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Nozione di intenzionalità e negligenza e conseguenze di una valutazione errata

PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA E SANZIONI ANTITRUST COMUNITARIE

3. Nozione di intenzionalità e negligenza e conseguenze di una valutazione errata

I requisiti di negligenza ed intenzionalità menzionati nell’art. 23 del regolamento n. 1/2003 sono stati interpretati con riferimento alle classiche categorie del dolo e della colpa. Nelle sue conclusioni nel caso General

Motors Continental NV c. Commissione522

l’Avvocato Generale Mayras ha posto in evidenza come “pur se le ammende contemplate dal regolamento n.

17 non hanno a rigor di termini l’indole di sanzioni penali, non ci pare possibile interpretare l’espressione ‘intenzionalmente’ facendo astrazione delle nozioni comunemente accolte dalle legislazioni vigenti in materia negli Stati membri. L’uso di detta espressione implica necessariamente che l’autore dell’infrazione deve aver agito di proposito, conscio di commettere un atto illegittimo vietato dal trattato, che lo esponeva alle conseguenze previste in tali casi dalla legge.

Al dolo si contrappone la semplice colpa, come ai reati intenzionali si contrappongono i reati commessi per imprudenza.

522

Sentenza del 13 novembre 1975, causa 26/75, in Racc. 1975, p. 1367, in particolare, pp. 1388 e ss. Nello stesso senso, si vedano anche le conclusioni rese dallo stesso Avvocato Generale Mayras, nella causa Musique Diffusion Francaise, cit..

Si può perciò fare appello alla prima nozione solo allorché le conseguenze dannose del comportamento sono volute o perlomeno accettate come necessarie dall’impresa responsabile.

Per contro vi è negligenza allorché chi ha commesso l’infrazione ha agito senza intenzione di compiere un atto illegittimo senza prevedere le conseguenze del proprio comportamento, mentre invece, comportandosi da buon pater familias, avrebbe potuto prevederle”.

Come è noto, il dolo viene comunemente inteso come rappresentazione e volontà dell’evento come conseguenza della propria condotta523, mentre con il concetto di colpa si identificano quegli atteggiamenti psicologici in base ai quali l’evento non è voluto, ma, non di meno, si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia. Sul piano della colpevolezza, si ritiene524 che il soggetto che agisce a titolo di dolo sia più rimproverabile del soggetto che agisce per colpa, in quanto il primo pone in discussione la validità precettiva della norma giuridica.

I due concetti appaiono sul piano teorico ben delineati. A rigore, dunque, parrebbe che la Commissione sia richiesta di fornire la prova del dolo o della colpa, ai fini, quanto meno, della possibilità di sanzionare un’impresa e che l’elemento soggettivo debba essere riferito alla violazione delle norme del trattato. L’errata individuazione dell’elemento psicologico potrebbe poi condurre all’annullamento della decisione che avesse inteso sanzionare un comportamento a titolo di dolo, quando invece detto comportamento avrebbe dovuto essere imputato a titolo di colpa525. La questione è stata espressamente affrontata dai giudici comunitari, nella pronuncia sopra citata General Motors

Continental NV. Trasponendo le sopra esposte considerazioni al caso

sottoposto al suo esame, l’Avvocato generale ha concluso nel senso dell’impossibilità di ravvisare nel comportamento526 di cui si discuteva “l’intenzione di commettere deliberatamente un’infrazione dell’art. 86”.

523

T. PADOVANI, op. cit., p. 255.

524

Ibidem.

525

La questione, in realtà, non appare di particolare rilevanza pratica, in quanto l’illecito de

quo è previsto anche nella forma colposa. Ciò non toglie che comunque l’elemento soggettivo

debba essere suffragato da prove adeguate e che la colposità dell’atto non venga data per accertata in mancanza di prove circa l’intenzionalità dello stesso.

526

In particolare si trattava di stabilire se la società General Motors Continental NV avesse abusivamente sfruttato la propria posizione dominante, in virtù di una delega da parte dello stato belga, nel richiedere tariffe troppo elevate per le pratiche relative all’omologazione di alcune automobili.

