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Le condizioni della deferenza epistemica verso testimoni comuni ed esperti

CAPITOLO II: TESTIMONI ED ESPERTI

3. Due tipi di deferenza epistemica

3.4. Le condizioni della deferenza epistemica verso testimoni comuni ed esperti

Si possono, dunque, così discriminare le condizioni della deferenza epistemica verso i testimoni comuni e verso gli esperti:

Deferenza epistemica verso il testimone comune

S ha una ragione per credere p perché T ha asserito u

sul presupposto che p rappresenti un fatto particolare f e T abbia percepito f.

Deferenza epistemica verso l’esperto

S ha una ragione per credere p perché E ha asserito u

sul presupposto che p rappresenti un fatto generale F ed E conosca F oppure

sul presupposto che p rappresenti un fatto particolare f, f sia implicato da F, ed E conosca F124.

Per esempio:

Deferenza epistemica verso il testimone comune

Il giudice ha una ragione per credere che il cadavere di Chiara il primo gennaio fosse pieno di larve perché il testimone A asserisce che il corpo di Chiara il primo gennaio era pieno di larve e perché il giudice crede che il testimone A abbia visto che il corpo di Chiara il primo gennaio era pieno di larve (percezione di un fatto particolare).

Deferenza epistemica verso l’esperto

Il giudice ha una ragione per credere che Chiara non può essere morta dopo il 25 dicembre perché il giudice crede che l’entomologa C sappia che le larve ritrovate nel corpo di Chiara erano di calliphora vomitoria e che ogni larva di quella specie impiega dai 7 ai 14 giorni per svilupparsi in un cadavere umano (conoscenza di un fatto generale).

In altre parole trattiamo diversamente le due categorie di dichiaranti perché riconosciamo loro un diverso privilegio epistemico. Questa distinzione generale ci consente di riconoscere come testimoni comuni o esperti anche figure della vita quotidiana che operano al di fuori del processo. Se mia nonna mi riferisce che da bambino ero una peste, la mia fiducia nella sua affermazione sarà condizionata alla credenza che mia nonna mi abbia visto o sentito comportarmi da peste. Sarò epistemicamente deferente nei suoi confronti solo sul presupposto che mia nonna abbia memoria della percezione del fatto oggetto della sua narrazione. Diversamente se vado dal medico e questi mi riferisce che ho l’artrite, la mia fiducia nella sua affermazione non sarà necessariamente condizionata dal fatto che il medico abbia visto, udito, o altrimenti percepito coi suoi sensi qualche cosa che io non ho percepito. È possibile anzi che il medico fondi la sua diagnosi su percezioni di sintomi che sono io a riferirgli. La sua abilità sarà quella di selezionare – sulla base di fatti generali che riguardano il fenomeno artrite – i sintomi rilevanti, associarli alla nozione di artrite, e inferirne una serie di conseguenze a me ignote circa lo stato delle mie articolazioni. La mia fiducia nella capacità del medico di formulare giudizi sul mio stato di salute sarà relativa all’abilità di quest’ultimo, sulla base della sua istruzione, di formulare giudizi di tipo ipotetico e generale: “se si presentano quei sintomi, il paziente

124 Nella rappresentazione dell’“argument from expert opinion” fornita da Walton, Reed e Macagno sono ritracciabili gli

elementi di quella che qui chiamiamo deferenza epistemica verso esperti:

“Major Premise: Source E is an expert in subject domain S containing proposition A. Minor Premise: E asserts that statement A is true (false).

probabilmente è affetto da artrite”; “se è affetto da artrite, allora dovremo aspettarci queste e queste conseguenze”… Nei due casi, tratterò mia nonna e il medico rispettivamente come un testimone comune e come un esperto.

Chiariti i diversi presupposti della deferenza verso le due categorie di dichiaranti, possiamo fare una considerazione banale, che però come vedremo ha conseguenze non banali sul piano teorico. Tali presupposti non sono delle caratteristiche intrinseche al dichiarante. Sono caratteristiche della relazione tra il dichiarante e il soggetto deferente. Siamo deferenti verso un soggetto in quanto testimone perché quel soggetto ha percepito un fatto, certo, ma non un fatto qualsiasi: un fatto passato di cui noi non siamo stati testimoni. Analogamente, siamo deferenti verso un soggetto in quanto esperto perché quel soggetto conosce un fatto generale, a cui noi, per motivi di tempo, cultura o intelligenza, non avremmo altrimenti accesso.

I presupposti della deferenza epistemica sono doppiamente relativi. Sono relativi in un primo senso, perché cambiano in relazione alla posizione epistemica del soggetto deferente, e in un secondo senso, perché cambiano in relazione alla proposizione che è oggetto della dichiarazione. Un soggetto non è un testimone o un esperto in assoluto, ma è un testimone o un esperto di qualcosa per qualcuno. La deferenza epistemica si giustifica solo a condizione che il soggetto deferente riconosca nel dichiarante un qualche tipo di privilegio epistemico rispetto a sé in relazione alla possibilità di conoscere il valore di verità di una proposizione o un insieme di proposizioni. Per capire se possiamo essere deferenti nei confronti di un soggetto dobbiamo in primo luogo identificare una proposizione sul cui valore di verità siamo incerti e valutare se ci sono ragioni per ritenere che il soggetto possa determinare il valore di verità di quella proposizione meglio di noi.

