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Elemento psicologico: requisito costitutivo della fattispecie o requisito per l’attivazione della potestà sanzionatoria della Commissione?

PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA E SANZIONI ANTITRUST COMUNITARIE

4. Elemento psicologico: requisito costitutivo della fattispecie o requisito per l’attivazione della potestà sanzionatoria della Commissione?

Si rende ora necessario analizzare se, in base alla prassi esistente in materia, la presenza dell’elemento soggettivo sia effettivamente richiesta quale requisito “costitutivo” dello stesso, oppure se l’accertamento di detto elemento rilevi unicamente al fine dell’attivazione del potere sanzionatorio della Commissione o ancora se assuma una qualche rilevanza ai fini della graduazione della sanzione.

In linea generale, pare che il requisito della volontarietà della pratica anticoncorrenziale non venga inteso come consapevolezza dell’illiceità del comportamento ai sensi degli articoli 81 e 82 del Trattato, ma come mera conoscenza o conoscibilità dell’idoneità di detto comportamento a determinare un’alterazione della struttura concorrenziale del mercato535. L’intenzionalità o la negligenza dell’infrazione rileverebbero unicamente ai fini della possibilità di irrogare sanzioni fa parte della Commissione536. Con particolare riferimento alle intese, poi, occorrerebbe ulteriormente distinguere tra quelle che hanno “oggetto” anticoncorrenziale e che quelle che hanno “effetto” anticoncorrenziale. L’accertamento del nesso psichico acquisterebbe rilevanza solo con riferimento alle seconde, in quanto per le prime esso sarebbe in re

ipsa, non potendosi configurare accordi “accidentali” aventi come oggetto una

restrizione della concorrenza. Nell’ipotesi di intese aventi un effetto anticoncorrenziale, invece, il requisito della volontarietà potrebbe essere escluso nel caso in cui esso si ponga come conseguenza imprevedibile della pratica posta in essere. Potrebbero verificarsi taluni casi in cui, elementi esterni sopravvenuti ed imprevedibili, contribuiscano in maniera determinante a rendere anticoncorrenziale una determinata condotta che originariamente

colpevolezza sarebbe giustificata solamente nel caso di illeciti di messa in pericolo. Nel caso di specie si trattava degli interessi finanziari della Comunità che verrebbero messi a repentaglio anche da mere dichiarazioni inesatte sulle esportazioni, a prescindere da uno stato soggettivo di colpa. Secondo l’opinione esposta, tale tipologia di responsabilità non sarebbe più ragionevole solo nella misura in cui “la sanzione dovesse essere inflitta anche nell’ipotesi

in cui all’esportatore non possa più equamente essere addebitata la messa in pericolo degli interessi finanziari della Comunità”.

535

M. SCHINNA’, La nullità delle intese anticoncorrenziali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2004, p. 416; sentenza della Corte dell’8 novembre 1983, NV IAZ International Belgium e a. c. Commissione, cause riunite da 96 a 102, 104, 105, 108 e 111/82, in Racc., 1983, p. 3369, punto 25.

536

non era tale, come la scomparsa di un concorrente o un mutamento della struttura del mercato. Secondo parte della dottrina537, e come sarà esposto nel prosieguo, secondo anche le istituzioni comunitarie, tale impostazione non risulterebbe condivisibile in quanto la ratio sottesa alle norme antitrust comunitarie consiste nel mantenimento di una concorrenza effettiva all’interno del mercato comune e soprattutto “sia che l’effetto si ponga come conseguenza

normale dell’accordo, sia che esso dipenda da elementi esterni all’atto esso può, comunque, consistere un un’alterazione sensibile della struttura concorrenziale del mercato” 538

.

Per tali ragioni, dunque, l’effetto anticoncorrenziale dovrebbe essere accertato e sanzionato anche se dipendente, in tutto o in parte, da elementi esterni all’atto stesso. La prevedibilità o meno dell’effetto e la consapevolezza dell’anticoncorrenzialità del comportamento potrebbero, al limite, assumere rilevanza ai fini dell’irrogazione delle sanzioni da parte della Commissione.

