PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA E SANZIONI ANTITRUST COMUNITARIE
11. Responsabilità solidale e teoria della dissociazione espressa
Nella sua applicazione pratica, la formulazione di tale norma può creare dubbi sulla sua conformità al principio di colpevolezza e risulta in parziale contrasto con la giurisprudenza sopra citata relativa alla legittimità della presa in considerazione del fatturato globale delle imprese affiliate, sulla base del presupposto che non vi sia un obbligo giuridico di solidarietà nel pagamento dell’infrazione. In presenza di tale obbligo, infatti, le sanzioni risultano in realtà inflitte alle singole imprese e non solo all’associazione. Ciò
comporterebbe una grave violazione dei diritti di difesa delle imprese coinvolte, nella misura in cui esse non prendano parte alla procedura amministrativa. Seppure astrattamente si può convenire sull’opportunità di stabilire una responsabilità solidale per le imprese che hanno attivamente partecipato ai processi decisionali dell’associazione, al fine di non svuotare di contenuto l’art. 81 CE e di evitare comportamenti elusivi e fraudolenti da parte delle imprese, altrettanto non può dirsi per quelle che tale ruolo non hanno avuto. Il nuovo par. 4 dell’art. 23 prevede talune ipotesi in cui le imprese affiliate all’associazione possono essere non chiamate a rispondere pro quota della sanzione. In particolare, ci si riferisce a tre ipotesi. La prima riguarda la possibilità per l’impresa di dimostrare che non ha dato attuazione all’accordo vietato. Tale prova, seppure difficoltosa, non risulta del tutto impossibile. L’impresa potrà fornire indicazioni della mancata attuazione dell’intesa evidenziando la propria autonomia nelle politiche commerciali, come ad esempio listini di prezzi non conformi alle deliberazioni adottate dall’associazione. La seconda riguarda la mancata conoscenza dell’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza e la terza di essersi attivamente dissociate da essa. Queste sono le ipotesi che sollevano dubbi sulla loro conformità con il principio di colpevolezza, soprattutto alle luce della giurisprudenza in materia che ha accolto la cd. teoria della dissociazione espressa. Infatti, l’onere della prova richiesto dalle istituzioni comunitarie al fine della dimostrazione della ‘dissociazione attiva’ risulta pressoché impossibile, tanto da far avvicinare tale tipologia di responsabilità ad una oggettiva. I giudici comunitari hanno sviluppato il principio della cd. dissociazione pubblica, ossia “un principio giurisprudenziale secondo cui,
allorchè un’impresa ha partecipato a riunioni dal contenuto illecito, l’esonero dalla sua responsabilità può derivare solo dalla prova che essa si sia dissociata formalmente dal contenuto di tali riunione (…) dissociazione che incombe all’impresa interessata suffragare con prove che la sua partecipazione alle riunioni era assolutamente priva di intenti anticoncorrenziali e che le sue concorrenti sapevano che essa partecipava a detto riunioni con uno spirito differente dal loro”645
. Un’impresa che si trovi a
645
Sentenza del Tribunale dell’11 dicembre 2003, Adriatica Navigazione s.p.a. c. Commissione, in Racc., 2003, p. II-5349, punto 135, confermata anche dinanzi alla Corte con ordinanza del 16 febbraio 2006, causa C-111/04P Adriatica Navigazione s.p.a. c. Commissione, non ancora pubblicata in Raccolta..
partecipare a riunioni in cui si discute di problematiche che investono l’intero settore di mercato in cui opera, oppure in riunioni di associazioni di imprese che formalmente perseguono l’interesse dell’intera categoria, nel caso in cui in dette riunioni si affrontino anche temi anticoncorrenziali, come la politica dei prezzi, si troverà ad essere ritenuta responsabile di un illecito antitrust, senza spesso averne una piena consapevolezza. La prova della dissociazione richiesta dalle istituzioni comunitarie risulta infatti essere estremamente rigorosa, quasi “diabolica”, in quanto si esige che “l’impresa che ha preso
parte a riunioni dallo scopo anticoncorrenziale comunichi in modo sufficientemente chiaro alle altre compagnie rappresentate che, malgrado le apparenze, essa è in disaccordo con i comportamenti vietati da esse intraprese”646
. Nella pratica, risulta estremamente arduo per un’impresa fornire la prova della propria dissociazione, se non basandosi sulle indicazioni e dichiarazioni fornite dalle altre imprese coinvolte nell’illecito. Il fatto che durante le riunioni non vengano stilati verbali o note o che eventuali votazioni avvengano in maniera informale, per consensus o per alzata di mano, rende pressoché impossibile fornire la prova della propria dissociazione, anche se l’impresa non ha aderito a tale deliberazioni. E’ stato infatti affermato che in ogni caso occorre “una dissociazione palese per poter andare esenti da
responsabilità. Al contrario, in un contesto siffatto, solo l’impresa che dimostri di aver manifestato in maniera ferma e chiara il proprio disaccordo è in grado di soddisfare il criterio della dissociazione pubblica quale postulato dalla giurisprudenza”647
. Nonostante le affermazioni contrarie dei giudici comunitari, in base alle quali non risulterebbe corrispondente al vero il fatto che la prova della dissociazione di un’impresa dipende dalle mere affermazioni delle sue concorrenti648, non è dato sapere con certezza quale mezzo adottato dall’impresa possa essere considerato idoneo a far conoscere il suo disaccordo alle altre imprese presenti alle riunione.
