CAPITOLO I: LA DEFERENZA EPISTEMICA NEL PROCESSO
3. La divisione del lavoro epistemico
3.2. L’illusione di profondità esplicativa
Ma non occorre fare riferimento alle tecnologie quasi esoteriche consegnateci dalla rivoluzione digitale per rilevare la nostra sistematica dipendenza dalla conoscenza di esperti. Secondo gli scienziati cognitivi Steven Sloman e Philip Fernbach, la diffusa ignoranza nel funzionamento di una banale toilette ne è un buon esempio [Sloman e Fernbach, 2017, pp. 14 ss.]. Tutti sappiamo come si usa un water, e la maggior parte di noi probabilmente sosterrebbe anche di sapere spiegare come funziona. In realtà, il livello di comprensione che la maggior parte di noi ha di un WC è assolutamente superficiale e pochi di noi sarebbero in grado di spiegare esattamente le proprietà causali e la funzione di ciascuno degli elementi che lo compongono.
Ciò che si evince da alcuni studi [Rozenblit e Keil, 2002], è che, nonostante una diffusa percezione di comprensione, pochissimi di noi conoscono nel dettaglio il sofisticato meccanismo, inventato diverse centinaia di anni fa, che sta alla base di un moderno sciacquone. Per indicare la nostra tendenza a credere di avere del mondo una comprensione migliore di quella che effettivamente abbiamo, gli psicologi parlano di un’illusione di profondità esplicativa (illusion of explanatory depth)36 [Mills e Keil, 2004; Keil, 2005]. Altri esperimenti analoghi hanno evidenziato il medesimo
fenomeno. Rebecca Lawson, psicologa dell’Università di Liverpool, in un esperimento condotto nel
35 Ricavo questa informazione da un articolo dedicato alla storia del laptop pubblicato su una rivista online inglese
dedicata alla divulgazione informatica:
“You are holding one of the most advanced machines ever built in the history of humanity. It is the result of trillions of hours of R&D [research and development] over tens of thousands of years. It contains so many advanced components that there isn’t a single person on the planet who knows how to make the entire thing from scratch” [Anthony, 2015].
36 Questa illusione avrebbe una giustificazione evoluzionistica:
“Since it is impossible in most cases to fully grasp the causal chains that are responsible for, and exhaustively explain, the world around us, we have to learn to use much sparser representations of causal relations that are good enough to give us the necessary insights: insights that go beyond associative similarity but which at the same time are not overwhelming in terms of cognitive load. It may therefore be quite adaptive to have the illusion that we know more than we do so that we settle for what is enough. The illusion might be an essential governor on our drive to search for explanatory underpinnings; it terminates potentially inexhaustible searches for ever-deeper understanding by satiating the drive for more knowledge once some skeletal level of causal comprehension is reached” [Rozenblit e Keil, 2002, p. 562].
2006, ha chiesto ad alcuni studenti universitari di psicologia di completare un disegno schematico di una bicicletta, in cui mancavano alcuni dettagli, come la catena e i pedali. Circa metà degli studenti, compresi alcuni ciclisti esperti, che pure prima dell’esperimento affermavano di sapere esattamente come funziona una bicicletta, non erano in grado di rappresentare neppure in modo molto schematico il meccanismo che trasmette il moto dal pedale alle ruote attraverso la catena. Uno dei partecipanti avrebbe commentato “I think I know less than I thought!” [Lawson, 2006, p. 1667].
Secondo Sloman e Fernbach, il mondo contemporaneo ci dà una costante illusione di comprensione profonda, perché i nostri processi cognitivi, così come i nostri comportamenti, di norma, sono efficientemente integrati dal punto di vista funzionale a processi cognitivi altrui37 e le conoscenze
altrui ci permettono di conseguire i nostri obiettivi tanto quanto quelle di cui siamo personalmente portatori38. La deferenza epistemica è efficiente perché fin da molto piccoli, dai tre anni di età, siamo
in grado di riconoscere con una certa accuratezza l’expertise in altri [Lutz e Keil, 2002]. Questa mutua dipendenza cognitiva non è un fenomeno culturale contingente, bensì un tratto biologico distintivo della nostra specie39. Fenomeni di comunicazione e apprendimento sociale sono in misura minore
37 Per così dire, nostra mente esternalizza quanto più possibile i suoi contenuti. E quando questa esternalizzazione non
comporta un pregiudizio pratico, tendiamo a illuderci che non si sia mai verificata:
“The knowledge illusion occurs because we live in a community of knowledge and we fail to distinguish the knowledge that is in our heads from the knowledge outside of it. We think the knowledge we have about how things work sits inside our skulls when in fact we’re drawing a lot of it from the environment and from other people” [Sloman e Fernbach, 2017, p. 265-6].
