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CAPITOLO I: LA DEFERENZA EPISTEMICA NEL PROCESSO

4. La deferenza epistemica nel processo

4.2. Un esempio pratico

Per comprendere come realisticamente può funzionare il rapporto tra giudici e parti da un lato ed esperti dall’altro prendiamo un esempio concreto: uno stralcio dell’esame incrociato di un esperto balistico in un processo per omicidio68. Si tratta di un processo in cui, la deposizione dell’esperto

viene sottoposta a un vaglio critico molto serio. Anche qui però si dà per scontato che l’esperto, a certe condizioni, possa essere semplicemente creduto sulla parola. La deposizione dell’esperto viene sottoposta a una prova di resistenza in relazione ad aspetti di essa che appaiono problematici o controversi, ma si dà per scontato: 1) che le affermazioni che non appaiono problematiche o controverse possano essere accettate senza essere sottoposte ad alcun controllo; 2) che il superamento della prova di resistenza cui sono sottoposte le affermazioni problematiche o controverse non sia condizionato alla presenza di ragioni conclusive di carattere non testimoniale per accertarne la verità. La consulenza tecnica del PM ha accertato col metodo del kit-tampone la presenza di una particella contenente piombo, antimonio e bario sulla mano dell’imputato. Il consulente del PM ha spiegato che poiché piombo, antimonio e bario non si combinano mai in natura, la presenza di particelle di questo tipo è associata in modo univoco con l’esplosione di un colpo d’arma da fuoco. Questa massima di esperienza non è contestata nel processo e viene accettata sulla base dell’autorevolezza della deposizione del consulente del PM e delle fonti da lui citate. La difesa vuole però dimostrare che l’imputato potrebbe essersi inquinato accidentalmente la mano maneggiando gli abiti con cui si era recato a caccia qualche giorno prima. Durante l’esame diretto, il consulente della difesa conferma che questa ipotesi è plausibile e che la sua plausibilità è sufficiente quanto meno a ingenerare un dubbio sulla colpevolezza dell’imputato. Lo standard di prova applicabile nel processo penale è quello

67 Come vedremo nel prossimo capitolo, la disputa tra riduzionisti e antiriduzionisti, che è al centro della discussione

filosofica in materia di testimonianza, è una disputa circa la natura delle condizioni alle quali una dichiarazione testimoniale può (in un certo senso di “può”) essere creduta: è una disputa sulle condizioni della deferenza epistemica.

68 Il verbale è riportato in un libro sulle tecniche di cross examination di Gianrico Carofiglio [2007, pp. 61-82], nel

“dell’al di là di ogni ragionevole dubbio”69. La tesi della difesa è dunque che esiste un dubbio

ragionevole sul fatto che sia l’imputato ad aver sparato. Dopo avere chiesto al teste le sue qualifiche (medico legale, docente di medicina legale all’università), il difensore entra nel merito, chiede quale sia il funzionamento del kit-tampone e domanda se ci siano studi che attestino casi di positività al test su persone che non hanno sparato.

CONSULENTE: Sì, questa ipotesi di positività su persone che non hanno sparato è un’ipotesi che è stata anche prospettata in un convegno a Taormina. L’ipotesi che una persona si possa inquinare pur stando accanto a uno che spara fu proprio una delle indicazioni che ci venne fornita da Scotland Yard. Era un caso in cui nella stessa auto c’erano più persone, uno aveva sparato e invece erano stati incriminati degli altri che stavano accanto e non c’entravano niente; tutto perché c’era stato questo inquinamento accidentale di persone che si trovavano nella macchina.

DIFENSORE: Di tali ipotesi di inquinamento diretto ce ne possono essere molte o no?

CONSULENTE: Ipotesi di trasferimento si possono realizzare ogniqualvolta c’è un contatto con la superficie inquinante, a sua volta inquinata.

[…]

DIFENSORE: È possibile un trasferimento di particelle da indumento ad epidermide umana, quindi da indumento a mani?

CONSULENTE: Sì.

La pretesa dell’avvocato difensore è che, sulla base dell’autorevolezza del consulente, si accetti nel processo che è quantomeno plausibile che l’imputato non abbia sparato alcun colpo il giorno del delitto, nonostante sia risultato positivo al test del kit-tampone. L’accusa procede al controesame. Il controesame distruttivo del PM ci darà un ottimo esempio di quello che ho chiamato “prova di resistenza”. Come vedremo, il presunto esperto fallirà la prova in modo piuttosto plateale. Il PM dapprima fa un approfondimento circa le qualifiche del teste chiedendogli se ha già fatto consulenze in materia di residui da sparo.