Il giudice deve prestare attenzione a questo aspetto. Deve sempre distinguere le proposizioni rispetto alle quali il dichiarante ha un privilegio epistemico rispetto a lui da quelle in cui non ce l’ha. Nel caso del testimone comune, il privilegio epistemico riguarda proposizioni che descrivono fatti individuali, il cui soggetto è una delle cose o delle persone di cui si discute nel processo ed è determinato attraverso un’espressione indicale o un nome proprio. Nel caso dell’esperto, il privilegio epistemico riguarda un fatto generale che consente di formulare un’inferenza che il giudice non è in grado di compiere e utile per la soluzione del caso.

Torniamo ora all’esempio del testimone che dice che l’imputato non era in Italia il giorno della morte di Chiara perché l’imputato e tutti i membri della sua famiglia, tutti gli anni, durante le vacanze di

Natale, vanno a New York. Questa affermazione ha un contenuto complesso perché non rappresenta di per sé la proposizione da cui deriva il privilegio epistemico del dichiarante. È il risultato di un ragionamento del testimone. Per esempio il testimone potrebbe avere ragionato in questo modo:

Se vedo una persona prendere dei biglietti per New York, quella persona poi va a New York. Ho visto Giovanni prendere dei biglietti per New York tutti gli anni dal 2012 al 2017. Tutti gli anni Giovanni va a New York.

La seconda premessa del ragionamento125, in mancanza della testimonianza, è necessariamente

inaccessibile al giudice: se non lo fosse non ci sarebbe bisogno di chiamare il testimone a deporre. È quella che custodisce l’informazione che il giudice vuole ottenere dalla deposizione. Tuttavia il giudice potrebbe rifiutare la conclusione del ragionamento perché non è convinto della premessa di partenza. (Non avrebbe potuto almeno questa volta Giovanni comprare il biglietto solo per precostituirsi un alibi? Non potrebbe avere avuto un contrattempo dovuto, magari, proprio a una lite con la vittima?) Il testimone non ha alcun privilegio epistemico rispetto al giudice in relazione alla premessa di partenza126. Quando i giudici e le parti raccomandano ai testimoni di attenersi ai fatti –

intendendo con questa espressione quelli che abbiamo chiamato “fatti particolari” – lo fanno proprio per individuare le proposizioni che rappresentano nel modo più fedele possibile i fatti di cui il soggetto è stato effettivamente testimone.

Viceversa il privilegio epistemico degli esperti consiste nella loro capacità di compere inferenze che solo la conoscenza di un fatto generale ignoto ai non esperti rende possibile. Possiamo chiamare queste inferenze inferenze tecniche. Per esempio:

125 Per semplicità rappresento il ragionamento come se fosse deduttivo ma in realtà è abduttivo. Il dichiarante riconosce

nel fatto che una persona vada a New York tutti gli anni la miglior spiegazione del fatto che tutti gli anni compri un biglietto per New York.

126 La narrazione di un fatto da parte di un testimone comune presuppone in ogni caso un giudizio inferenziale – questo è accettato sia da Stein che da Carnelutti – perché richiede la sussunzione di dati sensoriali in formule linguistiche. Per esempio, il testimone che afferma di aver visto un cane, può farlo solo perché inferisce da alcune caratteristiche dell’animale che ha visto (pelo, muso, latrati eccetera) che è un’istanza di ciò che si chiama normalmente “cane”. A differenza del perito percipiente, però la funzione del testimone comune non è dovuta alla sua capacità di compiere quell’inferenza. L’inferenza concessa al testimone è banale. Deve esserlo per essere innocua. Chiunque saprebbe compierla, non è un’inferenza tecnica, e non è nella capacità di compierla che risiede il valore epistemico che distingue il testimone nel processo.

Se le larve rappresentate nelle fotografie di Chiara presentano le caratteristiche… sono di calliphora

vomitoria.

Le larve rappresentate nelle fotografie di Chiara presentano le caratteristiche... Le larve rappresentate in queste fotografie sono di calliphora vomitoria.

Se in un cadavere umano si sono sviluppate larve di calliphora vomitoria, allora significa che probabilmente il soggetto è deceduto almeno da una settimana.

Nel cadavere di Chiara si sono sviluppate larve di calliphora vomitoria. Probabilmente Chiara è morta almeno da una settimana.

Come si vede, ci sono due inferenze intrecciate in questo caso, la prima compiuta dall’entomologa nella veste di perito percipiente, che la porta a riconoscere la specie di appartenenza degli insetti rappresentati dalle fotografie; la seconda compiuta nella veste di perito deducente, che le consente di determinare il tempus commissi delicti. L’entomologa è in grado di compiere queste inferenze perché conosce fatti generali, ignoti alla maggior parte delle persone: i fatti descritti dalle proposizioni che costituiscono le premesse maggiori dei due sillogismi. Il giudice e le parti hanno motivo per trattare l’entomologa come un’esperta solo se non hanno modo per motivi di tempo, cultura o intelligenza di verificare altrimenti la verità di quelle premesse. Tuttavia il giudice – magari su sollecitazione di una delle parti – potrebbe rifiutare la conclusione del ragionamento dell’esperto perché non è convinto della correttezza della premessa minore del primo sillogismo. Il pubblico ministero, per esempio, potrebbe obiettare nel corso del controesame: “Lei dice nella sua relazione che la calliphora allo stato larvale presenta striature ma… le striature che lei ha osservato sono dovute solo a un difetto del fotocopiatore con cui è stata riprodotta la fotografia presente nella relazione…”. In altre parole, anche in questo caso il privilegio epistemico del dichiarante è circoscritto solo ad alcune proposizioni: quelle che rappresentano i fatti generali e che autorizzano il compimento di inferenze tecniche. Se la deposizione è il frutto anche di premesse diverse, rispetto alle quali l’esperto non ha alcun privilegio epistemico, il giudice e le parti potranno verificare la correttezza di queste premesse.