PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA E SANZIONI ANTITRUST COMUNITARIE
5. Ignoranza della legge e rilevanza dell’errore al fine dell’esclusione della responsabilità
Direttamente connesso con il principio di colpevolezza così come inteso dalle istituzioni comunitarie, ossia quale ignoranza colpevole dell’anticoncorrenzialità del comportamento, risulta la disciplina dell’errore, inteso quale falsa rappresentazione o ignoranza di un qualunque dato della realtà naturalistica o giuridica, idoneo ad escludere l’elemento soggettivo.
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A. KERSE – N. KHAN, op. cit., p. 378; G. GRASSO, Comunità europee e diritto penale. I
rapporti tra ordinamento comunitario e i sistemi penali degli Stati membri, Torino, 1989, p.
107.
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Vedi infra parr. 10 e 11.
552
L’idea di colpevolezza implica, infatti, che si possa muovere un “rimprovero” all’autore del fatto per avere posto in essere condotte in spregio alle norme che la proibivano. Se il soggetto non è consapevole di porre in essere un illecito, non dimostra nemmeno indifferenza o disobbedienza rispetto ai valori stabiliti da un dato ordinamento e pertanto non necessiterebbe una punizione. In materia penale, l’errore può ricadere o sul fatto o sul diritto553. Nel primo caso, l’errore cade su di uno degli elementi del fatto tipico554, ossia quei comportamenti ed avvenimenti che si devono realizzare al fine di integrare gli estremi della condotta vietata. Nel caso di errore sul fatto, il dolo viene in genere escluso, in quanto il soggetto vuole un fatto diverso da quello che effettivamente si realizza555. In questi casi manca nel soggetto agente la rappresentazione e conseguentemente la volontà del fatto materialmente realizzato; viene meno la percezione del disvalore del fatto e della volontà riprovevole che giustificano l’imputazione dell’illecito a titolo di dolo556. Rimane spazio per un’imputazione colposa nel caso in cui la fattispecie incriminatrice espressamente la preveda. Il classico esempio che suole effettuarsi in materia penale a tal proposito riguarda il caso di un cacciatore che scambi un uomo per un animale e lo uccida quindi per errore557. In tali circostanze, l’intenzionalità della condotta viene esclusa; dovrà però essere vagliata l’ipotesi di negligenza o imperizia nel caso in cui il reato sia previsto anche nella forma colposa. La trasposizione in ambito antitrust della disciplina dell’errore sul fatto possiede limitata rilevanza per due ordini di ragioni. In primo luogo, risulta difficile immaginare che le imprese quando agiscono sul mercato vogliano porre in essere “fatti” o comunque ottenere risultati diversi da quelli che effettivamente pongono in essere. In secondo luogo, l’errore sul fatto rileva soprattutto al fine di escludere il dolo e conseguentemente esonerare da responsabilità nel caso in cui l’ipotesi criminosa non sia prevista anche nella forma colposa; le norme antitrust, invece, prevedono la possibilità di infliggere sanzioni anche a titolo di colpa. Le norme poste a tutela della concorrenza, non contengono ipotesi di illecito tassativamente individuate, ma elencano solamente taluni comportamenti ritenuti restrittivi della concorrenza
553
G. FLORA, voce Errore, in Digesto delle Discipline penalistiche, Torino, 1990, p. 255.
554
T. PADOVANI, op. cit., p. 296.
555
A. CALABRIA, op. cit., p. 35; G. FLORA, op. cit., p. 257.
556
G. FLORA, op. cit., p. 260.
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in via meramente esemplificativa. L’errore sul fatto, che per essere tale deve ricadere su uno degli elementi del fatto richiesti come essenziali dalla norma incriminatrice558, risulta quindi difficilmente configurabile proprio per l’ambiguità di talune norme antitrust, che non disciplinano con esattezza i fatti tipici che vanno ad integrare gli estremi della fattispecie vietata. Si potrebbe eventualmente fare riferimento a tale categoria dogmatica in quelle ipotesi – che verranno esaminate nei prossimi paragrafi – in cui le imprese cadono in errore sull’accertamento delle reali condizioni di mercato e che danno luogo alle fattispecie di abuso di posizione dominante559 e di pratiche concordate.
