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Concetto di idem factum

IL PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM

2. Concetto di idem factum

L’applicabilità del principio del ne bis in idem al diritto della concorrenza è stata sottoposta più volte al vaglio del Tribunale di primo grado e della Corte di Giustizia. Nonostante in questo settore le problematiche sottese all’applicazione del principio in questione siano meno rilevanti rispetto a quelle che emergono con riferimento al diritto penale, trattandosi di procedure che tendono a colpire persone giuridiche155 e non singole persone fisiche, il ne bis in idem rileva anche nel diritto della concorrenza, in quanto principio di diritto comunitario.156

Procederemo nelle prossime pagine ad esaminare le questioni relative a tale rilevanza. Preliminarmente, peraltro, conviene svolgere qualche approfondimento su un aspetto di particolare rilievo del principio del ne bis in

idem, vale a dire sulla definizione della nozione di “idem factum”, che

costituisce la condizione per l'applicazione del principio. Come si è già accennato, infatti, al fine dell’applicazione del ne bis in idem occorre trovarsi in presenza dell’ “idem factum”. Cosa debba intendersi per tale identità è però questione particolarmente controversa e, in realtà, non ancora definitivamente

154

COM(2005) 696 definitivo del 23 dicembre 2005 ed il conseguente Commission Staff

working paper Annex to Green Paper on Conflicts of Jurisdiction and the Principle of ne bis in idem in Criminal Proceedings, COM(2005) 1767 del 23 dicembre 2005.

155

Cfr. Commission Staff working paper Annex to Green Paper on Conflicts of Jurisdiction

and the Principle of ne bis in idem in Criminal Proceedings, op. cit., p. 12.

156

J. A. E. VERVAELE, El principio ne bis in idem en Europa. El Tribunal de Justicia y los

derechos fundamentales en el Espacio Judicial Europeo, in Revista General de Derecho Europeo, 5 ottobre 2004, reperibile anche sul sito www.iustel.com.

risolta. A parere della dottrina, due sono le possibili soluzioni: l’identità in questione si riferisce ai fatti materiali storicamente considerati ovvero alla qualificazione giuridica degli stessi. La maggior parte degli autori concorda nel ritenere che per “stesso fatto” debba intendersi il fatto storico-naturale nella sua dimensione temporale e spaziale. Infatti, assumendo come parametro di riferimento l’identità di qualificazione giuridica del fatto, la portata del principio potrebbe risultare limitata, poiché la sussumibilità di una data condotta in una determinata fattispecie comporta valutazioni interpretative degli organi inquirenti e giudicanti che potrebbero condurre a qualificazioni giuridiche diverse e conseguentemente rendere non operativo il principio157. Per tali motivi, la dottrina158 ritiene che l’identità rilevante debba riguardare i fatti nella loro collocazione storica, con identità di tempo, luogo e persona, intesa sia come vittima che come autore159.

In seno all’ordinamento comunitario, la questione in esame è stata affrontata a più riprese, sia nell’ambito Schengen, sia in quello della concorrenza.

Nel primo settore160, la Corte si è espressa nella sentenza Van

157

S. FARINELLI, Sull’applicazione del principio del ne bis in idem tra gli Stati membri

della Comunità europea, in Riv. dir. int., 1991, p. 900, segnala come non sia possibile

prescindere completamente dalla qualificazione giuridica in quanto la sussunzione del fatto in una determinata fattispecie implica necessariamente un scelta tra i fatti che potenzialmente potrebbero assumere rilievo.

158

N. GALANTINI, op. cit., p. 31.

159

La necessità dell’identità della vittima o dell’oggetto materiale (P. GIANNITI, Rilievi sul

“fatto” nel processo penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1999, 2, 408 e ss) nasce per ovviare

agli inconvenienti che potrebbero derivare dall’accoglimento della teoria che individua nello stesso “fatto” unicamente la condotta dell’agente, con assoluta esclusione di connotazioni appartenenti alla fattispecie normativa (per ampi riferimenti sul punto cfr. G. BELLAVISTA – G. TRANCHINA, Lezioni di diritto processuale penale, Milano, 1987, p. 707; A. PAGLIARO, voce Fatto, in Enc. dir., Milano, 1967, vol. XVI, p. 964). Le difficoltà sorgono nel caso del cd. concorso formale di reati, in cui un soggetto con una medesima condotta viola più norme giuridiche. L’accoglimento della teoria sopra citata, senza alcun correttivo, potrebbe condurre a situazioni di impunità paradossali. L’esempio tipico (cfr. A. BASSI, I

limiti oggettivi dell’effetto preclusivo derivante al giudicato penale, in Cass. pen., 1997, 5, p.

