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Conclusioni: percorsi immaginati/percorsi reali

Il presente capitolo ha analizzato come determinate mobilità umane diventino nel contesto globale un bene raro, un prodotto di mercato e quali siano le conseguenze sulle persone.

Mentre tutto si muove (merci, capitali, idee, informazioni e immaginari), una grande porzione della popolazione del mondo in via di sviluppo è vincolata ai confini degli stati nazione, che continuano a possedere un ruolo decisivo all’interno dell’odierno ordine globale. Il movimento dei migranti dal Sud del mondo al Nord è soggetto a vincoli che bloccano e governano il flusso in relazione alle esigenze (economiche) dei dominanti del pianeta. La libertà di movimento e la libertà di far muovere i propri investimenti, i propri capitali, le proprie produzioni da una parte, e il blocco della forza lavoro dall’altra, rientrano all’interno di logiche globali che tendono a riprodurre vantaggi da una parte e svantaggi dall’altra, amplificando le disuguaglianze globali. Le persone, all’interno dell’ordine globale, sono legate alle gerarchie degli stati, alla forza dei passaporti. I diritti lungi dall’essere universali, soprattutto per quel che riguarda la mobilità, rimangono locali.

Il flusso specifico Sri Lanka-Italia rientra all’interno di questa cornice e presenta caratteristiche peculiari che lo distinguono da altri flussi, che sempre dallo Sri Lanka partono per altre destinazioni. Esiste una gerarchia di destinazioni, che pone l’Italia tra i paesi a lingua inglese, meta più ambita e il Medio Oriente, meta che concede limitati benefici economici e possiede scarso valore simbolico. Queste differenti mete sono legate ad una stratificazione sociale che distingue i cittadini in base alla possibilità socio-economiche che li rendono capaci di poter o non poter soddisfare le richieste imposte dalle leggi sull’immigrazione dei differenti paesi e le conseguenti dinamiche migratorie specifiche.

e per il prestigio delle loro università, a cui si unisce il prestigio della lingua inglese che assurge al ruolo di lingua franca globale e come tale diventa elemento di distinzione. Coloro che possono soddisfare i requisiti richiesti dai paesi di lingua inglese partono per queste destinazioni in cerca di un miglioramento delle proprie condizioni di vita senza neppure prendere in considerazione l’Italia, che viene valutata una meta sfavorevole.

Le politiche di immigrazione italiane hanno altre logiche e sono legate ad una differente storia di immigrazione rispetto a quella dei paesi di lingua inglese. È un’immigrazione non specializzata quella che interessa l’economia italiana. Non vi sono rigidi criteri selettivi, ma vi sono quote limitate. Questo da una parte apre al desiderio di una gran fetta della popolazione. Dall’altra le quote limitate trasformano l’ingresso in Italia in un bene prezioso e in un prodotto di mercato. In passato i viaggi clandestini hanno cercato di forzare i limiti posti all’ingresso in Italia. Attualmente le migrazioni regolari dato che non esistono agenzie ufficiali e di mediazione tra chi richiama un lavoratore e chi è chiamato in Italia, sono lasciate al libero gioco del mercato e delle relazioni personali. Il prezzo dell’Italia è oggi rilevante e sproporzionato rispetto alla maggioranza degli stipendi del paese di partenza. Per molti preparare il viaggio significa cercare soldi, prendere prestiti, e scivolare all’interno della dimensione del debito e di conseguenze del rischio, a cui talvolta si aggiunge il pericolo della truffa.

L’alto valore simbolico raggiunto dall’emigrazione verso l’Italia e l’importanza dei contatti rendono difficile attribuire rigidi limiti alla categoria di coloro che sono interessati all’Italia. Talvolta anche chi è in un’ottima posizione socio-economica può esserne attratto, e, d’altra parte, anche chi non ha grosse disponibilità economiche può trovare l’aiuto di qualche parente o conoscente. La città risulta essere un limite importante per la migrazione verso l’Italia È nella città che le proprietà hanno valore, è nella città che si possono trovare più facilmente i contatti per partire. Gli abitanti delle zone rurali e di quelle costiere al momento attuale sono raggiunti dal desiderio dell’emigrazione, ma difficilmente riusciranno a soddisfarlo.

Esiste poi una terza meta, quella verso i paesi del Medio Oriente. Favorita dall’ingente richiesta di lavoratori stranieri, questa destinazione risulta più facile, relativamente poco costosa – comunque non accessibile a tutti – ma meno desiderata, soprattutto perché i guadagni risultano molto inferiori rispetto all’Italia. L’Islam, inoltre, viene percepito come alterità con cui è difficile comunicare e convivere, chiuso alla diversità e al dialogo. Il Medio Oriente, di conseguenza, viene considerato come luogo poco ospitale. È un’immigrazione soprattutto femminile e legata al lavoro domestico. Chi intravede la possibilità dell’Italia, o

chi sogna l’Italia difficilmente ripiegherà su questa meta che si trova al fondo della gerarchia e richiama gli esclusi dalle mete più prestigiose.