CONSULENTE: Queste le faccio raramente perché l’apparecchiatura per farle è difficile reperirla, per cui l’indagine vera e propria, cioè, andare ad analizzare, la faccio raramente.

[…]

PUBBLICO MINISTERO: Di recente, o anche non di recente, le è capitato di fare consulenze specifiche su residui di sparo su indumenti?

CONSULENTE: Personalmente io, no.

69 Il verbale riportato risale a prima del 2006, anno in cui la formula “al di là di ogni ragionevole dubbio” fu introdotta

nell’art. 533 comma primo del codice di procedura penale. Tuttavia, anche prima di allora lo standard di prova, secondo dottrina e giurisprudenza era il medesimo [Ubertis, 2015, p.175].

PUBBLICO MINISTERO: Quindi questa tematica la conosce per essersi documentato su letteratura scientifica?

CONSULENTE: Per incontri di studio.

PUBBLICO MINISTERO: In generale per la sua appartenenza alla comunità scientifica? CONSULENTE: Dove andiamo, sentiamo, discutiamo, vediamo…

Dopo di che, adottando una tipica tecnica dei controesaminatori, riconducibile alla figura retorica nota come cleuasmo, finge ignoranza e sminuendosi chiede all’esperto un chiarimento:

PUBBLICO MINISTERO: Qualche udienza fa abbiamo sentito il tecnico della Polizia di Stato. Alcune sue spiegazioni, a me che probabilmente non capisco bene, non sono state del tutto chiare. Vorrei che lei adesso ci chiarisse un po’ meglio la dinamica fisica dello sparo.

Il consulente rapidamente si vede sottoposto a un vero e proprio esame di fisica. E quando il PM gli domanda le temperature di fusione e di ebollizione di piombo, antimonio e bario e la temperatura alla quale si formano le particelle del tipo ritrovato sulla mano dell’imputato, il supposto esperto balistico fa scena muta. Già questo contribuisce a minare notevolmente la sua credibilità. Ma il PM si spinge oltre, mostrando di essersi ben preparato per la cross-examination.

PUBBLICO MINISTERO: In generale lei può indicarci qualche studio scientifico che si occupi della contaminazione accidentale di tipo ambientale?

CONSULENTE: I lavori più… diciamo che i capisaldi sono quelli americani, di Wolten e collaboratori. PUBBLICO MINISTERO: Beh, ma questi sono studi un po’ vecchi, parliamo del 1977 e 1979.

CONSULENTE: Non credo che ci sia qualcosa di più aggiornato.

PUBBLICO MINISTERO: Allora lei non è a conoscenza di uno studio dell’Università di Torino dei professori o dottori Virgili e Varetto, in collaborazione con il Centro investigazioni scientifiche dei Carabinieri?

CONSULENTE: …no, non lo conosco.

PUBBLICO MINISTERO: […] Comunque le risulta di studi, anche questi americani, Wolten e altri, che si siano occupati della contaminazione accidentale di mani per contatto con abiti contaminati?

CONSULENTE: Mah non credo che loro abbiano fatto questo tipo di accertamenti; loro hanno fatto accertamenti su tipi di lavori [per verificare se taluni tipi di lavorazioni potessero determinare particelle omologhe ai residui dello sparo].

PUBBLICO MINISTERO: Quindi, quando lei afferma che è possibile il passaggio di residui di sparo da un abito a una mano, fa una congettura basata sulle sue cognizioni scientifiche?

CONSULENTE: Su dati…

PUBBLICO MINISTERO: Sì, dati scientifici certo. Quello che voglio dire è che la sua è una affermazione congetturale, ma lei non ha conoscenza – né per averlo verificato personalmente né per averlo letto su uno studio scientifico – di casi in cui questa contaminazione ci sia stata?

CONSULENTE: No, io non conosco, a parte questa segnalazione fatta da Scotland Yard in cui loro stessi hanno segnalato questa contaminazione…

PUBBLICO MINISTERO: No. Quella era una contaminazione di gente vicina allo sparo, non di mani per contatto con abiti, in momenti successivi allo sparo. Io le ho chiesto se…

CONSULENTE: Se conosco casi di trasferimento [da abiti a mani]? No. PUBBLICO MINISTERO: Non ho altre domande.

