PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA E SANZIONI ANTITRUST COMUNITARIE
10. Segue: decisioni di associazioni di imprese
Con la locuzione decisione di associazione di imprese si intende qualsiasi forma di deliberazione, a prescindere dalla sua vincolatività, assunta da organismi o enti associativi, anche di natura pubblicistica, rappresentativi di una categoria di imprese, con lo scopo di influenzare le condotte commerciali delle imprese, provocando così un’alterazione del gioco della concorrenza628. L’elemento caratterizzante di tale fattispecie viene ravvisato nell’esistenza di una struttura comune che, a prescindere dal perseguimento o meno di uno scopo di lucro, svolga la funzione di esprimere la volontà collettiva delle
anticipatamente accettata a partire dal momento e mediante la sottoscrizione di un contratto di concessione legittimo, qualora si tratti di un’evoluzione legittima o che è prevista nel contratto stesso o conforme agli usi, dall’altro, altrettanto non può dirsi per le evoluzioni illegittime. Per ampi riferimenti cfr. P. MANZINI, Antitrust applicato, op. cit., p. 114.
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P.S JAKOBSEN – M. BROBERG, The Concept of Agreement in Article 81 E.C.: on the
Manufacturer’s Right to Prevent Parallel Trade within the European Community, in ECLR,
2003, p. 127.
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P. FATTORI – M. TODINO, La disciplina della concorrenza in Italia, Bologna, 2004, p. 66. Un organismo non è qualificabile come associazione di imprese quando è composto da una maggioranza di rappresentanti di pubblici poteri e le sue decisioni sono adottate tenendo in considerazione un certo numero di criteri di interesse pubblico ai sensi della legge nazionale. Cfr. sentenza della Corte del 18 giungo 1998, Commissione c. Italia (“Consiglio Nazionale
Spedizionieri Doganali”) causa C-35/96, in Racc., 1998, p. I-3851, punto 34; sentenza della
Corte del 12 settembre 2000, Pavlov e.a., cause riunite e da C-180/98 a 184/98, in Racc., 2000, p. I-6451.
imprese che vi aderiscono, consentendo quindi di influenzare le singole condotte. Detta forma di intesa vietata assume rilevanza specialmente nei casi in cui si sia in presenza di un numero elevato di imprese coinvolte e, pertanto, l’intesa può essere più efficacemente raggiunta per il tramite di un organismo comune. L’associazione di imprese può altresì rappresentare una sorta di scudo che consente alle imprese quantomeno di attenuare la propria responsabilità. Soprattutto le associazioni di categoria ben si prestano a dissimulare rapporti tra imprese con finalità anticoncorrenziale. L’espressa previsione normativa di tale fattispecie mira, infatti, ad evitare che le imprese possano sfuggire alle regole poste a tutela della concorrenza in base alla forma attraverso cui coordinano il loro comportamento sul mercato629, quali le forme istituzionalizzate di cooperazione, ovvero le situazioni in cui gli operatori economici agiscono per il tramite di una struttura collettiva o un organo comune. Essa, inoltre, consente di facilitare l’onere probatorio in capo alle autorità antitrust630 che possono imputare direttamente all’associazione la responsabilità dei comportamenti dei propri membri. Risulta più agevole accertare la restrittività di un atto concorrenziale adottato da un organismo comune, che dimostrare la concertazione messa in atto da più imprese a danno della concorrenza. Si consente, dunque, alla Commissione di intervenire in uno stadio preliminare della fattispecie, senza attendere il manifestarsi in concreto di un certo parallelismo di azione delle imprese, che caratterizza le pratiche concordate.
Anche lo stesso accordo associativo, di per sé, può essere valutato come lesivo della concorrenza nella misura in cui abbia ad oggetto restrizioni della concorrenza, come ad esempio la previsione di uno stretto collegamento tra imprese associate o il coordinamento delle loro politiche di prezzi631. La previsione dell’illiceità delle decisioni tende invece a colpire il momento operativo, se collusivo, dell’associazione. Si consente di vagliare l’eventuale illegittimità delle decisioni attraverso cui si attua il coordinamento tra le imprese, anche se questo non è previsto dall’atto costitutivo della stessa associazione. La decisione di associazione di imprese potrebbe apparire prima
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Cfr. sul punto conclusioni dell’Avvocato Generale Lèger presentate il 10 luglio 2001, nella causa C-309/99, J. C. J. Wouter e a. c. Algemene Raad van de Neederlandse Orde van
Advocaten, in Racc., 2002,p. I-1577, punto 62.
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P. FATTORI – M. TODINO, op. cit., p. 67.
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facie un comportamento unilaterale e conseguentemente esulare dall’ambito di
applicazione dell’art. 81 CE; a tal proposito, è stato rilevato632, come in realtà tale decisione rappresenti l’espressione della volontà delle imprese associate e pertanto rientri nelle ipotesi delle intese vietate. Non assume rilevanza nemmeno il fatto che l’associazione non persegua fine di lucro o non ponga in essere alcuna attività commerciale, in quanto ciò che rileva è che l’attività posta in essere dall’associazione o dalle imprese associate produca effetti vietati da tale norma633.
