decise di ritirare il farmaco dal mercato in risposta alla gran quantità di cause che le erano state intentate, questo ebbe l’effetto di dimostrare in modo molto chiaro la totale assenza di correlazione tra l’assunzione del farmaco da parte di donne incinte e i difetti congeniti nei neonati. Il grafico qui riportato, tratto da uno studio dei primi anni duemila, mette in relazione la quantità di scatole di Bendectin vendute (curva verde) e la quantità di neonati nati con difetti congeniti
Nello stesso senso Mariacarla Tallacchini:
“[I]n the US judicial system, […] the traditional legal attitude of deference to science has been abandoned for a more critical account of the links between science and law. The Frye (1923) and the Daubert (1993) cases illustrate this passage” [Tallacchini, 2002, p. 331].
(curva blu): il numero di bambini nati con arti malformati resta più o meno costante e non è in nulla influenzato dalla progressiva diminuzione delle vendite e dal ritiro dal mercato del Bendectin. Al contrario, la mancanza di un farmaco idoneo determina un incremento netto dei ricoveri di donne incinte per complicazioni legate alla nausea mattutina (curva gialla).
[Kutcher, Engle, Firth e Lamm, 2001, p. 96]
Il momento in cui le vendite di Bendectin cominciano a crollare coincide con la pubblicazione, nell’ottobre del 1979, di un articolo sul tabloid scandalistico National Enquirer, distribuito gratuitamente fuori dai supermercati in tutti gli Stati Uniti, fonte che è facile riconoscere come poco attendibile anche senza essere esperti di farmacologia. Il titolo dell’articolo era: The New Thalidomide Scandal – Experts Reveal. COMMON DRUG CAUSING DEFORMED BABIES [Green, 1996, p. 134]. La notizia era stata fornita al giornale da Melvin Belli, avvocato della famiglia Mekdeci e di alcune altre pretese vittime della società Merrell. Nonostante il titolo, nessuna pubblicazione scientifica di rilievo confermava la tesi attribuita agli “experts” dal giornale scandalistico. Così già prima di Daubert, servendosi del Frye standard, i giudici erano stati perfettamente in grado di indovinare che quella alla base delle perizie di Mekdeci e dei Daubert era scienza-spazzatura, creata ad arte per mettere in piedi azioni giudiziarie a catena a tutto vantaggio di grossi studi legali come quello di Melvin Belli. Nell’ambito della vicenda Bendectin, i processi condotti sulla base del Frye standard e quelli condotti sulla base del Daubert standard hanno fornito tutti la medesima soluzione, riconoscendo l’inattendibilità degli studi proposti. In sostanza, nell’ambito del filone giudiziario in cui è stata pronunciata (la saga dei Bendectin cases), la sentenza Daubert non ha consentito di utilizzare prove affidabili che altrimenti sarebbero state escluse né ha escluso prove inaffidabili che altrimenti sarebbero state ammesse. Semplicemente, non ha avuto alcun effetto pratico.
In termini più generali, poi, che il Daubert standard sia più efficace del Frye standard nell’arginare l’accesso di scienza-spazzatura nel processo non è mai stato provato. Alcuni studi quantitativi mostrano che il Daubert standard è più restrittivo rispetto al Frye standard nelle sue applicazioni concrete nelle corti statali [Dixon e Gill, 2001; Cheng e Yoon, 2005]20. Ma questo di per sé non
implica che il nuovo test proposto dalla Corte Suprema sia più efficace del precedente nel distinguere prove affidabili e inaffidabili. Il minor numero delle prove ammesse potrebbe essere anche dovuto al fatto che perizie affidabili vengono indebitamente escluse, attribuendo un ingiusto vantaggio alle parti convenute a danno delle parti attoree. Nell’ambito dei cosiddetti mass toxic torts, questo implicherebbe un ostacolo per i consumatori che vogliano fare valere le proprie ragioni contro grosse aziende21. Per ironia della sorte, il nuovo standard ottenuto nel vano tentativo di provare un danno da
prodotto da un consumatore contro una grande azienda diventa così uno strumento nelle grandi aziende per difendersi contro le azioni di risarcimento dei danni intentate dai consumatori.