Questo è un esempio di controllo particolarmente zelante sull’attendibilità di una prova per esperti. Si tratta di un processo per omicidio, in cui la pena da irrogare è sicuramente molto elevata. Non ci si potrebbe aspettare nulla del genere in un processo in cui la posta in gioco è molto minore e le risorse ragionevolmente utilizzabili sono molto più esigue: un processo civile celebrato dinanzi a un giudice di pace per un danno da mille euro, per esempio. Il pubblico ministero ha fatto un buon lavoro, adeguato alla rilevanza della regiudicanda: un finto esperto è stato sbugiardato, destituendo di fondamento l’eccezione difensiva di un probabile assassino.

Ma supponiamo che il consulente non fosse stato così sprovveduto e che allo studio presentato dal pubblico ministero ne avesse contrapposto uno ancora più recente in cui risulta che l’inquinamento indiretto di cui si discute è dopotutto a certe condizioni possibile. Questo dimostrerebbe in modo inequivocabile la tesi assolutoria e la correttezza della prova scientifica su cui si basa? Evidentemente no. Questo ulteriore studio potrebbe a sua volta essere messo in discussione da un altro studio ancora. L’approfondimento della questione potrebbe protrarsi indefinitamente70. Entrambe le tesi in gioco,

sia quella della difesa (che ci sia una ragionevole possibilità di trasferimento delle particelle da abiti a mani) sia quella dell’accusa (che questa possibilità non ci sia), sono supportate da argomenti d’autorità: per vincere l’autorevolezza del consulente della difesa, il PM cita l’autorevole studio dell’Università di Torino. Di fatto, il consulente soccombe solo perché mostra di non conoscere questo studio e cessa così di apparire autorevole71.

70 In effetti, uno studio [Torre, Mattutino e Vasino, 2000] successivo alla celebrazione del processo da cui è tratto il

verbale qui riportato ha dimostrato la falsità della massima di esperienza, da nessuno contestata nel processo, su cui si fonda la tesi accusatoria: nel 2000, si è scoperto che non è vero che piombo, antimonio e bario si combinano solo in caso di esplosone di colpi d’arma da fuoco! Alcuni tipi di lavorazione industriale nell’ambito della fabbricazione di automobili possono produrre un inquinamento da particelle di piombo, antimonio e bario non correlato a sparo.

71 Sheila Jasanoff [1995, p. 53] scrive che quando si sottopone un testimone esperto a un vaglio di credibilità raramente

è possibile dimostrare che quanto ha detto è falso. Molto più spesso l’esperto è smentito perché dà una rappresentazione inesatta delle fonti che egli stesso presenta come autorevoli.

Quanto intensa deve essere la prova di resistenza a cui dobbiamo sottoporre l’esperto per potergli credere? La proposta del modello educativo sarebbe quella di spingere la prova fino a eliminare del tutto ogni fiducia nei confronti dell’esperto. Ma se rifiutassimo a priori la possibilità di accettare anche una sola inferenza dell’esperto adottando come criterio l’autorevolezza sua o delle fonti da lui citate, di fatto destituiremmo la prova per esperti dal suo scopo istituzionale e della sua utilità. Nel caso di specie ci convinceremmo della possibilità che una particella di piombo, antimonio e bario possa trasferirsi da indumenti a mani solo conducendo appositi esperimenti concepiti ad hoc per il processo. Ciò non solo sarebbe estremamente costoso, ma renderebbe ridondante la presenza dell’esperto. Di fatto le perizie o le consulenze dovrebbero sistematicamente essere sostituite, ove sia possibile, tenendo conto delle competenze dei giudici e le risorse disponibili, da esperimenti giudiziali.

In conclusione, la struttura argomentativa su cui si poggia l’uso di esperti in tribunale è necessariamente deferenziale. L’esperto svolge la sua funzione una volta che, superato un vaglio di credibilità più o meno rigoroso, il giudice si risolve a credergli. La presenza dell’esperto in tribunale è utile solo se almeno a certe condizioni, superate certe prove di resistenza, come le abbiamo chiamate, le sue parole possono fondare un argomento ex auctoritate. Chiarito che il modello di interazione tra giudici ed esperti è necessariamente caratterizzato da una forma di deferenza epistemica, nel prossimo capitolo tenteremo di approfondire il problema delle condizioni di questa deferenza. In particolare metteremo a confronto la deferenza epistemica verso esperti e la deferenza epistemica verso testimoni comuni

CAPITOLO II: TESTIMONI ED ESPERTI