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Disaccordi tecnici e disaccordi giuridici

CAPITOLO III: CONCETTI TECNICI E CONCETTI GIURIDICI

3. L’esternismo semantico nel diritto

3.4. Disaccordi tecnici e disaccordi giuridici

Torniamo per un momento al nostro esperimento mentale. Se assumiamo la teoria di Moore o quella di Brink per risolvere il caso sopra esposto, considereremo il problema di determinare che cosa conti come “acqua idonea all’irrigazione” non come un problema relativo all’interpretazione della volontà negoziale delle parti, ma come un problema chimico177. Il giudice dovrà limitarsi ad accertare

l’intento dei contraenti di riferirsi al genere “acqua”, identificando lo stereotipo cui quella parola si riferisce: il liquido di cui è composta la pioggia, i mari, il lago Trasimeno, il fiume Po eccetera. Dopodiché comprendere se il campione d’acqua appartenga o meno a quel genere sarà questione legittimamente deferibile ad un esperto. Il procedimento di sussunzione del fatto nella norma sarà

handling of those things which are, in fact, toxic. A given legal community can do no better than rely on the best available chemical evidence in trying to determine the reference of "toxic substance." The intentions or beliefs of the enacting legislature concerning toxic substances and their handling are at most starting points in our own inquiry into the meaning of the statute, and where we have reason to believe that the beliefs of the legislature were badly mistaken, legislative intent is no constraint at all”.

così scomposto in tre fasi solo una delle quali sarà controllata dal giudice (il collegamento tra la parola e il suo stereotipo), mentre le altre due (il collegamento dello stereotipo alla sua natura profonda, e il confronto di quest’ultima con la natura profonda della cosa oggetto di sussunzione) dovranno essere delegate ad un esperto. Schematicamente:

1) Il campione di liquido raccolto dello stagno > secondo l’esperto > è XYZ;

2) XYZ (≠ H2O) > secondo l’esperto > non ha la stessa natura del liquido che compone la

pioggia, i mari eccetera;

3) ciò che non è lo stesso tipo di liquido che compone la pioggia, i mari, eccetera> secondo il giudice > non è “acqua”.

Se si adotta un’interpretazione radicale dell’esternismo, non solo non spetta al giudice determinare la nozione di “acqua” contrattualmente rilevante: non spetterà al giudice nemmeno determinare quale nozione di “stessa natura” che l’esperto dovrà presupporre per dire se lo stereotipo di acqua e il campione raccolto dallo stagno hanno la stessa natura. In base a questa tesi, i criteri per comporre una disputa concettuale sulla natura di un determinato paradigma non saranno influenzati dal fatto che si sta discutendo di diritto. La natura dell’acqua, e quindi la migliore definizione chimica disponibile di essa, dovrebbe essere riconosciuta anche dal diritto in quanto unica natura che l’acqua possiede nel mondo reale.

Questo approccio, se portato alle sue estreme conseguenze, finisce per negare l’evidenza. Nega che, per fenomeni studiati da discipline diverse rispetto al diritto, il diritto possa stabilire autonomi criteri di categorizzazione, disattendendo i pretesi criteri naturali scoperti dalle scienze. Quando il diritto parla di “acqua”, “morte”, “crudeltà”, “sostanza tossica”, nella prospettiva esternista, dovrebbe fare riferimento alle stesse categorie a cui quelle parole alludono rispettivamente in ambito chimico, biologico, morale, tossicologico. Ma questa idea è in contrasto con l’esperienza di qualsiasi giurista. I casi in cui, pacificamente, per le più varie ragioni, i concetti giuridici assumono contorni diversi rispetto a quelli impiegati nel linguaggio ordinario o in altri linguaggi settoriali sono molto frequenti. Come scrive Bice Mortara Garavelli [2001, p. 11], “[è] l’atto (o, se si preferisce, il gioco) linguistico del “ridefinire” il principale responsabile della condizione tipica del linguaggio giuridico: il riuso specialistico di termini del linguaggio ordinario”. Non è escluso che a determinati effetti giuridici, il diritto faccia proprie le classificazioni scientifiche, ma in altri casi, anche per ragioni connesse al principio di legalità, preferisce classificazioni del linguaggio comune o classificazioni che non trovano altro riscontro se non nei testi di legge. Facciamo qualche esempio.