Non si ritiene di poter completamente condividere tale approccio. In primo luogo, se pure è vero che l’art. 23 del regolamento n. 1/2003 menziona l’elemento soggettivo unicamente al fine di consentire alla Commissione di comminare ammende, e pertanto nel caso di concorso di cause nella restrizione della concorrenza non dovrebbero essere inflitte ammende, è del pari vero che anche il mero accertamento di un’infrazione del diritto della concorrenza può produrre conseguenze rilevanti. La prima di esse riguarda la nullità di detto comportamento e la conseguente ripercussione su tutti gli atti da esso derivati539; inoltre, l’accertamento dell’illecito può dare luogo alla richiesta di risarcimento dei danni da parte dei privati e dei concorrenti che si ritengono lesi dal comportamento anticoncorrenziale. Principi di civiltà giuridica impongono poi, in ossequio al brocardo nullum crimen sine culpa, che non possano essere configurabili responsabilità oggettive, salvo rare eccezioni. In secondo luogo, deve essere osservato che l’elemento soggettivo deve coprire anche l’antigiuridicità quale individuata dal precetto che contempla l’illecito, dovendo l’agente dimostrare “rimproverabile contrasto o

indifferenza” nei confronti dei valori contenuti540

nella norma. A tale

537

Ibidem, A. FRIGNANI – M. WAELBROECK, Disciplina della concorrenza nella CE, Torino, 1996, p. 173.

538

M. SCHINNA’, op. cit., 2004, p. 417.

539

Ibidem, p. 420.

540

R. BLAIOTTA, Coscienza del disvalore sociale e colpevolezza: le antinomie della

proposito, deve essere richiamata la distinzione tra illeciti naturali e artificiali, per i quali l’elemento psicologico si atteggia in maniera differente541. Per i secondi, ossia quegli illeciti di creazione legislativa che non presuppongono anche un disvalore sociale sul piano morale, prima ancora che su quello giuridico, la conoscenza o conoscibilità del precetto riveste un ruolo fondamentale ai fini dell’individuazione della presenza dell’elemento soggettivo. Nel caso di ignoranza della legge, o di illeciti antitrust che si situano in zone “grigie”, il soggetto agente potrebbe, infatti, non avere percezione dell’illiceità del proprio comportamento, essendo questo non supportato da un adeguato substrato sociale di disvalore. In taluni Paesi europei, infatti, come ad esempio l’Italia, gli illeciti antitrust non sono accompagnati da una sufficiente disapprovazione sociale. Ciò consentirebbe di poter escludere, in talune ipotesi limite, la possibilità di accertare e sanzionare un illecito. Tali argomentazioni verranno analizzate con riferimento alla tematica dell’errore nel successivo paragrafo.

Se anche si volesse ritenere accettabile l’interpretazione sopra descritta e che pone l’accento unicamente sulla conoscibilità degli effetti anticoncorrenziali di una data condotta, occorrerebbe comunque che le istituzioni comunitarie, al meno nel momento di inflizione dell’ammenda, verificassero in maniera rigorosa la presenza dell’elemento intenzionale o della negligenza, come del resto espressamente previsto nell’art. 23 del regolamento n. 1/2003.

Nella prassi decisionale della Commissione e dei giudici comunitari, invece, non sempre i due requisiti vengono sufficientemente analizzati o differenziati. Risulta affermazione ricorrente, quasi clausola di stile che “l’infrazione è stata commessa intenzionalmente o almeno negligentemente”542 sulla base del rilievo che l’art. 15 n. 2 del previgente regolamento n. 17/62 – ma le medesime considerazioni possono valere per l’art. 23 del regolamento n. 1/2003 che non presenta innovazioni sul punto - non effettua alcuna distinzione in proposito, ma anzi li prevede alternativamente.