L’associazione stessa può poi essere qualificata come impresa nel caso in cui svolga un’attività economicamente rilevante634, mentre, come già evidenziato, l’esercizio di un’attività economica non è una condizione richiesta per qualificare un organismo un’associazione di imprese635. Pertanto, nell’ipotesi in cui l’associazione sia qualificata impresa ai sensi del diritto comunitario della concorrenza e ponga in essere un comportamento illecito, esso riceverà una diversa qualificazione giuridica rispetto a quella delle decisioni di associazioni di imprese.
L’infrazione del diritto della concorrenza può essere quindi imputata sia alle imprese partecipanti all’associazione, sia a quest’ultima, sia ad entrambi. La prassi in materia risulta essere particolarmente ambigua. Con riferimento all’imputazione direttamente in capo all’associazione, i giudici comunitari hanno sottolineato come occorra la prova dell’esistenza di un comportamento distinto dell’associazione rispetto a quello dei suoi membri636. Per converso, si è ritenuto che l’infrazione possa essere imputata anche alle singole imprese associate nel caso in cui esse abbiano assunto il ruolo di
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Ibidem.
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Cfr. sul punto sentenza della Corte del 29 ottobre 1980 Heintz van Landewyck sarl e a. c. Commissione, cause riunite da 209/78 a 215/78 e 218/78, in Racc., 1980, p. 3125, punto 86; sentenza della Corte dell’8 novembre 1983, NV Iaz International Belgium e a. c. Commissione, cause riunite 96/82-102/82, 104/82, 105/82, 108/82, 110/82, in Racc., 1983, p. 3369, punto 20; sentenza del Tribunale del 15 marzo 2000, Cimeteries CBR e a. c.c Commissione, cause riunite T-25/95 e ss., in Racc., 2000, p. II-491.
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Sulla nozione di impresa ai fini dell’applicazione del diritto della concorrenza, cfr. supra par. 2.
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Conclusioni Wouters, cit., punto 138; nel caso in esame, in particolare, i ricorrenti si erano domandati se l’associazione nazionale forense potesse essere qualificata impresa e conseguentemente essere soggetta all’applicazione dell’art. 82. Secondo l’Avvocato Generale e la Corte, tale organismo, nella misura in cui esercita il suo potere regolamentare al fine di organizzare la professione forense nei Paesi Bassi non offre alcun servizio dietro corrispettivo sul mercato.
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rappresentanti dell’associazione stessa o abbiano applicato l’accordo637, o ancora quando esse abbiano ammesso di far propria la deliberazione dell’associazione che così viene a costituire “l’espressione fedele”638 della volontà delle imprese. La possibilità di imputare direttamente all’associazione il comportamento anticoncorrenziale pone una serie di delicate questioni. Quella che rileva ai presenti fini attiene al fatturato di riferimento per la commisurazione della sanzione e conseguentemente il rispetto del tetto massimo del 10% del fatturato previsto dall’art. 23 del regolamento n. 1/2003 e prima dall’art. 15 del regolamento n. 17/62. Ci si è domandati quale sia il volume d’affari da prendere in considerazione nel caso in cui l’associazione non svolga un’attività commerciale e, pertanto, non disponga di risorse proprie. Sul punto hanno avuto occasione di pronunciarsi i giudici comunitari, secondo i quali occorre rapportarsi al volume d’affari realizzato dalle imprese partecipanti all’accordo, soprattutto nelle ipotesi in cui l’associazione possa impegnare i propri membri in virtù delle proprie norme interne639. Il punto è stato oggetto di contestazione, in quanto non conforme con il principio di personalità della pena640, poiché la fissazione dell’ammenda avverrebbe in funzione di profitti conseguiti da terzi – le imprese associate – che potrebbero non essere coinvolte nella procedura amministrativa. Secondo i giudici comunitari, invece, il tetto massimo del 10% del volume d’affari dovrebbe essere calcolato in rapporto al volume d’affari realizzato da tutte le imprese aderenti all’associazione di imprese, se in forza delle sue regole interne, essa può impegnare i suoi membri641. Tale impostazione riceverebbe ulteriore avallo dal fatto che nella fissazione dell’importo dell’ammenda le istituzioni comunitarie possono tenere conto anche dell’influenza che l’impresa ha potuto esercitare sul mercato. Come è noto, detta influenza può risultare dalle dimensioni e dalla potenza economica di un’impresa e tali fattori possono essere desunti dal suo volume d’affari642. L’influenza che un’associazione di
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Decisione della Commissione del 30 novembre 1994, caso Cemento, in GU L 309 del 2/12/1994.
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Sentenza della Corte del 29 ottobre 1980, FEDETAB, cause riunite da 209 a 215 e 218/78, in Racc., 1980, p. 3125.
