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Elemento soggettivo e intese

PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA E SANZIONI ANTITRUST COMUNITARIE

9. Elemento soggettivo e intese

L’accertamento dell’elemento soggettivo nelle intese non solleva, almeno astrattamente, particolari questioni. Con la locuzione accordo, infatti, si intende “qualsivoglia incontro di volontà proveniente da una pluralità di

soggetti indipendenti”617

, prescindendo dalla vincolatività giuridica dello stesso. L’elemento soggettivo risulterebbe in re ipsa, nel concetto stesso di accordo. Apparirebbe arduo per un’impresa sostenere che ha aderito ad un’intesa anticoncorrenziale in maniera inconsapevole. Tale constatazione non viene meno anche per gli accordi che non sono giuridicamente vincolanti, come le lettere di intenti ed i gentlemen’s agreement, pacificamente ritenuti integranti gli estremi dell’accordo ai sensi dell’art. 81 CE618: per definizione, la nozione di accordo si struttura sull’esistenza tra almeno due parti, di una comune volontà, il cui modo di manifestarsi non è rilevante, purché rispecchi la volontà delle parti stesse619.

Nonostante l’apparente chiarezza, esistono, nondimeno, talune ipotesi di confine in cui la questione dell’accertamento della colpevolezza appare più problematica. Si intende fare riferimento a quel filone giurisprudenziale relativo ai rapporti tra produttori e distributori e che considera illeciti anche comportamenti apparentemente unilaterali del produttore e “tacitamente” accettati dai distributori. Con riferimento a tali pratiche, si pongono tre ordini di questioni strettamente correlate. La prima è relativa alla rilevanza di un comportamento unilaterale ai sensi dell’art. 81 CE; la seconda attiene al grado di colpevolezza dei distributori ai fini della sussimibilità della loro condotta nell’art. 81 CE e la terza al fatto che in taluni casi i grossisti-distributori non sono stati sanzionati, nonostante fosse stato accertato il carattere di accordo e non di mero comportamento unilaterale della pratica in questione.

617

V. MAGINI – G. OLIVIERI, Diritto Antitrust, Torino, 2005, p. 26.

618

Sul concetto di accordo cfr. per ampi riferimenti G. TESAURO, Diritto Comunitario, Padova, 2005, p. 629.

619

Non rientrano, invece, nel concetto di accordo vietato, le intese infragruppo: vedi supra par. 3.

Per quanto attiene alla prima delle questioni sopra esposte risulta pressoché pacifico620 che nel caso in cui la decisione di un produttore si sostanzi in un comportamento unilaterale dell’impresa, tale decisione esula dal divieto di cui all’art. 81 CE, in quanto esso si riferisce espressamente a comportamenti bi o multilaterali.

Con riferimento alla seconda, invece, occorre analizzare in che modo le istituzioni comunitarie abbiano interpretato il concetto di accordo nei rapporti tra produttore e distributori, al fine di verificare se effettivamente anche ai distributori possa essere imputabile la condotta anticoncorrenziale.

In passato, le istituzioni comunitarie hanno ritenuto621 che le comunicazioni del produttore relative a pratiche anticoncorrenziali esplicitamente accettate dai distributori, che hanno adempiuto agli obblighi contrattualmente assunti, assurgono al rango di intesa vietata dal Trattato622. Si è accertata l’esistenza di un accordo idoneo a violare l’art. 81 CE, previa verifica del fatto che i provvedimenti successivamente adottati dal produttore si inserissero nel contesto dell’accordo vietato. Da tale impostazione emergerebbe come l’unilateralità di talune condotte fosse solo apparente, in quanto esse nella realtà erano state accettate, almeno tacitamente, dai distributori. Conseguentemente, sulla Commissione incomberebbe l’onere di provare l’accettazione espressa o tacita delle altri parti al comportamento adottato dal produttore. Recentemente, tale prassi è stata oggetto di alcune pronunce che ne hanno notevolmente ridotto la portata e hanno ricondotto

620

Sentenza della Corte del 25 ottobre 1983, causa 107/82, AEG c. Commissione, in Racc., 1983, p. 3151; sentenza della Corte del 17 settembre 1985, cause riunite 25/84 e 26/84 Ford e

Ford Europe c. Commissione, in Racc., 1985, p. 2725; sentenza del Tribunale del 7 luglio

1994, causa T-43/92, Dunlop Slazenger c. Commissione, in Racc., 1994, p. II-441.

621

Sentenza della Corte del 12 luglio 1979, BMW, causa 32/78 e 36-38/78, in Racc., 1979, p. 2435; sentenza Sandoz cit., in cui il produttore aveva ricercato la cooperazione dei grossisti al fine di eliminare o ridurre le importazioni parallele, in quanto la loro cooperazione era necessaria per conseguire tale obiettivo. Il produttore aveva inserito sulle fatture la dicitura “esportazioni vietate” e le istituzioni comunitarie hanno interpretato tale circostanza come una domanda volta ad ottenere un dato comportamento da parte dei grossisti, che l’hanno accettata (almeno implicitamente) in quanto questi ultimi riproponevano tale dicitura anche ai propri clienti.