Anche al fine dell’attivazione della potestà sanzionatoria della

unicamente all’evento, non sarebbero configurabili illeciti antitrust colposi, in quanto essi presuppongono, per definizione, che l’evento non sia voluto né tanto meno previsto, altrimenti si verserebbe in un’ipotesi dolosa.

541

Vedi supra par. 1.

542

Cfr. decisione del 14 dicembre 1979, Pioneer, in GU L 60 del 5.3.1980; decisione del 6 maggio 1984, Polistil Arboris, in GU L 136 del 25.5.1984.

Commissione, e contro il tenore letterale dello stesso articolo 23 del regolamento n. 1/2003, il nesso psichico viene ancora individuato unicamente nella coscienza e volontarietà delle conseguenze dell’azione – ossia una restrizione della concorrenza – piuttosto che sulla antigiuridicità della condotta. Tale impostazione risulta seguita anche da legislazioni nazionali. Ad esempio, la Section 36(3) del Competition Act del 1998 del Regno Unito prevede che l’Office of Fair Trading possa sanzionare violazioni delle proprie disposizioni unicamente se poste in essere con dolo o colpa, senza esigere che l’elemento psicologico venga individuato in maniera determinata543. L’ordinamento italiano prevede che la potestà sanzionatoria dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato possa attivarsi in presenza di una infrazione oltre che grave, anche commessa intenzionalmente o per negligenza. A tale ordinamento, in virtù del richiamo effettuato dall’art. 31 della l. 287/90, risulta applicabile l’art. 3 della l. 689/91 relativo alla depenalizzazione di taluni illeciti, il quale prevede che delle infrazioni amministrative si risponde solo se il fatto è stato posto in essere con coscienza e volontà, non importa se per dolo o colpa. Si richiede dunque, anche in questo caso, non tanto la consapevolezza di contravvenire ad un divieto, quanto il non poter ignorare la rilevanza anticoncorrenziale della condotta544.

A rigore, invece, la mancanza dell’accertamento dell’elemento soggettivo dovrebbe condurre, quanto meno, all’esclusione dalla comminazione della sanzione. Nonostante le imprese abbiano effettuato numerosi tentativi in tal senso, nel panorama delle decisioni comunitarie è presente solamente una decisione in cui espressamente la Commissione non ha inflitto ammende in virtù della mancanza di “prove della intenzionalità o

negligenza delle parti nella presente fattispecie”545

. Per il resto, come sottolineato dalla dottrina546, raramente il difetto dell’elemento psicologico potrà essere invocato con successo per evitare l’applicabilità di una sanzione,

543

Cfr. OFT’s Guidance as to the appropriate amount of a penalty, reperibile sul sito www.oft.gov.uk; sentenze Napp Pharmaceutical Holdings Limited v. The Director General of

Fair Trading [2002] CAT, punti 455-457, CompAR 13 (Napp); Aberdeen Journals Limited v. The Office of Fair Trading [2003] CAT 11, punti 484-485.

544

Si veda in questo senso A. MAZZILLI, La valutazione dei comportamenti antitrust ai fini

della determinazione della sanzione: il caso International Mail Express Italy/Poste Italiane, in Foro amm. TAR, 2003, 1, p. 149 e ss..

545

Decisione della Commissione del 5 settembre 1979, IV/29.021, BP KEM-DDSF, in GU L 286 del 14 novembre 1979, p. 32, punto 103.