Nel migliore dei casi, ciò che la sentenza Daubert fa è innalzare lo standard di prova, cioè il grado di certezza richiesto per considerare un fatto giuridicamente provato22. Ma se lo standard di prova è
20 Secondo Helland e Klick [2012], invece, non c’è alcuna prova concreta nemmeno del fatto che negli stati in cui il
Daubert standard ha sostituito il Frye standard si sia registrato un minore tasso di perizie ammesse.
21 È il caso di ricordare, in proposito, che Peter Huber, iniziatore della polemica sulla scienza-spazzatura, appartiene al
Manhattan Institute for Policy Research, un think tank di destra che tra le altre cose promuove, nell’interesse degli
industriali, un maggior rigore nell’ammissione della prova nei processi civili per risarcimento del danno da prodotto. Cfr. in proposito il sito dell’istituto: https://www.manhattan-institute.org/expert/peter-w-huber (ultima consultazione giugno 2019). Come scrive Dwyer:
“[H]eightened concern over ‘junk science’ in United States civil actions in the early 1990s, culminating in Daubert, can be seen as an attempt by large corporations, particularly in the pharmaceutical industry, to weaken significantly toxic tort actions being brought against them” [Dwyer, 2008, p. 229]. Sullo stesso tema, in polemica specificamente con l’attivismo di Peter Huber, cfr. Chesebro [1993], che ironizza chiamando la sua crociata contro la junk science “junk scholarship”.
22 Le nozioni di onere della prova e standard di prova sono correlate, ma distinte. L’onere della prova è la situazione
giuridica soggettiva della parte processuale che per ottenere un determinato effetto giuridico ha l’onere di dimostrare determinati fatti. Lo standard di prova è il grado di certezza che l’ordinamento esige per considerare una certa ipotesi provata. In altri termini, la norma che definisce l’onere della prova dice che cosa succede se un fatto è provato o non è provato: il soggetto gravato dall’onere della prova perderà la causa se non riesce a provare le ipotesi di fatto alla base delle proprie pretese; la norma che definisce lo standard di prova definisce il grado di conferma necessario per affermare che un determinato fatto è provato. Su quest’ultima nozione e su come sia spesso ingiustamente trascurata nelle motivazioni delle sentenze cfr. per esempio Tuzet e Ferrer [2018, p. 455] che definiscono lo standard di prova “il livello di sufficienza probatoria richiesto a fini decisori”. Può accadere che una stessa disposizione giuridica definisca sia lo standard di prova sia l’onere della prova. È il caso dell’art. 533 del codice di procedura penale italiano, che recita: “Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole
più difficile da soddisfare ciò non significa che automaticamente le decisioni prese siano migliori sul piano epistemologico. Il giudice, qualora lo standard non sia superato e resti incerto circa il fondamento di una pretesa, non può sospendere il giudizio alla maniera di un filosofo scettico: la pretesa dovrà essere dichiarata o fondata o infondata, tertium non datur. Della proposizione giuridicamente rilevante (come ad esempio: “il farmaco tale è dannoso”, “il ponte è crollato a causa di un errore nel progetto”, “Anna ha sviluppato un tumore a causa delle emissioni dell’industria Alfa”…), il giudice dovrà sempre dire se esistono prove sufficienti per ritenerla vera oppure no. Se un giudice decidesse23 di condizionare il suo convincimento a uno standard di prova elevatissimo, ciò
non avrebbe necessariamente l’effetto di migliorare la base epistemica dei suoi giudizi: si tradurrebbe solo in un virtuale annullamento dei diritti dei soggetti onerati della prova a vantaggio dei soggetti nei confronti dei quali avanzano delle pretese. Se lo standard di prova dovesse sempre coincidere con la certezza, nessun ladro potrebbe mai essere punito per aver rubato, l’autorità di nessun contratto potrebbe mai essere fatta valere in giudizio, nessun danno potrebbe mai essere risarcito. La messa al bando degli argomenti ex auctoritate, l’impossibilità di far valere conclusioni probatorie sulla base della mera autorevolezza degli scienziati che le propongono, può perciò rappresentare in ambito penale un indebolimento delle garanzie che il diritto appresta per difendere il bene comune e in ambito civile una compromissione del diritto di difesa di alcuni soggetti, quelli onerati dalla prova, a favore di altri, quelli le cui violazioni del diritto devono essere provate. In breve: se diventa impossibile o molto difficile provarne i fatti costitutivi, i diritti individuali cessano di esistere24. L’innalzamento
dello standard di prova non elimina l’errore giudiziario, ma sbilancia a favore dei convenuti o degli imputati il rischio dell’errore giudiziario. Anche una falsa assoluzione, non solo una falsa condanna, infatti, è un errore.