1398) riguarda la possibilità che un soggetto con la medesima azione cagioni la morte di due persone. Se il soggetto venisse in ipotesi assolto (o condannato) per il primo omicidio, evidenti esigenze di giustizia richiederebbero che egli non possa, in applicazione del ne bis in

idem, non essere processato per il secondo degli omicidi per essere stato assolto (o

condannato) per il primo. Del concorso formale di reati si è occupata anche la Corte Europea dei diritti dell’uomo nel caso Oliveira c. Switzerland, 30 luglio 1998, Reports of Judgements

and Decision, 1998.

160

Cfr. in precedenza le conclusioni generali dell’Avvocato Generale Ruiz-Jarabo Colomer presentate nel caso Gözütok e Brügge, causa C-187/01, in Racc., 2003, p. I-1345, in cui si era affermato che l’identità rilevante doveva essere individuata nell’identità dei soggetti agenti,

Esbroeck161

. Seguendo le conclusioni dell’Avvocato Generale Ruiz- Jarabo

Colomer, la Corte ha impostato la questione dell’idem factum in maniera

ulteriormente articolata rispetto all’approccio della dottrina, individuando tre, e non due, possibili interpretazioni di tale concetto. Oltre all’identità dei fatti materiali e all’identità di qualificazione giuridica, i giudici comunitari hanno altresì evocato la possibile identità dell’interesse giuridico tutelato162.

Di queste tre possibili interpretazioni, i giudici hanno fatto propria quella che vede nell’idem factum la mera identità dei fatti materiali. Essi hanno posto anzitutto l’accento sul tenore letterale della Convenzione stessa, in cui viene espressamente utilizzato il termine “fatto”, diversamente da taluni altri strumenti pattizi in cui invece viene utilizzato il termine “reato” 163. In secondo luogo, la Corte ha osservato che tale soluzione è corroborata da un’interpretazione teleologica della Convenzione stessa che mira ad evitare che una persona, per il fatto di aver esercitato il suo diritto alla libera circolazione, sia sottoposta a procedimento penale per i medesimi fatti sul

nel fatto e nel bene giuridico tutelato. Secondo l’opinione espressa dall’Avvocato Generale (punto 55) l’identità di detti tre elementi è fondamentale poiché “non è determinante il fatto

che l’azione repressiva venga esercitata all’interno di uno stesso ordinamento oppure che emani da ordinamenti diversi: ciò che si deve invece accertare al fine di stabilire se uno stesso possa essere punito più di una volta, a prescindere da chi eserciti il potere sanzionatorio, è se le diverse sanzioni servano a tutelare i medesimi beni giuridici, o invece i valori che si tutelano siano diversi”. A proposito della ratio sottesa al principio in esame, nelle

conclusioni l’Avvocato Generale ha affermato che il ne bis in idem è volto ad impedire un “un

inammissibile esercizio reiterato dello ius puniendi” (punto 48 delle conclusioni). In dottrina è

stato posto in rilievo come il principio in questione si ponga su di un piano di strumentalità rispetto alla finalità della certezza del diritto in quanto esso “osta a che le decisioni adottate

dai pubblici poteri una volta divenute definitive ed inappellabili, siano rimesse in discussione sine die” (cfr. A. CALIGIURI, L’applicazione del principio ne bis in idem in diritto comunitario: a margine della sentenza Gözütok e Brügge, in Riv. dir. inter. priv. e proc.,

2003, p. 876).

