CAPITOLO III: CONCETTI TECNICI E CONCETTI GIURIDICI
4. Obiezioni e contro-obiezioni
4.1. Un esternismo di paglia?
All’inizio di questo capitolo, ho detto che il compito che mi propongo è quello di mostrare che l’esternismo semantico non costituisce una minaccia per l’impianto teorico che abbiamo finora sviluppato. Nel dire questo sono stato ambiguo perché è chiaro che ci sono due ragioni molto diverse per cui una tesi può non costituire una minaccia per un’altra: o la tesi in questione è facilmente confutabile o la tesi in questione è compatibile con la tesi che si vuole sostenere. Ovviamente, non ho la pretesa di dimostrare conclusivamente che l’esternismo semantico, una delle più influenti teorie mai sostenute nella filosofia del linguaggio184, è falso. Non ho le competenze, né l’acume, né lo spazio
tipografico per una simile impresa, sempre che si tratti di un’impresa che può essere compiuta. D’altro canto, non ho dato fino ad ora alcun argomento per dimostrare che l’esternismo sia compatibile con
184 Un sondaggio condotto da David Bourget e David Chalmers suggerisce che attulamente siano più i filosofi esternisti
rispetto ai filosofi internisti. Alla domanda “Mental content: externalism or internalism?” il 51.1% degli intervistati ha optato per “externalism”, solo il 20.0% per “internalism” e il 28.9% per “other”. Alla domanda “Proper names: Fregean or Millian?”, il 34.5% ha optato per “Millian”, il 28.7% per “Fregean” e il 36.8% per “other” [Bourget e Chalmers, 2014, pp. 496-500].
la distinzione tra questioni di fatto e questioni di diritto che ho proposto. Al contrario, ho mostrato che c’è una almeno apparente incompatibilità tra il mio approccio e le tesi di Putnam e Kripke. Mi si potrebbe dunque obiettare che con l’esperimento della Terra gemella non ho né abbattuto il mio bersaglio polemico, l’esternismo, né mostrato la sua compatibilità con quanto sostengo. In realtà però ciò che intendo fare – e ormai credo di avere già fatto – è solo dimostrare che una certa interpretazione, forse caricaturale ed estremistica dell’esternismo, è incompatibile con quanto ho detto e va incontro a obiezioni fatali, mentre versioni più sofisticate dell’esternismo, che sappiano dar conto di queste obiezioni, non sono in contrasto con l’impostazione teorica della mia analisi e quindi con la divisione dei compiti che propongo tra giuristi ed esperti nell’ambito del processo. In altre parole, potrebbe sembrare che le obiezioni che ho finora proposto verso l’applicazione delle tesi di Putnam e Kripke incorrano in una sorta di fallacia dell’uomo di paglia, che siano dirette cioè a una interpretazione naïve dell’esternismo. Ma quello che voglio mostrare a questo punto è che versioni meno naïves sarebbero perfettamente compatibili con la mia tesi. C’è dunque un esternismo moderato, che non ho l’ambizione di confutare, compatibile con l’idea che i concetti giuridici abbiano una loro autonomia funzionale rispetto ai concetti tecnici di altre discipline e un esternismo estremo, incompatibile con quest’idea, che invece credo di aver confutato nei paragrafi precedenti, in particolare con l’esempio del processo nella Terra gemella.
Secondo l’esternismo, il riferimento di una parola, proferita o anche solo pensata, è individuato da relazioni oggettive tra cose nel mondo e non dai criteri che i parlanti adoperano nel proferirla o nel pensarla. Per esempio, un esternista direbbe che, anche se tutti associamo il termine “acqua” ad una certa descrizione (per esempio “sostanza, che, allo stato liquido si presenta incolore, insapore…”), tutti siamo disposti a rinunciare a questa descrizione nel momento in cui la scienza sia in grado di fornircene una migliore, sulla base di una conoscenza più profonda dei paradigmi di acqua che abbiamo in mente. Questo dimostra che ciò che individua il riferimento non sono le descrizioni che abbiamo in testa, ma le caratteristiche oggettive della categoria alla quale il paradigma risulta appartenere. Perciò, quando parliamo dell’acqua, o pensiamo all’acqua, ciò a cui in realtà intendiamo riferirci è qualsiasi cosa abbia la stessa natura di determinati paradigmi.