Primo caso: Nix v. Hedden, caso statunitense del 1893.Una legge federale, il Tariff Act del 3 marzo 1883, stabilisce l’applicazione di un dazio del 10 % per l’importazione di verdure (“vegetables”), ma non per l’importazione di frutti (“fruits”). Un importatore di pomodori dai Caraibi, John Nix, intenta causa contro Edward Hedden, l’ufficiale del porto di New York incaricato della riscossione dei dazi, sostenendo che quest’ultimo ha ingiustamente preteso il pagamento della tariffa del 10 % per l’importazione di pomodori, nonostante i pomodori siano frutti. Il giudice federale si esprime a favore di Hedden, ma Nix non si dà per vinto e porta il caso dinanzi alla Corte Suprema. Ma anche la Corte Suprema, all’unanimità, rigetta la domanda. Queste le parole del giudice Gray:

Botanicamente parlando, i pomodori sono il frutto di una pianta, come lo sono i peperoni, le zucchine, i fagioli e i piselli. Tuttavia, nel linguaggio comune delle persone, sia venditori che consumatori, quelle menzionate sono tutte verdure che si coltivano negli orti domestici e che, cotte o crude, sono servite per cena, come le patate, le carote, le pastinache, le rape, i cavolfiori, dentro, insieme o dopo la zuppa, il pesce o la carne che costituisce il piatto principale del pasto, e non, come generalmente i frutti, come dessert [Nix v. Hedden (149 US 304, 1893), traduzione mia178].

Secondo caso, simile, sempre ottocentesco, sempre statunitense: Maurice v. Judd, del 1818179. Una

legge dello stato di New York subordina il commercio di olio di pesce a una particolare disciplina: tutto l’olio deve essere controllato ed etichettato da appositi ispettori prima di poter essere messo in commercio, pena una multa di venticinque dollari al barile a carico del commerciante. L’ispettore per l’olio di pesce James Maurice conviene in giudizio il rivenditore di olio di balena Samuel Judd, che si è sottratto all’ispezione e rifiuta di pagare la multa. Judd si difende dinanzi alla Mayor’s Court, osservando che le balene non sono pesci e che pertanto l’olio di balena non è olio di pesce. A conforto

178 Testo originale:

“Botanically speaking, tomatoes are the fruit of a vine, just as are cucumbers, squashes, beans, and peas. But in the common language of the people, whether sellers or consumers of provisions, all these are vegetables which are grown in kitchen gardens, and which, whether eaten cooked or raw, are, like potatoes, carrots, parsnips, turnips, beets, cauliflower, cabbage, celery, and lettuce, usually served at dinner in, with, or after the soup, fish, or meats which constitute the principal part of the repast, and not, like fruits generally, as dessert”.

179 Su Maurice v. Judd cfr. anche Burnett [2007]; Soames [2009]; Sainsbury, [2014]; Phillips [2014]; Asgeirsson [2016].

Un caso simile è prospettato in via ipoterica da Brian Leiter, in polemica con le tesi di Moore e Brink:

“Suppose the legislature prohibits the killing of “fish” within 100 miles of the coast, intending quite clearly (as the legislative history reveals) to protect whales, but not realizing that “fish” is a natural kind term that does not include whales within its extension. The new theory of reference tells us that the statute protects sea bass but not whales, yet surely a court that interpreted the statute as also protecting whales would not be making a mistake. Indeed, one might think the reverse is true: for a court not to protect whales would be to contravene the will of the legislature, and thus, indirectly, the will of the people” [Leiter, 2017, par. 5.3.].

della propria tesi, Judd presenta anche la deposizione di un esperto, l’eminente naturalista Samuel Latham Mitchill, il quale conferma: i cetacei sono mammiferi e non pesci. La corte tuttavia si esprime in senso contrario: l’espressione ricorre, nella disciplina applicabile, con un significato diverso rispetto a quello delle scienze biologiche, in base al quale è “pesce” (“fish”) qualsiasi animale che vive nell’oceano180.

Terzo caso: questa volta si tratta di una vertenza in materia penale, discussa dinanzi al Bundesgerichtshof, la Corte federale di giustizia tedesca, nel 2006 [BGH 1 StR 384/06]. Questi i fatti. L’accusa è riuscita a provare dinanzi al tribunale di primo grado, il Landgericht, che l’imputato ha acquistato al fine di rivenderli tra gli 8,0 ai 22,7 kg di sostanze allucinogene. I giudici hanno emesso una condanna a due anni e otto mesi di reclusione. La sentenza però è stata impugnata dalla difesa e riformata totalmente in grado d’appello. L’Oberlandgericht ha osservato che la legge penale invocata dal pubblico ministero proibisce unicamente il traffico di piante allucinogene, mentre dinanzi al giudice di prime cure è risultato che gli allucinogeni detenuti dall’imputato fossero funghi. Dal momento che i funghi non sono piante, secondo la corte, la sentenza di condanna ha violato l’articolo 1 del codice penale, che proibisce il ricorso all’analogia in malam partem, e l’articolo 103 comma 2 della costituzione federale, che prevede il principio di riserva di legge in materia penale. Il Bundesgerichtshof si trova così a decidere sull’impugnazione della sentenza di secondo grado proposta dal pubblico ministero e finisce per accoglierla. Secondo i giudici, il fatto che, nella tassonomia biologica, il regno delle piante sia distinto da quello dei funghi, non è dirimente, agli effetti giuridici. Il principio di riserva di legge in materia penale e il divieto di analogia che costituisce un suo corollario impediscono unicamente la condanna a comportamenti che nessun consociato avrebbe potuto ritenere rientranti nella descrizione del fatto tipico, mentre diversi indici testuali rendono plausibile che il legislatore nel parlare di piante allucinogene intendesse riferirsi anche ai funghi allucinogeni.

