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PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA E SANZIONI ANTITRUST COMUNITARIE

1. Nesso psichico

dell’illecito antitrust; 3. Nozione di intenzionalità e negligenza e conseguenza di una valutazione errata; .4. Elemento psicologico: requisito costitutivo della fattispecie o requisito per l’attivazione della potestà sanzionatoria della Commissione?; 5. Ignoranza della legge e rilevanza dell’errore al fine dell’esclusione della responsabilità; 6. Segue: applicazione nel diritto comunitario della concorrenza; 7. Necessità di distinguere l’intenzionalità e la negligenza quantomeno sotto il profilo della graduazione della sanzione; 8. Accertamento dell’elemento psicologico all’interno dell’organizzazione aziendale; 9. Elemento soggettivo e intese; 10. Segue: decisione di associazione di imprese; 11. Responsabilità solidale e teoria della dissociazione espressa; 12. Elemento soggettivo e pratiche concordate; 13. Elemento soggettivo ed infrazione complessa; 14. Elemento soggettivo e abuso di posizione dominante; 15. Elemento soggettivo e concentrazioni;

1. Nesso psichico

Come accennato nel capito precedente, al fine di imputare una condotta anticoncorrenziale ad un’impresa occorre, oltre al comportamento oggettivo, un quid pluris, costituito dall’elemento volitivo. L’art. 23 del regolamento n. 1/2003 richiedendo che gli illeciti antitrust vengano commessi intenzionalmente o per negligenza, individua nella colpa, intesa quale inosservanza delle regole obiettive di diligenza, prudenza e perizia, il requisito minimo di imputabilità sul piano soggettivo.

Il concetto di colpevolezza è stato da sempre oggetto di attenzione da parte della dottrina penalistica. L’evoluzione giuridico-sociale502 avvenuta nel corso degli anni ha consentito l’abbandono dei riferimenti morali e religiosi al fine dell’irrogazione di una pena, per accogliere criteri obiettivi. Si è giunti

502

Per ampi riferimenti cfr. M. DONINI, Il principio di colpevolezza, in AA.VV.,

Introduzione al sistema penale, Torino, 1997, p. 192 e ss.; E. R. ZAFFARONI, Colpevolezza e vulnerabilità, in Riv. it. dir. e proc. penale, 2003, p. 339 e ss.; G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale, Parte Generale, I, p. 276 e ss.; F. MANTOVANI, voce Colpa, in Digesto delle Discipline penalistiche, Torino, 1988, p. 299 e ss,; G. MARINI, voce Colpevolezza, in Digesto delle Discipline penalistiche, Torino, 1988, p. 314 e ss..

alla formazione del convincimento che la comminazione di una pena debba essere invariabilmente accompagnata da una valutazione circa l’ascrivibilità del comportamento illecito ad un soggetto. Si è cercato di individuare un criterio di imputabilità, atto a fornire un substrato psicologico allo ius puniendi dello Stato, svincolato da considerazioni morali ed eticizzanti, idoneo ad essere individuato in modo oggettivo.

E’ così stato elaborato il concetto di colpevolezza, sulla base del rilievo che un soggetto punito per un fatto “incolpevole” percepirebbe la pena come ingiusta; tale situazione provocherebbe unicamente l’effetto di rafforzare sentimenti di ostilità verso l’ordinamento giuridico, invece di determinare un ravvedimento o di disposizione psicologica verso la rieducazione. Il principio di colpevolezza riveste altresì la funzione di tutela per il reo contro gli arbitri della punizione statale: lo Stato può procedere alla inflizione di una pena non

ad libitum, ma soltanto se il soggetto che ha posto in essere la condotta vietata

lo ha fatto scientemente oppure per negligenza, imprudenza o imperizia. Il concetto di colpevolezza risulta, altresì, strettamente connesso alle moderne teorie della pena, che vedono in essa anche un importante finalità rieducativa oltre che redistributiva. Chi agisce senza dolo o colpa e cagiona eventi lesivi imprevedibili, che si sottraggano al suo personale potere di controllo “non

manifesta né volontaria ribellione né indifferenza nei confronti dei beni protetti, per cui manca quell’atteggiamento psicologico di contrasto con l’ordinamento che solo giustificherebbe la necessità di educare al rispetto delle regole della convivenza”503

.