38 Una delle fondamentali caratteristiche che qualificano un atteggiamento proposizionale come una credenza
(propositional attitude) è la capacità che esso comporta di tradurre desideri in intenzioni:
“Believing that performing action A would lead to event or state of affairs E, conjoined with a desire for E and no overriding contrary desire, will typically cause an intention to do A” [Schwitzgebel, 2015].
Ebbene, per esempio, le credenze affidate alla memoria altrui ci consentono al pari di quelle fissate nella nostra personale memoria biologica di formare intenzioni coerenti coi nostri obiettivi e agire di conseguenza: le une e le altre da questo punto di vista possono risultare fungibili sotto il profilo cognitivo per un individuo che viva in una società ben organizzata.
39 La divisione del lavoro cognitivo è un tratto distintivo dell’homo sapiens, da sempre:
“There has always been what cognitive scientists like to call a division of cognitive labor. From the beginning of civilization, people have developed distinctive expertise within their group, clan, or society. They have become the local expertagriculture, medicine, manufacturing, navigating, music, storytelling, cooking, hunting, fighting, or one of many other specialties. One individual may have some expertise in more than one skill, perhaps several, but never all, and never in every aspect of any one thing” [Sloman e Fernbach, 2017, p. 36].
osservabili anche in altre specie40, ma è l’uomo l’animale culturale per eccellenza. E una caratteristica
fondamentale che consente agli uomini di sviluppare la loro cultura e trasmetterla di generazione in generazione è appunto la cosiddetta divisione del lavoro epistemico41.
Nel lavoro di Sloman e Ferbach, questo discorso si associa a un più generale rifiuto di considerare il cervello individuale come sede esclusiva delle facoltà cognitive [Sloman e Ferbach, 2017, p. 177]. L’idea che la mente umana dipenda funzionalmente dall’ambiente sociale in cui opera, infatti, si intreccia nelle scienze cognitive contemporanee con una più generale messa in discussione della concezione della mente umana come entità autonoma, disincarnata e isolata rispetto al mondo materiale che ci è stata tramandata dalla tradizione cartesiana42.
40 Nel 1921, a Swaythling, in Inghilterra, la cincia (Cyaniestes caeruleus) imparò a rubare il latte dalle bottiglie consegnate
dai lattai, bucando con il becco la lamina metallica allora usata per tapparle. L’informazione circa il procedimento da adottare per bucare la lamina metallica con il becco si diffuse socialmente, negli anni 30, dapprima nel resto del Regno Unito e poi nelle comunità di cince di tutta Europa [Fisher e Hinde 1949; Fischer e Hinde, 1951; Lefebvre, 1994]. Un classico dell’etologia sul tema del comportamento culturale di animali non umani è Mainardi [1974]; sul punto v. anche Laland e Bennett [2009].
41 Sul tema v. ad esempio Baumeister [2005]. Beaumeister sostiene che uno dei principali vantaggi evolutivi dello
sviluppo di una cultura è, insieme alla trasmissione sociale della conoscenza, la divisione del lavoro, epistemico e non: “[T]here are powerful and undeniable benefits that come from [the] division of labor. Cultural beings can therefore accomplish a great deal more than noncultural beings, even if their capabilities are identical. […] A culture can produce a system in which many different parties perform different roles and exchange their outputs, so as to improve the lot of everyone. In this way, cultural animals can cooperate and reciprocate far beyond the intimate circle that limits social animals. A culture is a system. To the extent that nature designed us for culture, it prepared us to be part of a system. Systems connect up multiple individual points (called nodes) so that the total can be more than the sum of its parts. For this, different roles are vital. A system in which every node was identical, doing exactly the same thing, would not be much of a system. In contrast, systems that link together different nodes that accomplish different things can be extremely powerful and can produce huge gains in productivity” [Baumeister, 2005, pp. 34-35].
La divisione del lavoro è efficace proprio perché si produce culturalmente e non biologicamente:
“In principle, people could be biologically slated for different roles, but this system would not function effectively, partly because of inflexibility. For example, if someone were biologically slated to be a blacksmith and performed well, he might prosper and hence reproduce, and the result could be a dozen children, all of whom were biologically slated to be blacksmiths. But if the village only needs one blacksmith, the rest would starve. Instead, the remarkable biological adaptation is to produce a flexible self that secures acceptance within the group and then seeks out or creates a more or less unique role for itself” [Baumeister, 2005, p. 45].
42Tre importanti tesi vanno menzionate in proposito. La tesi della embodied cognition sostiene che le funzioni cognitive
sono un prodotto di parti del corpo differenti rispetto al cervello: senza gli organi di senso e la capacità di interagire col mondo esterno la mente umana non si sarebbe evoluta con le caratteristiche che le sono proprie. Perciò la comprensione