Dette imprese potrebbero così vedersi sanzionate per condotte in realtà volute ed intraprese da altri ed anche se non hanno partecipato ad ogni singola riunione. Negli accordi cd. complessi649, composti da pratiche concordate ed intese, non viene nemmeno richiesta la partecipazione ad ogni singola riunione
646
Sentenza Adriatica Navigazione cit., punto 137.
647
Ibidem.
648
Ibidem.
649
avente oggetto anticoncorrenziale, essendo sufficiente la partecipazione all’accordo nel suo complesso650. Ciò rende tale prova ancora più ardua, in quanto è sufficiente la mera partecipazione ad una riunione avente, tra gli altri, un contenuto anticoncorrenziale, per dover rispondere di tutta l’infrazione.
L’accoglimento della teoria della dissociazione pubblica pare dunque porsi in contrasto con il principio della responsabilità personale, che come visto risulta vigente anche nell’ambito del diritto della concorrenza651. Essa pare inoltre invertire l’onere della prova, in quanto spetterebbe alla Commissione652 provare l’infrazione e non alle imprese di essersi formalmente dissociate da riunioni cui partecipano senza intenzioni anticoncorrenziali. L’adesione sic et simpliciter a questa teoria comporta per la Commissione di dover provare unicamente che vi sia stata una riunione dal contenuto anticoncorrenziale in senso lato, senza necessità di accertare il reale comportamento delle imprese coinvolte ed quindi, in ultima analisi, il grado di colpevolezza. Risulta infatti sufficiente che “la Commissione dimostri che
l’impresa interessata ha partecipato a riunioni durante le quali sono stati conclusi accordi di natura anticoncorrenziale, senza esservi manifestamente opposta, affinché sia sufficientemente provata la partecipazione di detta impresa all’intesa. Ove sia dimostrata la partecipazione a riunioni siffatte, spetta a tale impresa dedurre indizi atti a dimostrare che la sua partecipazione alle dette riunioni era priva di qualunque spirito anticoncorrenziale, dimostrando che essa aveva dichiarato alle sue concorrenti di partecipare alle riunioni in un’ottica diversa dalla loro”653
.
650
Cfr.Sentenza del Tribunale del 20 aprile 1999, Limburgse Vinyl Maatschappij v. Commissione, cause T-305/94, in Racc., 2000, p II-931.
651
Sentenza della Corte dell’8 luglio 1999, causa C-49/92, Commissione c. Anic
Partecipazioni, in Racc., 1999, p. I-4125, in cui la punto 78 si è stabilito che “va riconosciuto, in primo luogo, che, con riguardo alla natura delle infrazioni di cui trattasi nonché alla natura e al grado di severità delle sanzioni conseguenti, la responsabilità per la commissione di tali infrazioni riveste carattere personale”.
652
Sentenza del Tribunale del 7 luglio 1994, causa T-43/92, Dunlop c. Commissione, in Racc., 1994, p.II-441.
653
Sentenza della Corte dell’8 luglio 1999, causa C-199/92P Hüls c. Commissione, in Racc., 1999, p. I-4125, punto 96; sentenza Anic cit., punto 96; sentenza della Corte del 1° gennaio 2004, Aalborg Portland e a. c. Commissione, causa C-204/00 P, in Racc., p. I-123; sentenza
Cimenteries cit., punto 1353 in cui espressamente si è affermato che “dal momento che un’impresa o un’associazione di imprese ha partecipato, pur senza svolgere un ruolo attivo, ad una o più riunioni durante le quali è stato manifestato o ribadito un consenso generale sul principio di comportamenti anticoncorrenziali e che essa, con la sua presenza, ha aderito o quantomeno, ha fatto pensare agli altri partecipanti che aderiva al contenuto dell’accordo anticoncorrenziale prima concluso e poi confermato durante le dette riunioni, si deve
La nuova formulazione del par. 4 dell’art. 23 rende tale questione ancora più evidente, poiché in caso di insolvenza dell’associazione coinvolta, saranno chiamate a rispondere tutte le imprese che hanno partecipato alle riunioni, salvo riescano a dimostrare la loro dissociazione pubblica. In passato, invece, le istituzioni comunitarie avrebbero dovuto fornire la prova dell’ascrivibilità della condotta illecita anche alle singole imprese coinvolte. Ciò comportava anche la partecipazione delle stesse a tutto il procedimento amministrativo e conseguentemente conferiva loro il diritto di potersi attivamente difendere dinanzi agli organi comunitari. Nonostante risulti condivisibile la ratio sottesa a tale nuova norma, che pare essere nel senso di rendere maggiormente efficaci le norme antitrust e di evitare comportamenti elusivi654, l’atteggiamento rigoroso delle istituzioni comunitarie dà adito a talune perplessità. Sulle imprese, infatti, grava il difficile onere di una prova negativa, di quanto non è stato positivamente accertato dalla Commissione, ossia la piena partecipazione all’intesa.