Detto principio assolve anche alle funzioni specifiche di fondare la responsabilità, escluderla e graduarla504, permettendo di poter commisurare la pena da irrogare distinguendo tra chi ha commesso un determinato evento deliberatamente o per mera negligenza e consente invece di escludere la responsabilità di chi ha commesso un fatto per caso fortuito.

L’idea di colpevolezza presuppone il rifiuto della responsabilità per l’evento, ossia la responsabilità cd. oggettiva, secondo la quale un soggetto può essere ritenuto colpevole anche per accadimenti che sfuggono al suo controllo, dovuti al caso fortuito: “il rimprovero di colpevolezza implica che si

presupponga come esistente una possibilità di agire diversamente da parte del

503

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 277.

504

soggetto cui il fatto viene attribuito”505

.

Varie teorie si sono susseguite in tema di colpevolezza506. Secondo la concezione psicologica, più risalente, la colpevolezza deve essere intesa come relazione psicologica tra fatto ed autore; la ricerca del nesso psichico è volta unicamente a stabilire un rapporto tra il fatto ed il suo agente, non influendo sulla graduazione della pena e non prendendo in considerazione alcuna la personalità dell’agente ed il processo motivazionale che sorregge la condotta. Secondo tale impostazione, la colpevolezza si risolve unicamente nel dolo e nella colpa. In tali concetti, tuttavia, non è stato possibile trovare un minimo comune denominatore, stante l’eterogeneità degli stessi. Ciò non ha consentito a detta concezione di assurgere a vera e propria teoria generale della colpevolezza, ma ad una “teoria delle forme di colpevolezza”507.

Per ovviare alle difficoltà dogmatiche insite nella concezione psicologica della colpevolezza, si è elaborata la cd. teoria normativa, al fine di fornire rilevanza anche ai motivi dell’azione ed alle circostanze in cui essa si realizza. Secondo tale teoria, la colpevolezza si risolve in un giudizio normativo di rimproverabilità personale; l’elemento comune al dolo ed alla colpa viene individuato nell’atteggiamento antidoveroso della volontà. Il dolo e la colpa vengono infatti intesi quali il primo come “fatto volontario che non

si doveva volere”508

e la secondo come “un fatto involontario che non si

doveva produrre”509

. Per poter ascrivere un determinato comportamento ad un soggetto si richiedono, oltre al dolo ed alla colpa, anche altri elementi, ossia le “condizioni di esigibilità del comportamento lecito”510, quali la capacità di intendere e di volere, la conoscibilità della legge penale, l’assenza di situazioni anomale che rendono non colpevole l’autore di un fatto comunque antigiuridico, le cd. scusanti, come l’ignoranza inevitabile, l’ordine illegittimo del superiore, il costringimento psichico.

La concezione normativa della colpevolezza511 consente anche di

505

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 278.

506

La letteratura sul punto è vastissima. Per ampi riferimenti, anche bibliografici si veda G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 277 e ss.; G. MARINI, op. cit.,p. 314 e ss..

507

T. PADOVANI, Diritto penale, Torino, 1999, p. 236.

508

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 277 e ss.

509

Ibidem.