161

Sentenza della Corte del 9 marzo 2006, Leopold Henri Van Esbroeck, causa C-436/04, non ancora pubblicata in Raccolta e conclusioni dell’Avvocato Generale Ruiz–Jarabo Colomer presentate il 20 ottobre 2005, non ancora pubblicate in Raccolte; confermata anche dalla successiva pronuncia della Corte del 28 settembre 2006, van Straaten, causa C-150/05, non ancora pubblicata in Raccolta e Conclusioni dell’Avvocato Generale Ruiz – Jarabo Colomer presentate l’8 giugno 2006, non ancora pubblicate in Raccolta.

162

Sentenza della Corte Leopold Henri Van Esbroeck, cit., punti 31-36.

163

Si veda per esempio la stessa Convenzione di Schengen in cui nella versione inglese si utilizza il termine “offense”, mentre in quella francese “faits”. Peraltro, il termine inglese “offense” non corrisponde esattamente al concetto di reato presente nei Paesi di civil law. Cfr. sul punto F. DE FRANCHIS, Dizionario giuridico, inglese-italiano, Milano, 1984, p. 1071, definisce il termine offense come “reato, infrazione in genere. L’espressione non ha un

preciso significato tecnico; essa indica, in genere, un atto od una omissione punita dalla legge penale”.

territorio di più stati contraenti164. Secondo la Corte, tale diritto risulta efficacemente tutelato soltanto qualora l’autore di un atto sia consapevole che una volta condannato e scontata la pena (o se del caso, una volta definitivamente assolto in uno Stato membro) possa circolare all’interno dello spazio Schengen senza dover temere di essere perseguito in un altro Stato membro nel cui ordinamento tale atto integri una distinta infrazione165. La Corte ha quindi rilevato che, data l’assenza di armonizzazioni penali nazionali, “un criterio fondato sulla qualificazione giuridica degli atti o sull’interesse

giuridico tutelato sarebbe tale da creare altrettanti ostacoli alla libertà di circolazione nello spazio Schengen quanti sono i sistemi penali esistenti negli Stati contraenti”: di conseguenza l’unico criterio pertinente ai fini

dell’applicazione dell’art. 54, indipendentemente dalla qualificazione giuridica dei fatti e dall’interesse protetto dalla fattispecie penale, è “quello dell’identità

dei fatti materiali, intesi come insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra loro”166

.

Diverso approccio appare seguito nel settore della concorrenza, ove la Corte ha affermato che l’applicazione del principio del ne bis in idem è soggetta ad una triplice condizione: identità dei fatti, identità dell’autore dell’infrazione e identità del bene giuridico tutelato167. Il principio in esame vieta quindi “di sanzionare lo stesso soggetto più di una volta per un

medesimo comportamento illecito, al fine di tutelare lo stesso bene giuridico”168

. In tale settore, i giudici comunitari fanno leva sulla mancanza di identità del ‘bene giuridico tutelato’ dalle diverse norme antitrust per negare la

164

Sentenza della Corte Leopold Henri Van Esbroeck, cit., punto 33.

165

Ibidem, punto 34. Secondo l’Avvocato Generale (cfr. conclusioni cit. punti 46-47) il giudice deve valutare unicamente il fenomeno storico, senza attribuire alcuna rilevanza al bene giuridico protetto o alla violazione di norme giuridiche, proprio perché si è in presenza di un sistema che realizza un elevato livello di integrazione tra i Paesi membri: lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia deve necessariamente comportare che i singoli possano circolare liberamente senza che su di essi ‘penda la spada di Damocle’ di nuovi procedimenti o sanzioni in virtù di differenti interpretazioni del concetto di idem.

166

Sent. Leopold Henri Van Esbroeck, cit., punto 36. Secondo l’opinione espressa dall’Avvocato Generale Ruiz-Jarabo Colomer nelle conclusioni cit., punto 46, il criterio del bene giuridico deve essere respinto in quanto esso “risulta talmente vincolato alle legittime

opzioni delle politiche criminali nazionali da permettere che sia punito più di una volta un medesimo comportamento”.