dubbio”. Da questa disposizione, si può ricavare, da un lato, che l’onere della prova grava sull’accusa: spetta all’accusa provare che l’imputato è colpevole e non alla difesa dimostrare che è innocente; dall’altro, che lo standard di prova che l’ordinamento esige per ritenere che l’accusa abbia soddisfatto il proprio onere è definito dal tradizionale test dell’“al di là di ogni ragionevole dubbio”. Ciò non toglie che le due nozioni siano distinte sul piano concettuale.
23 La definizione dello standard di prova è una scelta di valore di grande rilevanza politica. Troppo spesso, in quasi tutti i
paesi, questa scelta viene delegata al giudice, perché le norme processuali che dovrebbero definire lo standard in realtà si limitano a rinviare a criteri che hanno a che fare con stati mentali del decisore: il libero convincimento del giudice, l’assenza di reasonable doubt da parte sua, la sua intime conviction, la sua sana crítica… Questo di fatto però rappresenterebbe una lesione del principio di legalità perché anche il grado di certezza con cui devono essere provati i presupposti di un diritto fa parte dell’anatomia sostanziale di quel diritto. Lo standard di prova definisce il grado relativo di protezione che lo Stato intende accordare a una situazione giuridica rispetto a situazioni giuridiche contrapposte. In questo senso v. per esempio Ferrer [2013, p. 27] Sul punto torneremo nel prossimo capitolo.
Il metodo educativo naturalmente non potrebbe imporre al giudice di diventare esperto in ogni campo del sapere, ma dovrebbe, nelle intenzioni di chi lo propone, consentirgli comunque di vagliare la correttezza metodologica del ragionamento dell’esperto. Nell’interpretazione che ne dà la Corte Suprema in Daubert, imporrebbe al giudice di diventare se non scienziato, quantomeno esperto nel riconoscimento di applicazioni del metodo scientifico corrette e scorrette. Ma l’idea che il rispetto del metodo scientifico – che la Corte sembra far coincidere con il rispetto di una certa sua interpretazione del falsificazionismo popperiano – possa essere utilmente usato come criterio di ammissibilità desta perplessità. Susan Haack evidenzia che i criteri Daubert sono irrimediabilmente compromessi con un’errata lettura della filosofia della scienza di Karl Popper, la quale, interpretata nel modo corretto, non potrebbe invece fornire alcun valido criterio per valutare la attendibilità di un esperto:
[È] stato assolutamente bizzarro invocare Popper – proprio Popper tra tutti! – per determinare quale perizia scientifica sia sufficientemente affidabile per essere ammessa. Difatti una tesi chiave di Popper è che non si può mai dimostrare che un’affermazione scientifica è vera, probabile o affidabile [Haack, 2010, p. 124, traduzione mia25]
Peraltro, secondo Haack, l’impostazione data al “problema della prova scientifica” è viziata fin dal momento della sua formulazione. Ciò che deve importare non è quale prova sia scientifica, bensì quale prova sia affidabile. Un uso onorifico della parola “scienza” e una conseguente ossessione con il problema della demarcazione tra scienza vera e scienza-spazzatura sarebbero il segno di un indebito scientismo [Haack, 2012, p. 75]. Se dovessimo dare ascolto a Popper, molte delle questioni normalmente oggetto di perizia non potrebbero essere rimesse alle valutazioni di esperti e dovrebbero essere affidate al senso comune