L’errore sul diritto560, strettamente connesso al tema dell’ignoranza sulla legge, pur essendo da esso concettualmente distinto,561 è invece sempre stato circondato di maggiori cautele in quanto potrebbe dare adito ad una molteplicità di via di fuga dalla responsabilità, facendo leva unicamente sulla ignoranza del divieto. In passato, si poneva l’accento sul principio di obbligatorietà della legge (penale), ritenendo che il riconoscimento dell’efficacia scusante dell’error iuris avrebbe potuto seriamente compromettere l’operatività di tale principio562. Per queste ragioni, fin da epoche remote non si è esitato a ritenere l’errore di cui si discute irrilevante stabilendo che ignorantia legis non excusat563. Nella sua accezione pura, tale principio sancisce la responsabilità anche di chi “ignorando senza colpa che
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G. FLORA, op. cit., p. 258.
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Possono infatti darsi casi in cui un’impresa non è consapevole della propria posizione dominante e pertanto intraprende operazioni commerciali che sarebbero, in ipotesi di normale concorrenza, del tutto lecite, ma che divengono illecite proprio in virtù della posizione dominante. L’accertamento di tale posizione, salvo le ipotesi della cd. “super – dominance” (così R. WISH, op. cit., p. 519 in cui un’impresa ha quote di mercato che rasentano il monopolio), dipende da numerosi fattori, primo fra tutti l’individuazione del mercato rilevante. Detto ultimo fattore è suscettibile di diverse valutazioni e la posizione di un’impresa può variare sensibilmente a seconda che si prenda come parametro di riferimento un mercato del prodotto più o meno esteso. Basti pensare al celeberrimo caso United Brands, in cui il mercato delle banane è stato considerato come distinto da quello degli altri tipi di frutta, e conseguentemente l’impresa è stata ritenuta in posizione dominante.
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In materia di errore sul diritto esistono interpretazioni contrastanti: da un lato vi è chi ritiene che l’errore debba cadere sul precetto normativo; dall’altro vi è chi ritiene che esso debba cadere sul disvalore sociale del fatto o nella sua generica illiceità. Sul tema si veda R. BLAIOTTA, op. cit., p. 101.
561
G. FLORA, op. cit., p. 256.
562
G. FLORA, op. cit., p. 259; M. G ROSA, Ignoranza scusabile della legge penale, in Cass.
Pen., 1997, p. 1725 e ss..
563
Per ampi riferimenti cfr. T. PADOVANI, op. cit., p. 312; S. L. DAVIES, The
Jurisprudence of Willfulness: an evolving theory of excusable ignorance, in Duke Law Journal, 1998, p. 341 e ss..
la sua azione avrebbe violato un precetto penale, non era in grado di scegliere tra il rispetto e la violazione della legge penale”564
e costituisce il logico corollario del brocardo qui in re illecita versatur respondit etiam de casu: un soggetto deve essere punito per tutte le conseguenze che derivano dalla propria condotta per il semplice fatto di avere intrapreso un’azione illecita, a prescindere dalla circostanza che abbia voluto o, si sia anche solo rappresentato tutte le conseguenze.
Tale rigore ha subito attenuazioni in pressoché tutti gli ordinamenti, poiché non si è ritenuto che conforme al principio di legalità la previsione dell’impossibilità di escludere la responsabilità nei casi in cui un soggetto abbia posto in essere una condotta in maniera non colpevole, dovuta ad inevitabile ignoranza del precetto565. Il carattere personale della responsabilità (penale) e la funzione anche rieducativa della pena impongono che tra il fatto e il suo autore vi sia una stretta relazione di appartenenza espressa, non solo, dal nesso di causalità materiale e da un nesso subiettivo costituito almeno dalla colpa, ma anche da un rimproverabile contrasto o indifferenza nei confronti dei valori della convivenza espressi dalle norme penali. Conseguentemente, la possibilità di conoscenza della norma costituisce elemento essenziale della colpevolezza566. Risulta infatti evidente che, ove un soggetto agisca per ignoranza della regola prudenziale, il dovere di diligenza non può avere efficacia motivante ed anche la minaccia della pena, che si riconnette all’inosservanza della cautela doverosa, non è in grado di svolgere la funzione
564
E. DOLCINI, Responsabilità oggettiva e principio di colpevolezza, in Riv. it. dir. e proc.
pen., 2000, p. 863.
565
Per quanto riguarda l’ordinamento italiano si veda la fondamentale sentenza della Corte Costituzione n. 364/1988, sopra citata. In materia cfr. G. FIANDACA, Principio di
colpevolezza ed ignoranza scusabile della legge penale: “prima lettura” della sentenza n. 364/88, in Foro it., 1988, I, p. 1385; T. PADOVANI, L’ignoranza inevitabile sulla legge penale e la declaratoria di incostituzionalità parziale dell’art. 5 c.p., in Legisl. Pen. 1988, p.
449; N. PISANI, L’elemento psicologico del crimine internazionale nella parte generale dello
Statuto della Corte Internazionale Penale, in Riv. it. dir e proc. pen., 2001, p. 1370 e ss..