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Sentenza del Tribunale del 23 febbraio 1994, Groupment des Cartes Bancaries “ch” e
Europay International SA c. Commissione, cause riunite T-39/92 e T-40/92, in Racc., 1994, p.
II-49, punto 136.
640
Sentenza Groupment des Cartes Bancaries cit., punto 128.
641
Ibidem, punto 137.
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imprese può esercitare sul mercato non può dipendere unicamente dal suo volume d’affari, che in ipotesi potrebbe anche essere inconsistente. Esso non sarebbe idoneo a fornire alcuna delucidazione né delle dimensioni, né dalla potenza economica dell’associazione. L’influenza sul mercato dovrebbe invece essere desunta dal volume d’affari dei suoi membri, che potrebbe costituirebbe un indicatore della dimensione e della potenza economica dell’associazione stessa. Diversamente, alle imprese basterebbe costituire associazioni prive di qualsivoglia fatturato, facendo poi adottare le decisioni da quest’ultima, per risultare praticamente immuni da sanzioni.
Con riferimento alla censura relativa alla violazione del principio di personalità delle pene, i giudici comunitari hanno rilevato come “il fatto di
prendere in considerazione il loro volume d’affari nella determinazione del detto massimo dell’ammenda non significa infatti assolutamente che sia stata loro inflitta un’ammenda e nemmeno, di per sé, che l’associazione di cui trattasi abbia l’obbligo di accollare ai suoi membri l’onere di quest’ultima. Anche ammettendo che un obbligo del genere derivi dalle regole interne dell’associazione di cui trattasi, tale circostanza è irrilevante rispetto alle norme del diritto comunitario della concorrenza”643
.
Da tale giurisprudenza emerge la legittimità della prassi delle istituzioni comunitarie di commisurazione dell’ammenda in base al volume d’affari delle imprese partecipanti all’associazione, senza che ciò appaia in aperto contrasto con il principio di colpevolezza e della personalità della pena. Detta possibilità pare però essere ancorata al fatto che non vi sia un “obbligo giuridico” per l’associazione di accollare l’ammenda pro quota alle imprese partecipanti. Nella vigenza del regolamento n. 17/62 non era prevista la responsabilità in solido degli associati per il pagamento della sanzione. Nel caso di incapienza dell’associazione, dunque, le istituzioni comunitarie non avrebbero potuto riscuotere l’ammenda e le imprese coinvolte, seppur indirettamente, nelle infrazioni avrebbero potuto beneficiare di tale situazione e non subire alcuna conseguenza. Al fine di ovviare a detto problema, spesso si è cercato di chiamare a rispondere delle condotte dell’associazione644, anche
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Sentenza Groupment des Cartes Bancaries cit., punto 139.
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La possibilità di sanzionare l’associazione e le singole imprese è pacifica. Sul punto, ex
multis cfr. decisione 91/480/CEE del 30 luglio 1991 della Commissione relativa ad una
procedura a norma dell’articolo 85 CEE (IV/32659 – Programma IATA agenzie passeggeri), in GU L 258 del 16.9.1991, p. 18.
le imprese affiliate. In particolare, ciò è avvenuto quando gli atti delle imprese e quelli dell’associazione non erano chiaramente distinguibili, oppure quando l’associazione aveva svolto una funzione propulsiva rilevante. La soluzione tuttavia non sempre poteva dirsi soddisfacente, in quanto i margini per la sanzionabilità anche delle imprese sono risultati piuttosto ristretti.
Tale preoccupazione pare aver ricevuto un’espressa soluzione con il regolamento n. 1/2003. L’art. 23 par. 4 stabilisce che “qualora sia irrogata
un’ammenda ad un’associazione di imprese che tenga conto del fatturato dei suoi membri e l’associazione non sia solvibile, l’associazione è tenuta a richiedere ai propri membri contributi a concorrenza dell’importo dell’ammenda. Se tali contributi non sono stati versati all’associazione entro un termine stabilito dalla Commissione, quest’ultima può esigere il pagamento dell’ammenda direttamente da ciascuna delle imprese i cui rappresentanti erano membri degli organi decisionali interessati dall’associazione. Una volta richiesto il pagamento […] se necessario per garantire il totale pagamento dell’ammenda, la Commissione può esigere il pagamento del saldo da parte di ciascuno dei membri dell’associazione presenti sul mercato nel quale si è verificata l’infrazione. Tuttavia la Commissione non esige il pagamento ai sensi del 2° e 3° comma dalle imprese che dimostrino che non hanno attuato la decisione dell’associazione che ha costituito l’infrazione o che non erano al corrente della sua esistenza, o si sono attivamente dissociate da essa anteriormente all’avvio delle indagini da parte della Commissione. La responsabilità finanziaria di ciascuna impresa per il pagamento dell’ammenda non deve superare il 10% del suo fatturato totale realizzato durante l’esercizio solare precedente”.