L’Avvocato Generale ha posto in evidenza come la società ricorrente accortasi, dello sbaglio nelle fatturazioni per l’omologazione delle automobili, anche a seguito dei alcuni reclami degli acquirenti, avesse immediatamente adottato una nuova tariffa, consona al servizio effettivamente reso e rimborsato le somme riscosse in eccesso. Secondo l’opinione espressa dall’Avvocato Generale, il logico corollario di queste affermazioni doveva condurre ad annullare la decisione della Commissione, che era interamente basata sul presupposto dell’intenzionalità del comportamento. L’accertamento dei fatti portava invece a negare che l’infrazione del diritto della concorrenza potesse dirsi intenzionale, nonostante potessero configurarsi gli estremi della colpa. Secondo l’opinione della Commissione tali argomentazioni non avrebbero potuto inficiare la validità della propria decisione, in quanto ai fini della comminazione della sanzione erano previsti alternativamente i requisiti del dolo o della colpa. Ad avviso dell’Avvocato Generale, invece, i poteri dei giudici comunitari, nonostante l’effetto devolutivo completo dell’impugnazione della decisione, non avrebbero potuto condurre alla modifica ad libitum la gravità dell’infrazione. Con riferimento ai poteri dei giudici, si è affermato che “nel settore del contenzioso in materia di ammende

per le infrazioni della disciplina della concorrenza, voi disponete di una competenza assoluta che vi consente di valutare se, in funzione della gravità e della durata dell’infrazione giuridicamente indiscutibile, l’importo dell’ammenda inflitta dalla Commissione sia o no giustificato. Potrete cioè tener conto delle circostanze attenuanti e ridurre l’entità della sanzione pecuniaria. Al contrario non potrebbe escludersi che, valutando i fatti con maggiore severità della Commissione, possiate procedere ad una reformatio in peius”. Secondo l’impostazione rigorosa seguita dall’Avvocato Generale,

tuttavia, prima di procedere a simili valutazioni, la Corte avrebbe dovuto valutare preliminarmente la legittimità della decisione adottata dalla Commissione. In particolare, quando detta istituzione comunitaria ha collegato in maniera espressa l’ammenda all’intenzionalità di un’infrazione, i giudici avrebbero dovrebbero pronunciarsi, in via preliminare sulla natura giuridica del comportamento e poi soppesare l’entità dell’ammenda in relazione alla gravità dello stesso. Nell’ipotesi in cui i giudici avessero dovuto ritenere l’infrazione non dolosa, essi sarebbero stati gravati dall’onere di rilevare l’erronea motivazione del provvedimento impugnato e conseguentemente

annullarlo nella misura in cui era stata inflitta un’ammenda. Secondo l’Avvocato Generale, i giudici non sarebbero dovuti andare oltre a tale statuizione, e non sarebbero stati legittimati a sostituirsi alla Commissione nella valutazione dei fatti, dichiarando cioè la colposità dell’atto527.

La Corte pare aver dato seguito alle indicazioni formulate dall’Avvocato Generale in quanto, seppure con una motivazione laconica, ha sottolineato la mancanza evidente dell’intenzionalità ed ha, conseguentemente, annullato la decisione della Commissione528.

Le considerazioni dell’Avvocato Generale e la conseguente pronuncia della Corte, seppure metodologicamente correte e volte a costringere la Commissione a ponderare e motivare adeguatamente le proprie decisioni, costituiscono un unicum nel panorama della giurisprudenza comunitaria. A distanza di pochi anni, infatti, con la pronuncia resa nella causa Miller529, la Corte ha effettuato alcune importanti affermazioni di principio che sono in seguito divenute ius receptum. A fronte delle affermazioni della ricorrente relative al fatto che ignorava di aver violato il diritto comunitario della concorrenza, anche con riferimento al parere reso da un legale, la Corte, rilevando come si trattasse di gravi violazioni delle disposizioni antitrust, in particolare divieti di esportazione, ha statuito che “le clausole di cui trattasi (…) sono state adottate o accettate dalla ricorrente, che non poteva ignorare

che esse avevano ad oggetto la restrizione della concorrenza tra i suoi clienti; è quindi irrilevante che la ricorrente fosse o meno conscia di trasgredire il divieto di cui all’art. 85”.530

Dette argomentazioni sono state altresì riprese dall’Avvocato Generale

527

Come ipotesi subordinata, l’Avvocato Generale aveva comunque proposto di ridurre l’ammenda in quanto “in questo caso l’infrazione sarebbe molto meno grave di quanto ha

giudicato la Commissione. Le circostanze da me ricordate (N.d.r. il rimborso dell’importo

richiesto) da cui non si può desumere alcun dolo, costituiscono quanto meno un valido motivo

per ridurre notevolmente l’importo dell’ammenda, che dovrebbe assumere carattere di affermazione di principio”.

