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Fonte di prova o ausiliario del giudice?

CAPITOLO II: TESTIMONI ED ESPERTI

2. Due concezioni dell’esperto

2.2. Fonte di prova o ausiliario del giudice?

Anche al di là delle classificazioni di diritto positivo, sembra che siano possibili due distinte concezioni del ruolo dell’esperto sul piano teorico. Prendiamo il seguente esempio di ragionamento probatorio. Supponiamo che un giudice debba determinare se Giovanni è responsabile dell’omicidio di Chiara.

Il testimone A sostiene di avere ritrovato il cadavere di Chiara il primo gennaio e sostiene che, al momento del ritrovamento, sul corpo della donna erano chiaramente visibili delle larve.

La polizia nei giorni successivi ha scattato delle fotografie del cadavere che documentano la presenza delle larve.

La salma è stata repertata ed è ora custodita presso l’istituto di medicina legale. La testimone B afferma che Giovanni si trovava all’estero fino al 28 dicembre.

L’entomologa C afferma che le larve ritratte nelle foto e le cui tracce sono ancora visibili sul cadavere custodito presso l’istituto di medicina legale sono larve di calliphora vomitoria e in quanto tali devono avere impiegato dai 7 ai 14 giorni per svilupparsi nel corpo della vittima. Pertanto, il decesso deve essersi verificato prima del 25 dicembre.

Il giudice conclude che Giovanni ha un alibi e dunque non può essere colpevole dell’omicidio di Chiara. Pertanto, Giovanni è innocente.

Su quali prove si fonda questo ragionamento? Ci sono fonti di prova testimoniale come A e B, fonti di prova documentale come le fotografie scattate dalla polizia e fonti di prova reale come il corpo custodito presso l’istituto di medicina legale. Ma che dire dell’entomologa C? Deve anch’essa essere considerata, al pari dei testimoni, delle fotografie e della salma, una fonte di prova99?

99 La fonte di prova è il supporto materiale (persona o oggetto) da cui si può trarre almeno un elemento di prova [Tuzet,

2016, p. 169]: un documento, un testimone, un pugnale insanguinato possono essere tutti esempi di fonti di prova. Un

mezzo di prova è l’attività attraverso la quale un elemento di prova è tratto dalla fonte di prova: per esempio, l’esame del

documento, l’escussione del testimone, l’ispezione del pugnale insanguinato. Un elemento di prova è l’informazione che può essere utilizzata dal giudice come fondamento della sua attività inferenziale, al fine di affermare la verità di proposizioni che descrivono un tema di prova: l’informazione che una persona si trovava in un certo luogo in un determinato momento o che un certo oggetto è l’arma del delitto. Il tema di prova è una proposizione la cui verità deve essere provata perché determinati effetti giuridici possano prodursi. Il risultato dell’attività inferenziale, ossia l’affermazione che un determinato fatto giuridicamente rilevante che è oggetto del tema di prova si è o non si è verificato,

La risposta a questa domanda, in una certa misura, dipende in effetti da una scelta del legislatore. Dopotutto, la “prova” in senso giuridico è semplicemente il procedimento di controllo della verità di certe proposizioni stabilite dall’ordinamento, secondo certe modalità anch’esse stabilite dall’ordinamento. È il diritto positivo a stabilire sia quali proposizioni esigano questo particolare controllo per poter essere adoperate ai fini della decisione sia, come abbiamo visto, quali parametri di correttezza debbano essere impiegati per determinare che il controllo ha avuto successo e che la proposizione può essere accettata come vera sulla base di certi argomenti [sul punto cfr. Carnelutti, 1992, p. 44]. Perciò, è un problema di diritto positivo determinare sia se le informazioni fornite dall’esperto debbano essere qualificate come temi di prova sia quali debbano essere le procedure da applicare in conseguenza di tale qualificazione. Ci sono fatti che il giudice può considerare veri anche se non vengono provati: per esempio, i fatti non controversi nelle vertenze civili, l’esistenza di fonti del diritto (come leggi o regolamenti) o i cosiddetti fatti notori. Solo un’analisi delle disposizioni contenute nei codici potrà determinare, quindi, se in un dato sistema processuale il legislatore abbia scelto di estendere alle conclusioni tecniche degli esperti il tipo di disciplina che è previsto per le prove e in particolare il contraddittorio nella formazione della prova che è richiesto per l’escussione dei testimoni comuni.

