RESPONSABILITA’ PERSONALE E SANZIONI ANTITRUST COMUNITARIE
4. Imputabilità degli illeciti concorrenziali ai gruppi di imprese
Dopo aver esaminato come le istituzioni comunitarie interpretino il concetto di impresa e di unità economica con riferimento ai gruppi, occorre analizzare il distinto problema dell’imputabilità di un illecito al gruppo. In particolare, occorre individuare il soggetto che deve essere sanzionato per infrazioni del diritto della concorrenza, ossia se anche la società capogruppo debba rispondere per condotte poste in essere dalle controllate. Dal punto di vista dell’effetto di deterrenza, un’opinione autorevolmente espressa299 sottolinea come in materia di gruppi debbano essere distinti due tipi di situazioni: il caso in cui sussista un controllo pari al 100% e il caso in cui si abbia un controllo in percentuale minore. Nel primo caso, i soggetti che sopportano le conseguenze finanziarie, ossia gli azionisti, sono i medesimi in virtù della partecipazione totalitaria; la Commissione dovrebbe essere lasciata libera di decidere, in base a valutazioni di mera opportunità e di solvibilità delle imprese coinvolte, se sanzionare solo la controllata, solo la società madre oppure condannarle entrambe in solido. In caso contrario, risulterebbe agevole cercare di far risultare incapiente la società sanzionata, oppure fare in modo che essa sia sottoposta alla legislazione di uno Stato extracomunitario, in cui sarebbe meno agevole procedere all’eventuale recupero coatto della somma corrispondente alla sanzione.
Nel secondo caso, esigenze di correttezza ed equità nei confronti degli azionisti di minoranza, che potrebbero trovarsi nella concreta impossibilità di impedire eventuali illeciti in considerazione della mancanza di controllo sugli organi decisionali, imporrebbero di sanzionare solamente la società effettivamente coinvolta nell’infrazione. Tuttavia, ciò potrebbe condurre alle
298
Sentenza del Tribunale del 15 settembre 2005, causa T-325/01, Daimler-Chrysler AG c. Commissione, non ancora pubblica in Raccolta, punto 88. Nel caso di specie, i giudici di primo grado hanno escluso di trovarsi in presenza di accordi, in quanto gli agenti non assumevano su di loro alcun rischio finanziario, le autovetture erano vendute direttamente da
Mercedes Benz, non erano obbligati a mantenere uno stock di autovetture ed eventuali sconti
non incidono sulla percentuale di provvigione dovuta all’agente, come invece accade nel caso di contratti di distribuzione.
299
stesse problematiche sopra evidenziate di potenziale occultamento dei capitali necessari a pagare le sanzione; spesso, la Commissione si trova di fronte a situazioni societarie talmente complesse, che risulta praticamente impossibile determinare il soggetto che ha realmente commesso l’infrazione. Pertanto, anche la dottrina richiamata, concorda nel ritenere che la Commissione debba essere lasciata libera di decidere su quale soggetto fare gravare l’ammenda300.
In realtà, i giudici comunitari paiono richiedere la presenza di taluni requisiti per poter comminare un’ammenda alla società capogruppo per illeciti commessi dalle controllate. Nella pronuncia ICI301, che può essere considerata uno dei leading case in materia, la Corte, dopo avere sottolineato l’irrilevanza ai fini dell’imputabilità della condotta anticoncorrenziale di personalità giuridiche distinte della società madre e dell’affiliata, ha statuito che la responsabilità della prima può verificarsi in particolare nel caso in cui “l’affiliata, pur avendo personalità giuridica distinta, non decide in modo
autonomo quale deve essere il suo comportamento sul mercato, ma applica in sostanza le direttive della casa madre”302
, per poi proseguire stabilendo che, proprio in virtù del principio dell’unità economica, risulta possibile imputare l’attività dell’affiliata direttamente in capo alla società madre.