622

Nella pronuncia AEG (cit. supra nota 16) le istituzioni comunitarie hanno accertato una violazione dell’art. 81 CE nell’esecuzione pratica del contratto, accettata dai distributori e consistente nel rifiuto di ammissione di distributori che rispondevano ai requisiti qualitativi al fine del mantenimento di un certo livello di prezzi. Nel caso Ford (cit. supra nota 16) si era posta la questione della legittimità dell’intero sistema di distribuzione adottato dalla casa automobilistica in quanto questa aveva cessato di fornire i rivenditori tedeschi delle automobili con guida a destra.

l’art. 81 CE al suo originario ambito di applicazione, pur senza un disconoscimento espresso della giurisprudenza precedente.

Nel noto caso Bayer (Adalat)623, la Commissione ha adottato un’interpretazione piuttosto lata di accordo, riconoscendo che anche il mero mantenimento di relazioni commerciali tra distributori – grossisti e produttore, fosse suscettibile di rivestire il carattere di intesa vietata. La Commissione aveva dedotto l’esistenza di un accordo dal semplice fatto che i grossisti non avevano interrotto le relazioni commerciali con la Bayer, nonostante essa avesse introdotto una nuova politica tendente ad eliminare le importazioni parallele. Il Tribunale non ha accolto la tesi della Commissione ed ha, conseguentemente, annullato la decisione, in quanto i giudici hanno constatato che la prova di un accordo tra imprese deve derivare “dall’accertamento

diretto o indiretto dell’elemento soggettivo che caratterizza la nozione stessa di accordo, ossia la comune volontà degli operatori di attuare un politica, di perseguire un obiettivo o di adottare un preciso comportamento di mercato, a prescindere dal modo con cui si è manifestata la volontà delle parti di comportarsi nel mercato conformemente ai termini dell’accordo stesso” 624

. Nel caso in esame, invece, i grossisti, lungi dall’accettare, anche solo implicitamente, le imposizioni unilaterali del produttore, avevano posto in essere comportamenti palesemente in contrasto con esse.

Tale pronuncia è stata confermata anche nell’impugnazione dinanzi alla Corte, che si è pronunciata in seduta plenaria625. In quella sede si è evidenziato come il punto cruciale della questione consista nell’accertamento della reale volontà dei grossisti di aderire alle restrizioni commerciali della

Bayer. In base ad un’analisi fattuale, non è stato possibile evincere un

consenso, nemmeno tacito, alla politica di restrizione delle importazioni parallele adottato da Bayer, che anzi si poneva in diretto contrasto con le esigenze dei grossisti, che avevano tentato in tutti i modi di contrastarla626. Il

623

Sentenza del Tribunale del 26 ottobre 2000, causa T-41/96 Bayer AG c. Commissione, in

Racc., 2000, p. II-3383.

624

Sentenza Bayer cit., punto 173.

625

Sentenza della Corte del 6 gennaio 2004, BAI c. Bayer, cause riunite C-2/01P e C-3/01P, in

Racc., 2004, p. II-6349.

626

Tale impostazione è stata accolta anche nella successiva pronuncia del Tribunale del 3 dicembre 2003, Volskwagen c. Commissione, causa T-208/01, in Racc., 2003, p. II-5141; e nelle conclusioni dell’Avvocato Generale Tizzano rese nell’ambito dell’impugnazione dinanzi alla Corte causa C-74/04P, non ancora pubblicate in Raccolta. In questo caso, il Tribunale ha affermato che se da un lato è concepibile che un’evoluzione del contratto possa essere ritenuta

monito che emerge da questa inversione di rotta giurisprudenziale risulta chiaro: se una decisione di un produttore si sostanzia in un comportamento unilaterale di un’impresa, essa esula dall’applicazione dell’art. 81 CE, dato che la nozione di accordo si sostanzia sull’esistenza, tra almeno due parti, di una comune volontà, il cui modo di manifestarsi è irrilevante purchè sia la fedele espressione della volontà delle parti stesse. Non si possono, dunque, artificialmente considerare come parti di un accordo soggetti, che non traggono alcun vantaggio dalle restrizioni in esso contenute, ma anzi subiscono delle condizioni penalizzanti dal punto di vista commerciale. La ragione è tratta dalla teoria economica, in quanto se un’impresa egemone può produrre un effetto discorsivo della concorrenza attraverso un comportamento unilaterale, quella che non domina il mercato può realizzare il medesimo effetto solo tramite una cooperazione con altre627 e non, quindi, in maniera autonoma.

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