Una versione estrema dell’esternismo considera questo concetto di stessa natura unitario, assoluto ed oggettivo. Ad esempio, non sarebbe possibile parlare di un concetto chimico di acqua distinto da un concetto contrattuale di acqua, o di un concetto di frutto valido per la biologia e un concetto di frutto valido nell’ambito delle pratiche doganali del porto di New York. In base a questa versione
della tesi esternista, se dico “frutto”, l’individuazione del riferimento di “frutto”185 non solo è
indipendente dalle descrizioni imperfette che io posso fornire della categoria dei frutti, ma è indipendente anche dalla mia volontà di parlare di diritto doganale, di botanica o di cucina. Basta che abbia in mente qualche paradigma di frutto, perché il riferimento – senza l’intermediazione alcuna di criteri soggettivi – sia individuato. In base a questa tesi, la mera osservazione del paradigma dovrebbe permetterci di determinare i criteri corretti di individuazione della categoria alla quale il paradigma appartiene, senza che siano necessari metacriteri soggettivi e arbitrari che specifichino il particolare interesse classificatorio che il parlante presuppone per alludere a quel paradigma. La mia tesi è che almeno questa forma estrema di esternismo è falsa.
Con l’esperimento mentale del processo nella Terra gemella, credo di avere dimostrato che senza avere riguardo al particolare interesse col quale un concetto è utilizzato si rischia di fraintendere profondamente il modo in cui le parole sono effettivamente usate nel contesto giuridico. Esigenze legate al principio di certezza del diritto impongono, per esempio, di attenersi a un uso dei termini che non necessariamente coincide con quello scientifico. Se il giudice, scoperta la distinzione tra H2O
e XYZ, ignota ai contraenti al momento della stipulazione, attribuisse ad essa rilevanza giuridica, si comporterebbe in modo del tutto imprevedibile e infedele rispetto al reale contenuto negoziale. L’osservazione da parte dell’esperto di relazioni strutturali oggettive tra molecole non è sufficiente per determinare una loro classificazione giuridicamente rilevante.
Si potrebbero fare altri esempi. Come abbiamo visto, secondo Putnam, quando un parlante si riferisce a un genere naturale (per esempio l’acqua), intende riferirsi in maniera indicale alla natura profonda condivisa da alcuni paradigmi, presenti nell’ambiente in cui il parlante stesso si trova (il fiume vicino a casa, la pioggia che cade in autunno, eccetera…), senza che per questo egli debba avere in mente una definizione né del genere naturale né dei criteri che fissano ciò che conta come natura profonda. Il parlante si affida, per la fissazione del riferimento, alla “miglior teoria esplicativa” della struttura paradigma. Per cui, anche se non sa che l’acqua è H2O, “acqua” nel suo stesso idioletto significa H2O.
Se diamo una lettura estrema di questa tesi, dobbiamo concludere che “miglior teoria esplicativa” della struttura paradigma non è la teoria che soddisfa i criteri di adeguatezza fissati o presupposti dal parlante, ma l’unica teoria oggettivamente migliore, la teoria che consente di dare una spiegazione scientifica della categoria a cui il paradigma appartiene. Questa lettura produce delle conseguenze assurde se la adottiamo nel contesto giuridico.
In base a questa lettura estrema della tesi esternista, l’affermazione “Questa donna è una strega!” fatta da un perito interpellato in un processo per stregoneria nel medioevo dovrebbe poter essere interpretata come vera, nonostante le streghe (secondo la definizione presupposta dall’esperto in questione) non esistano. Il genere naturale “strega”, infatti, rinvierebbe in modo indicale alla migliore teoria esplicativa delle proprietà superficialmente esibite dai paradigmi di “streghe” presupposti dai parlanti medievali. L’affermazione dunque potrebbe significare, poniamo, “questa donna è schizofrenica” ed essere, nel caso di specie, vera. È chiaro invece che la ratio del reato di stregoneria è ancorata alla teoria esplicativa (scientificamente errata) presupposta dal legislatore medievale: il legislatore vuole punire donne che entrano in contatto con il demonio, non donne, che essendo colpite da una forma di malattia mentale, credono falsamente di essere entrate in contatto con il demonio. Non c’è motivo di ritenere che i termini di genere naturale nel momento in cui fanno ingresso in un testo di legge siano ancorati nel loro significato ad un genere naturale effettivamente esistente. Facciamo un altro esempio in proposito. L’articolo 13 della legge 40/2004 punisce il reato di clonazione umana. La norma non è mai stata applicata, perché nessun uomo è mai stato clonato. Se si scoprisse che la clonazione umana per ragioni biologiche non è possibile questo non avrebbe nessuna incidenza sulla nozione giuridica di clonazione umana. Questa è ancorata alle caratteristiche di un fenomeno biologico non reale, ma immaginabile, che, nel caso fosse possibile, avrebbe delle conseguenze etiche e sociali che il legislatore ha giudicato negativamente.