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R. BLAIOTTA, op. cit., p. 102.; la Corte Costituzionale italiana, nella sentenza n. 364/1988 sopra citata, ha posto in luce alcuni punti in materia che meritano di essere sottolineati. I giudici della Consulta hanno rilevato come un soggetto debba poter trovare nelle leggi che cosa gli è permesso e cosa invece gli è vietato. Il principio di colpevolezza sarebbe dunque necessario al fine di garantire al singolo la certezza di libere scelte d’azione. A nulla varrebbe garantire la riserva di legge statale, la tassatività delle leggi quando un soggetto potrebbe essere chiamato a rispondere di fatti che non può comunque impedire o in relazione ai quali, senza colpa, non è in grado di ravvisare il dovere di evitarli contenuto nel precetto. Cfr. M. DONINI, op. cit, p. 207, secondo il quale il principio di colpevolezza “costituisce il
secondo aspetto del principio, garantistico, di legalità, vigente in ogni Stato di diritto”; F.
preventiva. Si deve quindi analizzare se l’agente, in concreto, poteva superare i possibili ostacoli che possono impedire o rendere più difficoltosa l’individuazione o la comprensione della fonte produttiva della regola cautelare.
Solo quando alla pena venisse assegnata esclusivamente una funzione deterrente (a rischio però di strumentalizzazione) potrebbe configurarsi una responsabilità per fatti non riconducibili a colpa dell’agente, nella prevedibilità ed evitabilità dell’evento. Tali considerazioni necessitano però di opportuni adeguamenti per quanto riguarda la materia antitrust, posto che risulta particolarmente difficile poter individuare la funzione rieducativa in sanzioni che riguardano entità giuridiche astratte ed impersonali quali sono le società, anche se non è del tutto escluso che possa parlarsi di finalità rieducativa in tale ambito567.
In materia penale è stato osservato568 come l’ignorantia legis si atteggi in maniera differente a seconda che si tratti di reati “naturali” oppure “artificiali”569. Con riferimento ai primi si intendono quei reati che sono cosiddetti mala in se, in quanto non si tratta di fatti che sono solamente antigiuridici, ma che sono anche sentiti come offensivi dalla comune morale, come ad esempio l’omicidio: un soggetto può pertanto rendersi conto del loro disvalore anche a prescindere dalla conoscenza della loro antigiuridicità. Con i secondi, ossia i cosiddetti reati mala quia vetita si intendono quei reati che non sono percepiti come illeciti sul piano della morale, come ad esempio i reati economici e tributari. Un soggetto, quindi, potrebbe non rendersi conto del loro disvalore, se non possiede una previa conoscenza della loro antigiuridicità. Con riferimento ai primi, la distinzione tra errore sul fatto ed errore sul precetto riveste notevole rilevanza. Il substrato di antigiuridicità che essi possiedono prima sul piano umano e della morale che su quello
567
Cfr. Sentenza del Tribunale di primo grado del 6 aprile 1995, G. M. Martinelli c. Commissione, causa T-150/89, in Racc., 1995, p. II-1165, punto 59 “(…) Le ammende sono
infatti uno strumento della politica di concorrenza della Commissione. Per questo motivo essa deve disporre di un margine di discrezionalità nel fissare i loro importi al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole sulla concorrenza”. Sulla finalità
rieducativa delle sanzioni antitrust cfr. TAR Lazio, sez. I, 28 gennaio 2005, n. 689.
568
A. CALABRIA, op. cit. p. 35 e ss.
569
Ibidem. L’A. sopra citata sottolinea come la validità di tale distinzione, oltre a trovare conferma nelle opinioni espresse dalla migliore dottrina, ha anche precedenti risalenti al diritto romano. In passato si riteneva che il rigore dell’ignoranza inescusabile trovasse attenuazione in favore delle donne e dei rustici nelle ipotesi in cui la legge ignorata non trovasse fondamento nella morale.
legislativo, fa sì che sia altamente improbabile che un soggetto possa trovarsi in errore sul precetto, in quanto l’illiceità dell’atto compiuto dovrebbe essere conosciuta anche ed a prescindere dalla conoscenza o conoscibilità della norma incriminatrice. Con riferimento ai secondi, invece, la rilevanza della distinzione sopra evidenziata è maggiormente attenuata, in quanto il soggetto anche se agendo desidera un fatto identico a quello vietato, se non ha la consapevolezza dell’antigiuridicità di tale comportamento, difficilmente potrà avere anche coscienza dell’illiceità dello stesso. Per quanto attiene agli illeciti antitrust si farà riferimento alle teorie relative agli illeciti artificiali, in quanto, come sopra esposto sub. par. 4, il disvalore di alcune condotte non può dirsi ancora completamente assimilato a livello europeo e la loro illiceità può dipendere da numerose variabili economiche la cui previa conoscibilità può risultare, in determinati casi, fondamentale.