528

Punti 22-24 della sentenza.

529

Sentenza del 1° febbraio 1979, Miller International Schallplatten GmbH c. Commissione, causa 19/77, in Racc., 1978, p. 131.

530

Punto 18. Nella massima è contenuta l’affermazione in basa alla quale “La trasgressione

delle norme comunitarie sulla concorrenza va considerata commessa intenzionalmente e in ispregio alle disposizione del trattato se l’interessato è conscio che l’atto di cui trattasi ha ad oggetto la restrizione della concorrenza. E’ irrilevante che egli sia inoltre conscio di trasgredire una disposizione del trattato. In proposito, il parere di un legale consultato dall’interessato non può scagionare quest’ultimo”

Warner nella causa BMW Belgium531

, che ha dichiarato superate le considerazioni rese nella pronuncia General Motors, sulla base della considerazione che chi stipula o accetta una clausola avente ad oggetto palesemente una restrizione della concorrenza, intenzionalmente commette un atto vietato dal Trattato, a prescindere dalla consapevolezza o meno di trasgredire il divieto di cui all’art. 81 CE532. Secondo l’Avvocato Generale, inoltre, i poteri attributi alla Corte dall’art. 17 del regolamento n. 17/62533 avrebbero un contenuto più ampio, che consentirebbe alla Corte di adottare in ogni caso qualsiasi provvedimento che essa ritenga conforme ad esigenze di giustizia. Pertanto, nel caso in cui la Commissione reputi un’infrazione intenzionale, ma a seguito di ulteriori accertamenti emerga come in realtà essa sia avvenuta per mera negligenza, i giudici comunitari avrebbero il potere di ritenere comunque legittima la decisione della Commissione, eventualmente modificando l’importo dell’ammenda.

A parere delle istituzioni comunitarie, dunque, “poiché un’infrazione

alle norme del trattato sulla concorrenza si possa considerare intenzionale non è necessario che l’impresa sia stata conscia di trasgredire un divieto posto da tali norme; è sufficiente che essa non potesse ignorare che il comportamento censurato aveva come scopo la restrizione della concorrenza”534

.

531

Sentenza del 12 luglio 1979, BMW Belgium ed altri c. Commissione, cause riunite 32, 36- 82/78, in Racc., 1979, p. 2435.

532

In Racc., 1979, p. 2494 e ss.

533

“La Corte di Giustizia ha competenza giurisdizionale anche di merito ai sensi dell’art. 172 del Trattato per decidere sui ricorsi presentati avverso le decisioni con le quali la Commissione commina un’ammenda o una penalità di mora; essa può sopprimere, ridurre o maggiorare l’ammenda o la penalità di mora inflitta”. Il nuovo regolamento 1/2003 contiene una identica disposizione.

534

Sentenza della Corte dell’8 febbraio 1990, Tipp-ex GmbH & Co Kg c. Commissione, causa 279/87, in Racc., 1990, p. I-2161, sentenza della Corte dell’11 luglio 1989, causa 246/86

Belasco c. Commissione, cit.,; sentenza del Tribunale del 2 luglio 1992, Dansk Pelsdyravlerforening c. Commissione, T- 61/89, in Racc., 1992, p. II-19131; sentenza del

Tribunale del 14 luglio 1994, Herlitz AG c. Commissione, T-66/92, in Racc., p. II-531, punto 45 “affinché un’infrazione alle norme sulla concorrenza del Trattato possa essere ritenuta

intenzionale, non è necessario che l’impresa abbia avuto coscienza di violare di un divieto sancito da queste norme, ma è sufficiente che sia stata consapevole del fatto che il comportamento incriminato aveva per oggetto di restringere la concorrenza”. Interessanti

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