Ciò non toglie che la discussione circa l’opportunità di qualificare – a livello legislativo o interpretativo – gli esperti come fonti di prova sottende questioni di interesse teorico generale che trascendono il diritto positivo. Per questo motivo, vale la pena di esaminare la questione in questa sede. Il carattere problematico della qualificazione dipende dalla peculiare natura della funzione epistemica che gli esperti rivestono in qualsiasi processo, in qualsiasi possibile ordinamento positivo. C’è qualcosa di obiettivamente diverso, per esempio, tra l’informazione che il corpo di Chiara conteneva delle larve in una certa data e l’informazione che le larve di una certa specie normalmente hanno un certo tempo di sviluppo nei cadaveri. Qualsiasi disciplina dell’expertise deve ragionevolmente tenere conto di questa differenza. Perciò: se il tipo di apporto conoscitivo che un esperto è in grado di dare in un processo debba considerarsi o no come tema di prova (se ad esso, ad esempio, vadano estesi oneri di prova e allegazione previsti per le deposizioni dei testimoni comuni) è forse un problema che va risolto sulla base di considerazioni di diritto positivo (o di politica legislativa, a seconda che lo si affronti de iure condito o de iure condendo); tuttavia, la definizione

prende il nome di risultato probatorio. Per un’utile ricognizione dei significati che la parola “prova” (“prueba”) può assumere cfr. anche Gascón [2010, pp. 76-88]. Analoghe ambiguità caratterizzano il termine “evidence” in inglese [Ho, 2015].

delle caratteristiche di tale apporto (e in particolare la loro similitudine o la loro differenza rispetto alle caratteristiche di una deposizione non tecnica) di sicuro non dipende dalla volontà del legislatore. Certamente, senza l’aiuto dell’entomologa C, il giudice non avrebbe posseduto un’informazione chiave per la soluzione del caso. Se C non avesse informato il giudice circa il ciclo di sviluppo che caratterizza la specie calliphora vomitoria e non avesse riconosciuto le larve nelle fotografie come appartenenti proprio a quella particolare specie, il giudice non sarebbe mai stato in grado di risolvere il caso nel modo in cui lo ha risolto. Per altro verso, l’utilità di C nel processo è condizionata dal dato contingente che il giudice non sia a sua volta un esperto di entomologia. Solo questa contingente insufficienza cognitiva del giudice, per così dire, giustifica l’intervento di C sulla scena processuale. Se il giudice non fosse stato in grado di trarre le informazioni rilevanti dalle fotografie per un’altra ragione legata alla sua persona, per esempio se fosse stato cieco, e avesse dovuto servirsi di un assistente per esaminarle (come probabilmente farebbe qualsiasi giudice cieco) probabilmente non saremmo portati a qualificare questo assistente come la fonte della prova che il corpo di Chiara conteneva quelle particolari larve.

Sembra dunque che il ruolo epistemico degli esperti possa essere descritto in questi due modi antitetici: da un lato può essere assimilato a quello dei testimoni comuni, dall’altro può essere assimilato a quello del giudice stesso. Se si adotta la prima concezione, si è portati a considerarlo come una fonte tra le altre fonti di prova; se si adotta la seconda, piuttosto come delegatario, nel circoscritto ambito di un problema tecnico, di una funzione giurisdizionale, in particolare della funzione di valutare la rilevanza e il peso di specifiche fonti di prova per affermare la verità di un determinato fatto.