L’ignoranza del precetto esclude la responsabilità solamente nel caso in cui si tratti di ignoranza inevitabile-scusabile570, ossia quando non sia dovuta ad inerzia o negligenza del soggetto. L’ignoranza colpevole non risulta infatti idonea ad escludere la responsabilità. Con tale ultima dizione si intende quell’ignoranza determinata dalla inosservanza di regolari cautelari di condotta, che hanno come contenuto l’assunzione di idonee informazioni circa il contenuto precettivo della legge con riferimento al tipo di attività svolta. Si ritiene, infatti, che l’informazione debba essere proporzionata al diverso grado di attività svolta571.
Occorre quindi individuare i parametri in base ai quali stabilire l’inevitabilità o meno dell’ignorantia legis. Secondo l’opinione espressa dalla migliore dottrina572, l’ignoranza è scusabile nella misura in cui non possa essere rimproverabile all’agente. Si ritiene che si sia in presenza di ignoranza incolpevole nel caso di caso fortuito o forza maggiore, ossia impossibilità oggettiva, generale ed invincibile di conoscenza, o di errore scusabile, in quanto dovuto a erronea informazione o informazioni fuorvianti fornite da
570
A. CALABRIA, op. cit., p. 37. Nell’ US Sentencing Guidelines Manual, cit., p. 580, l’ignoranza colpevole (“wilfully ignorant of the offense”) viene definite come quella per cui l’individuo “did not investigate the possibile occurance of unlawful conduct despite
knowledge of circumstances that would lead a reasonable person to investigate whether unlawful conduct had occurred”.
571
A. CALABIRA, op. cit., p. 55.
572
fonti qualificate573.
Infine l’ignoranza non deve essere attribuibile all’agente per l’omissione di quelle attività di informazione che erano da lui ragionevolmente esigibili. Il parametro delle regole di condotta che devono essere seguite viene in genere individuato secondo il comportamento ragionevolmente esigibile dall’agente modello rapportato alla reale attività posta in essere, ossia l’homo
eiusdem professionis et condicionis.
La scusabilità dell’errore di diritto inevitabile, dunque, può trovare applicazione solo allorché l’agente abbia svolto tutte le possibili indagini al fine di risolvere il dubbio oppure, pur avendole svolte, sia rimasto in una situazione soggettiva di incertezza sull’illiceità del fatto e quindi di dubbio irrisolto574.
Il profilo della conoscibilità della legge è strettamente connesso con il principio di legalità575. Autorevole dottrina576 ha evidenziato come nel caso di normativa oscura o particolarmente contraddittoria, la scusabilità dell’ignoranza o dell’errore di diritto deriverebbe da un vizio a monte, ossia la carenza di tassatività della fattispecie. Con tale principio si intende garantire ai soggetti, attraverso la possibilità di conoscenza delle norme, la sicurezza giuridica di consentire libere scelte d’azione. Incombe però sui soggetti un dovere di informazione, prodromico alla condotta che si vuole intraprendere, rapportato alla complessità di tale attività. Le norme che individuano illeciti di pura creazione legislativa comportano un più intenso dovere di conoscenza degli operatori. Se nonostante l’adempimento di tale dovere, il soggetto viola un divieto nell’ignoranza della legge, tale ignoranza dovrebbe condurre all’esclusione della colpevolezza. L’errore e l’ignoranza devono dunque investire il precetto normativo. Un approccio che desse rilevanza all’errore sulle conseguenze illecite del fatto, come avviene in ambito comunitario, non potrebbe del resto essere applicabile agli illeciti colposi, posto che in questi ultimi per definizione l’evento o comunque le sue conseguenze non dovevano essere previste dal soggetto agente: nel caso in cui vi fosse tale previsione, si
573
Ibidem.
574
R. BLAIOTTA, Coscienza del disvalore sociale e colpevolezza: le antinomie della
Suprema Corte, in Cass. pen., 1996, p. 99.
575
Sul quale si veda il prossimo capitolo.
576
L. STORTONI, L’introduzione nel sistema penale dell’errore scusabile di diritto:
significati e prospettive, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1988, p. 1313; M. G. DE ROSA, Ignoranza scusabile della legge penale, in Cass. Pen., 1997, p. 1725.
sarebbe infatti in presenza di un illecito doloso.
6. Segue: applicazione della disciplina dell’errore nel diritto