Secondo parte della dottrina303, tale rigorosa impostazione, con cui si richiede la completa mancanza di autonomia decisionale in capo alla controllata, andrebbe rivista in maniera meno rigida, assumendo come parametro di riferimento il concetto di controllo così come delineato nella disciplina delle concentrazioni. Ciò sulla base del rilievo che le sanzioni imposte in capo alle società vengono per la maggior parte sopportate dagli azionisti di maggioranza che teoricamente avrebbero gli strumenti per cercare di prevenire comportamenti illegittimi, attraverso corrette impostazioni dell’organizzazione e del controllo aziendale.
300
Ibidem, p. 176. Tale impostazione è quella che sembra essere seguita anche dai giudici comunitari. A tal proposito si veda la sentenza del Tribunale del 1 aprile 1993, BPB Industries
Plc. e British Gypsum Ltd. c. Commissione, causa T-65/89, in Racc., 1993, p. II-389, punto
154.
301
Sentenza della Corte del 14 luglio 1972, Imperial Chemical Industries Ltd. c. Commissione, causa 48/69, in Racc., 1972, p. 619.
302
Sentenza ICI cit., punto 133. In senso conforme, sentenza della Corte 14 luglio1972, J.R.
Geicy Ag, causa 52/69, in Racc., 1972, p. 787; sentenza della Corte del 21 febbraio 1973 Europeimballage Corporation e Continental Can Inc., causa 6/72, in Racc., 1972, p. 215,
sentenza della Corte del 18 ottobre 1989 Orkem Sa c. Commissione, causa 374787, in Racc., 1989, p. 3283.
303
Connessa con tale argomento, risulta la questione, sollevata in un caso di fronte al Tribunale304 della possibilità di considerare il tetto del 10% del fatturato del gruppo, in luogo di quello della società che ha realmente posto in essere l’illecito. Il caso traeva origine dal fatto che la Commissione aveva comminato una sanzione ad una consociata della società “colpevole”, che aveva accettato di accollarsi il pagamento della sanzione, in quanto quest’ultima società aveva cessato di esistere dopo la comunicazione degli addebiti. Secondo un’altra impresa partecipante all’accordo la Commissione avrebbe dovuto considerare il fatturato del gruppo di appartenenza della società che aveva commesso l’illecito. I giudici comunitari hanno negato tale possibilità, poiché il fatturato da prendere in considerazione doveva essere quello dell’impresa interessata, ossia l’impresa destinataria della decisione della Commissione305. L’accettazione di quella tesi avrebbe comportato un conflitto con la giurisprudenza consolidata esistente in materia, in base alla quale il comportamento anticoncorrenziale di un’impresa può essere imputato ad un’altra entità nell’ipotesi in cui essa non abbia determinato in modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, ma abbia applicato le direttive impartitele dalla seconda, in considerazione dei particolari vincoli economici e giuridici intercorrenti tra loro306. Detta impostazione renderebbe altresì inutile ogni analisi circa i rapporti esistenti all’interno dei gruppi di società, al fine di determinare se si tratti di un’impresa unica ai fini dell’applicazione del diritto antitrust, dato che l’accertamento della responsabilità di un’impresa membro del gruppo comporterebbe automaticamente quella solidale della società madre e delle altre società appartenenti al gruppo. Ciò sarebbe in aperto contrasto “con il principio del
carattere individuale delle pene e delle sanzioni, secondo il quale un’impresa può essere sanzionata esclusivamente per fatti ad essa individualmente ascritti, principio applicabile in qualsiasi procedimento amministrativo che possa concludersi con l’irrogazione di sanzioni in forza della normativa comunitaria sulla concorrenza”307
.
304
Sentenza del Tribunale del 4 luglio 2006, Hoek Loos NV c. Commissione, causa T-304/02, non ancora pubblicata in Raccolta.
305 Ibidem, punto 116. 306 Ibidem, punto 117. 307 Ibidem, punto 118.