In breve, che un pomodoro sia o meno un frutto, che una balena sia o meno un pesce, che i funghi siano o meno assimilabili alle piante non sono problemi ai quali un esame accurato delle loro rispettive caratteristiche fisiche consente di dare una risposta univoca. La categorizzazione dipende sempre dai criteri di correttezza che presupponiamo che a loro volta dipendono dai fini ai quali la

180 Questo uso della parola “fish” è attestato nell’inglese americano ottocentesco. In Moby-Dick, libro pubblicato circa

trent’anni dopo questa vertenza, Melville descrive ancora la balena come “spouting fish with a horizontal tail” (“pesce che fa spruzzi dotato di una coda orizzontale”).

categorizzazione è preordinata181. In contesti diversi, i parlanti possono essere interessati a

categorizzare in modo differenziato stessi oggetti. La scienza biologica ha bisogno di una nozione di “frutto” che, per esempio, renda vero l’enunciato:

Un frutto è il risultato della maturazione di un fiore.

La gastronomia ha bisogno di una nozione di “frutto” che, per esempio, renda vero l’enunciato:

Secondo il galateo tradizionale, il pasto può concludersi con un dolce o con un frutto, e, nel caso siano serviti entrambi, il dolce deve essere servito prima del frutto.

La categoria a cui la parola “frutto” allude nei due contesti è differente perché gli interessi delle persone che si servono della parola in ambito biologico e in abito gastronomico sono diversi182.

L’appartenenza del pomodoro alla categoria dei “frutti” non dipende solo dalla struttura fisica del pomodoro ma anche degli interessi perseguiti e dai criteri di categorizzazione adottati dai parlanti. Più in generale, che un determinato oggetto debba essere caratterizzato in un certo modo dipende non tanto dall’oggetto stesso o dal paradigma con cui l’oggetto condivide una natura profonda, quanto dagli interessi in vista dei quali è compiuta la categorizzazione.

Il linguista Michele Cortellazzo [1994, p. 9], in un libro dedicato ai linguaggi settoriali, che lui chiama, rifacendosi a Saussure, “lingue speciali”, osserva che il lessico di ogni settore del sapere si caratterizza per “esigenze di denominazione” proprie, spesso “più estese o più raffinate di quelle rappresentate, per quel settore, dalla lingua comune”. Queste esigenze tipicamente impongono l’introduzione nella lingua speciale di parole nuove, ma altre volte più semplicemente richiedono il riutilizzo specialistico di parole comuni. In questo modo, stesse parole, in settori diversi, caratterizzati da bisogni lessicali differenziati, finiscono per assumere significati diversi. Questo è un dato che un giudice deve tenere a mente nel momento in cui interagisce con gli esperti: nel momento in cui

181 Traggo i tre casi qui discussi da Montiel e Ramírez [2010], Ramírez [2015a; 2015b] e Moreso [2010; 2015]. Moreso

[2015, pp. 275-279] li considera esempi di finzioni giuridiche: casi in cui il diritto obbliga il giudice a trattare come vere proposizioni pacificamente false [Del Mar, 2015, p. xx-xv], come “i pomodori non sono frutti”, “le balene sono pesci”, “i funghi sono piante”. Io trovo più plausibile che gli enunciati “i pomodori non sono frutti”, “le balene sono pesci”, “i funghi sono piante” non esprimano le medesime proposizioni nel linguaggio biologico e in quello giuridico, bensì proposizioni diverse in virtù del diverso significato associato alle parole “frutto”, “pesce” e “pianta”. Sul carattere interest-

relative del concetti tassonomici adottati in biologia e una discussione del caso delle balene v. Taylor [2019].

182 I concetti sottesi alla parola nei due contesti sono diversi perché diversa è la loro funzione inferenziale. Sui concetti

interpreta e applica il diritto, è suo compito quello di definire i criteri di categorizzazione sottesi a un determinato termine che per il diritto sono legittimi.

Il fatto che sul piano sociolinguistico possano essere rilevate esigenze lessicali da un certo punto di vista dà ragione all’intuizione esternista. C’è un senso in cui la struttura del mondo richiede al parlante di assegnare a certe parole certi significati. Tuttavia, queste esigenze non possono essere individuate se non in base agli specifici interessi e scopi di categorizzazione che la pratica linguistica in cui il termine è utilizzato si propone183.