dei giudici. Per esempio, buona parte delle perizie psichiatriche che normalmente si ammettono in ambito giudiziario sono compromesse con assunti non falsificabili e a rigore in base a Daubert non dovrebbero essere ammesse [Allen, 1994, p.1172]. Una perizia storica – per esempio nell’ambito di un processo per crimini di guerra – non potrebbe essere mai ammessa, dal momento che la storia non può essere considerata una scienza in termini popperiani. Il giudice, ove la dinamica di un particolare evento storico assumesse rilevanza giuridica, dovrebbe preferire la
25 Testo originale:
“[I]t was downright bizarre to call on Popper – Popper, of all the people! – to help determine whether expert scientific testimony is sufficiently reliable to be admissible. For a key thesis of Popper’s is that scientific claims can never be shown
propria dilettantesca ricostruzione di quell’evento alla ricostruzione fatta da un professionista, specializzato nell’esame e il confronto delle fonti archivistiche26.
Il perfezionismo epistemico insito nel modello educativo perciò può avere almeno due effetti negativi: da un lato, innalzare lo standard di prova aumentando in modo sproporzionato il rischio di false assoluzioni, dall’altro, rendere impossibile l’ammissione di perizie per la soluzione di questioni di fatto che non si prestano a un esame “scientifico” – qualsiasi cosa si debba intendere con questo termine – costringendo il giudice a preferire il proprio dilettantismo allo stato dell’arte della conoscenza umana su tali questioni27.
Ma c’è di più. Anche se il rispetto del metodo scientifico fosse l’unico buon metodo per accertare l’affidabilità di una proposizione è ingenuo pensare che la sua adozione possa essere accertata in prima persona da un giudice e concludere che il giudice possa arrogarsi il diritto di esercitare questo controllo in modo autonomo. Secondo lo scienziato cognitivo George Lakoff, Daubert ha contribuito a rafforzare, tanto nel pubblico come nelle aule di giustizia, una concezione autoritaria del giudice e del suo ruolo nel processo. In base a questa concezione, il giudice è un soggetto nei confronti del quale il sistema giuridico deve riporre una fiducia incondizionata, capace meglio di coloro che sono riconosciuti come scienziati di verificare la conformità di teorie al metodo scientifico. Lakoff parla di una mutazione del frame concettuale attraverso il quale interpretiamo i ruoli dei diversi agenti che interagiscono nel processo e i loro rapporti reciproci.
Daubert mette sotto processo la scienza stessa e gli scienziati. […] In questo processo, il giudice distrettuale
è sia giudice che giuria. Il giudice non ha credenziali o conoscenze specialistiche né in campo scientifico né in filosofia della scienza né in studi empirici sulla scienza.
Lo scienziato-imputato ha tutto da perdere: la sua reputazione professionale, nel caso in cui si sancisca che non è effettivamente un esperto. Se il giudice decreta che una certa affermazione scientifica è “scienza-
26 Taruffo mette in guardia dalla figura del “giudice apprenti sorcier”: il giudice che per eccessivo zelo nell’esercizio
delle funzioni di gatekeeper finisce per fondare il proprio convincimento su scienza-spazzatura autoprodotta [Taruffo, 2008, p. 292].
27 Un ulteriore difetto della sentenza Daubert, soprattutto per come reinterpretata in Joiner, sarebbe quella di individuare