167

Sentenza della Corte del 1° gennaio 2004, Aalborg Portland A/S e a. c. Commissione, cause riunite C-204/00P, C-205/00P, C-211/00P, C-213/00P, C-217/00P, C-219/00P, in Racc., 2004, p. I-123; cfr. anche Conclusioni dell’Avvocato Generale Ruiz-Jarabo Colomer, presentate l’11 febbraio 2003 nella causa C-213/00 Italcementi c. Commissione.

168

sussistenza degli elementi necessari all’applicazione al principio del ne bis in

idem. Infatti, la differenziazione degli scopi perseguiti, soprattutto con

riferimento alle normative antitrust comunitarie e di Paesi terzi consente di risolvere una questione, presente anche nel settore penale, e nota come concorso eterogeneo di reati, ossia la situazione in cui un soggetto con la medesima condotta viola più norme.

Come già rilevato, l’identità del fatto che dà luogo al divieto di un doppio giudizio viene in genere interpretata nella sua collocazione storica, con identità di tempo, luogo e persona, intesa sia come vittima che come autore dell’illecito169. La trasposizione in ambito antitrust di tale interpretazione non può avvenire automaticamente, in quanto considerare necessaria anche l’identità della vittima comporterebbe inevitabilmente la non applicabilità del principio in esame in alcun caso. Se, infatti, con il termine “vittima” si intende l’ordinamento statale leso dal comportamento anticoncorrenziale, dovrebbe ritenersi che, nel caso di illeciti con effetti ultraterritoriali tale identità, non sia mai sussistente, in quanto vengono violati i diritti di diverse entità statali. Le violazioni della normativa antitrust di più ordinamenti potrebbero essere pertanto concettualmente assimilati alle violazioni di più norme attraverso la medesima condotta.

La rilevanza data dai giudici comunitari al bene giuridico, inteso quale “bene socialmente rilevante considerato in ragione della sua importanza,

meritevole di protezione giudico-penale”170

, consentirebbe di ovviare agli inconvenienti sopra descritti. Nell’ambito del diritto antitrust, difficilmente può parlarsi di “vittima” o “oggetto materiale”171, in quanto le normative poste a tutela della concorrenza proteggono beni giuridici di difficile definizione, ovvero, mutuando la terminologia penalistica, “inafferrabili”, quali l’economia, l’efficienza allocativa, i consumatori. Porre l’accento sulla diversità del bene giuridico tutelato172 costituisce quindi una giustificazione per rendere non applicabile il ne bis in idem e sanzionare comportamenti che sono identici o comunque parzialmente coincidenti, ma che violano norme di Stati diversi.

169

N. GALANTINI, op. cit., p. 31.

170

G. FIANDACA-E. MUSCO, Diritto Penale, Parte Generale I, Bologna, 2002, p. 4.

171

A. GIOVENE, Giudicato, in Digesto penale, 1989, p. 431.

172

La diversità del bene giuridico al fine di rendere inoperante il ne bis in idem viene altresì evidenziata anche da A.B. BENENATI, Come intendere il concetto di medesimo fatto ai fini

Al contrario di quanto avviene nell’ambito Schengen, in cui esiste un sistema altamente integrato e caratterizzato da reciproca fiducia, nel settore della concorrenza non sussistono, a livello internazionale, strumenti di raccordo normativo dello stesso genere. In considerazione poi dell’accertata inesistenza di un principio del ne bis in idem a livello internazionale, le varie autorità della concorrenza hanno buon gioco a sanzionare più volte le medesime condotte. Ciò che non convince pienamente, come si vedrà oltre, è il ragionamento svolto dai giudici comunitari. Al fine di escludere l’identità di bene giuridico tutelato essi fanno leva sugli effetti di un dato comportamento anticoncorrenziale nei diversi territori, piuttosto che su di una effettiva diversità di scopi della varie normative antitrust. In effetti, la ratio sottesa alle legislazioni a tutela della concorrenza può essere considerata, a grandi linee, la medesima: la tutela della concorrenza. L’elemento che varia è l’estensione territoriale di detta tutela. In definitiva, la diversità degli obiettivi perseguiti dalle varie normative antitrust viene spiegata in termini di territorialità, che invece, come è noto, funge in via di principio da criterio di competenza/giurisdizione.

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