510

M. DONINI, op. cit., p. 227.

511

La concezione normativa della colpevolezza ha trovato espresso accoglimento nel nostro ordinamento a seguito della nota pronuncia della Corte Costituzionale del 23-24 marzo 1988 n. 364, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1988, p. 699, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale

fornire un substrato legittimante a quelle ipotesi normative di divieto di pura creazione legislativa, definite “eticamente indifferenti”512. Con tale locuzione si intendono quei reati connotati da una ridotta antisocialità, come i cd reati economici, che vengono spesso percepiti dalla collettività come non portatori di alcun disvalore513. Per tali illeciti, ai fini della configurabilità della colpa, sarà sufficiente accertare che il soggetto abbia avuto la mera possibilità di conoscere la legge. La rilevanza data alle condizioni in base alle quali un soggetto si è determinato ad agire consente, quindi, di considerare “colpevole” un soggetto che ha compiuto consapevolmente un determinato fatto, anche senza aver avuto conoscenza della legge che lo vietava, poiché avrebbe dovuto conoscere la legge e pertanto cogliere l’illiceità formale della propria condotta. Si consente, quindi, di imputare comportamenti determinati unicamente da una carenza di “cultura giuridica”514.

La colpevolezza può fungere sia da presupposto della punibilità, ossia quale elemento costitutivo dell’illecito oppure da criterio di commisurazione della pena.

Quale presupposto di punibilità, la colpevolezza riveste una notevole importanza dal punto di vista della funzione di prevenzione speciale della pena, intesa quale rieducazione in concreto del singolo che subisce la pena. La pretesa statuale di punire un dato comportamento risulta giustificabile nella misura in cui l’azione illecita costituisca il risultato di una scelta volontaria o, comunque, di una condotta volontariamente evitabile.

Per quanto attiene, invece, al piano della prevenzione generale o deterrenza, la minaccia di una data pena deve fungere da monito ai soggetti,

dell’art. 5 c.p. nella parte in cui non prevedeva quale causa di esclusione della responsabilità l’ignoranza scusabile della legge. In particolare, i giudici della Consulta hanno affermato che “nelle prescrizioni tassative del codice il soggetto deve poter trovare, in ogni momento cosa

gli è lecito e cosa gli è vietato; ed a questo fine sono necessarie leggi precise, chiare, contenenti riconoscibili direttive di comportamento. Il principio di colpevolezza è, pertanto, indispensabile, appunto anche per garantire al privato la certezza di libere scelte d’azione […]. A nulla varrebbe, infatti, in sede penale, garantire la riserva di legge statale, la tassatività delle leggi ecc. quando il soggetto fosse chiamato a rispondere di fatti che non può comunque impedire, o in relazione ai quali non in grado, senza la benché minima sua colpa, di ravvisare il dovere di evitarli nascente dal precetto”. Secondo l’impostazione seguita dalla

Corte Costituzionale, dunque, solo in presenza di finalità punitive unicamente volte alle deterrenza potrebbe configurarsi e considerarsi legittima una responsabilità oggettiva. Cfr.

infra par. 12.

512

A. CALABRIA, Delitti naturali, delitti artificiali ed ignoranza della legge penale, in

Indice penale, 1991, p. 35 e ss..

513

Ibidem.

514

per indurli a desistere dal commettere atti illeciti. Affinché ciò possa verificarsi si rende necessario che la commissione del fatto illecito rientri nei poteri di controllo personale del soggetto: la condotta posta in essere deve dipendere da una scelta volontaria del soggetto, oppure dalla violazione di una regola di condotta a contenuto precauzionale. In particolare, per quanto riguarda taluni tipi di reati come ad esempio i reati economici, la dottrina penalistica515 sottolinea come la consapevolezza del rischio di poter essere incriminati anche per le conseguenze incontrollabili del proprio comportamento potrebbe avere l’effetto di indurre a desistere del tutto dal compimento di certe azioni ovvero ad elevare gli standard di diligenza516.

Quale criterio di commisurazione della pena, il principio di colpevolezza assolve una funzione limitativa della punibilità. Il suo rispetto, pur nel perseguimento di scopi di prevenzione generale e/o speciale, impone di non infliggere pene di ammontare sproporzionato all’entità della colpevolezza individuale.

2. Necessità dell’elemento psicologico ai fini della sussistenza

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