546

sulla base della considerazione, non pienamente condivisibile, in base alla quale appare “davvero arduo immaginare un’impresa che si trovi casualmente

coinvolta in un accordo o in una pratica concordata ovvero che, sfruttando la propria posizione dominante, ponga accidentalmente in essere comportamenti lesivi nei confronti dei concorrenti o dei consumatori”. A tal proposito, deve

però essere nuovamente rilevato come esistano aree di confine, zone del diritto antitrust in cui, spesso, le imprese commettono illeciti senza averne consapevolezza, per meri cambiamenti dell’assetto di mercato completamente indipendenti dalla loro volontà547. Seppure possa apparire improbabile che le imprese diano vita ad un cartello in maniera inconsapevole, altrettanto non può dirsi in relazione a talune forme di pratiche concordate e abusi di posizione dominante in cui le variabili di mercato possiedono una rilevanza preponderante rispetto alla volontarietà di restrizione della concorrenza. Per questi illeciti per così dire “atipici” entrano in gioco, oltre ai comportamenti delle imprese interessate, anche altri fattori, quali la forma di mercato, le abitudini concorrenziali del settore, la struttura dei rapporti tra le imprese, l’esistenza di precedenti giurisprudenziali in materia o meno. Si possono infatti verificare casi in cui un atto originariamente non idoneo a determinare una restrizione della concorrenza, divenga tale in conseguenza ed eventi esterni, come ad esempio un improvviso mutamento nella struttura di mercato o il venir meno di un concorrente548. Tali elementi spesso non risultano conoscibili a priori dalle imprese interessate che possono vedersi comminare sanzioni per condotte che sfuggono al loro controllo. In proposito, è stato rilevato che “esistono dunque variabili economiche, valutazioni sulle

condizioni di mercato suscettibili di incidere sulla qualificazione di illiceità di una determinata pratica, non sempre facilmente conoscibili a priori, se non disponendo di una visuale prospettica che soltanto e a ragione un’Autorità preposta alla tutela della concorrenza potrà avere”549

. Se non si desse

547

Vedi infra parr. 10 e 11.

548

Si pensi, ad esempio, a quanto previsto nel regolamento di esenzione di categoria degli accordi verticali (regolamento (CE) n. 2790/1999 della Commissione del 22 dicembre 1999 relativo all’applicazione dell’art. 81, paragrafo 3, del trattato CE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, in GU L 336 del 29.12.1999, p. 21) in cui nel 13° Considerando si prevede espressamente la possibilità di revocare il beneficio dell’esenzione nel caso in esistano “reti parallele di accordi verticali abbiano effetti simili, tali da ostacolare

l'accesso al mercato rilevante o da restringere la concorrenza all'interno di questo in misura significativa”.

549

rilevanza all’aspetto volontaristico ci si troverebbe dinanzi a forme di responsabilità oggettiva che il tenore letterale dello stesso art. 23 regolamento n. 1/2003 esclude espressamente.

Come sottolineato con riferimento all’accertamento dell’infrazione, a maggior ragione al fine dell’attivazione della potestà sanzionatoria della Commissione e della commisurazione dell’ammenda, la mancanza di un reale accertamento del nesso psichico non pare del tutto condivisibile per due ordini di ragioni. In primo luogo, come osservato da parte della dottrina550, il fatto che la norma in questione richieda inequivocabilmente la presenza di un elemento soggettivo indica che il legislatore comunitario abbia inteso richiedere un certo grado di colpevolezza e pertanto, come già evidenziato, le restrizioni della concorrenza “accidentali”551 non potrebbero essere punite. In secondo luogo, come già rilevato, dal punto di vista dell’analisi economica del diritto, considerare le imprese responsabili “oggettivamente” genererebbe un inutile spreco di risorse in quanto esse si troverebbero nell’impossibilità di potere determinare a priori quali comportamenti tenere552, poiché verrebbero in ogni caso punite. Per le imprese non sarebbe possibile determinare con un sufficiente grado di certezza quali condotte saranno considerate vietate e quali invece sono lecite; pertanto sarebbero costrette o ad astenersi completamente dall’agire – con evidente spreco di potenzialità – oppure ad agire effettuando costose indagini nell’inutile ricerca di accertamento dell’illecito o meno del loro comportamento.

5. Ignoranza della legge e rilevanza dell’errore al fine

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