Rohan ha interrotto il lavoro all’aeroporto militare in Sri Lanka dopo dodici anni, sommati ai dieci durante i quali ha cercato di trovare l’occasione per andare in Italia, fanno ventidue, che sono gli anni necessari per ottenere il pensionamento all’interno dei corpi militari. Tenendo in mano il permesso di soggiorno, considerando i debiti che deve ripagare, e le difficoltà nel trovare un lavoro in Italia, il dubbio di aver osato troppo s’insinua.

3. Viaggio e ingresso in Italia

Il turista e il migrante s’incrociano spesso in aeroporto, si possono anche trovare fianco a fianco sullo stesso aereo. La libertà di movimento, le difficoltà nel preparare il viaggio, le finalità del viaggio, gli investimenti sul viaggio, il prezzo del biglietto, i documenti da mostrare e i controlli da superare, con il fastidio delle code da una parte e la titubanza dall’altra di non essere completamente a posto, o di essere fuori posto, li rendono però estremamente differenti negli stati d’animo e rendono totalmente differenti i loro viaggi.

Oggi il migrante che parte dallo Sri Lanka per il suo primo viaggio in Italia prende l’aereo e mostra i documenti. Il suo non è comunque un viaggiare leggero, come quello del turista, a cui bastano un cellulare e una carta di credito per essere connesso con il mondo e per superare qualsiasi difficoltà. Quello del migrante verso l’Italia è un viaggiare pesante, nell’animo e nei bagagli, carichi al limite del peso consentito di vestiti da indossare nella nuova realtà e nel differente clima del Paese di destinazione e carichi di cibi di casa da portare a qualche parente o conoscente in Italia.

Non tutti i viaggi che dallo Sri Lanka hanno portato migranti in Italia sono però avvenuti attraverso un volo diretto Sri Lanka-Italia. È possibile identificare diversi fasi all’interno del processo migratorio in cui hanno prevalso differenti tipi di viaggio e differenti modalità di ingresso in Italia. Le fasi del processo migratorio non si contraddistinguono mai per un’omogeneità completa. È possibile incontrare migranti con gli stessi anni di permanenza in Italia, ma con storie totalmente differenti, o al contrario, migranti arrivati in anni differenti attraverso gli stessi tragitti e con uguali modalità di ingresso.

Ci si propone di procedere nell’analisi del flusso migratorio, incrociando le modalità di attraversamento dei confini (viaggi e ingressi) con le differenti fasi della migrazione. Questo permette di affrontare le problematiche dell’origine del flusso migratorio, di porre in evidenza le caratteristiche di processo della migrazione, di mostrare come la società di arrivo tratti e consideri i suoi migranti e le migrazioni. Le modalità del viaggio e dell’ingresso influiscono naturalmente sulle vite dei migranti. Questi piuttosto che scegliere liberamente le proprie

mete e i propri viaggi, sono costretti sempre a legare le proprie strategie migranti alle possibilità che di volta in volta si presentano loro.

1. Una breve storia del flusso Sri Lanka-Italia

Il flusso migratorio Sri Lanka-Italia ha una storia di oltre trent’anni. Ripercorrere questa storia significa imbattersi nel problema dell’inizio della migrazione. Prima di presentare un’ipotesi su questa origine va sottolineato che affinché si sviluppi una migrazione ed assuma dimensioni quantitativamente importanti sono necessarie diverse fasi di migrazione “fortunata” che possono sfruttare canali notevolmente differenti tra loro. È questo il caso della migrazione srilankese verso l’Italia.

Sia Näre (2008)1, che ha condotta una ricerca sui migranti srilankesi a Napoli, identificati come in maggioranza singalesi provenienti dalla costa occidentale, (quindi gli stessi migranti di cui si tratta nella presente ricerca) e Pathirage e Collyer, che studiano l’emigrazione da Wennapuwa verso l’Italia2, sostengono che il flusso Sri Lanka-Italia abbia avuto origine verso l’inizio degli anni Settanta e che sia stato facilitato dai contatti tra istituzioni religiose, cioè attraverso una sorta di transnazionalismo delle istituzioni Cattoliche.

Sono però gli anni Novanta che fanno registrare il pieno sviluppo di questo flusso migratorio che assume dimensioni via via maggiori (Näre, 2008). Questo stesso periodo si caratterizza in Italia per una chiusura nella politica degli ingressi e per un clima culturale segnato dall’emergenza immigrazione (Dal Lago, 1999; Colombo e Sciortino 2004). Gli ingressi clandestini, capaci di sfruttare la porosità dei confini e di oltrepassarli, sono una delle conseguenze delle politiche restrittive dell’immigrazione. Questi tipi di ingressi sono legati a viaggi pericolosi, talvolta tragici poiché causano spesso la morte di migranti lungo il tragitto e sono condotti per lo più da organizzazioni criminali. Questi viaggi hanno alimentato il flusso Sri Lanka-Italia nel periodo del suo pieno sviluppo.

Il controllo dei confini e la lotta all’immigrazione irregolare è una carta politica che in Italia è stata giocata e viene giocata da diversi partiti politici. Il controllo è un obiettivo che deriva anche dall’appartenenza alla Comunità Europa, e a Schengen, come Stato posto ai suoi confini. L’implementazione dei controlli è dunque un compito che l’Italia ha portato avanti sempre con maggiore vigore attuando diverse strategie e strumenti di controllo. Il controllo si

attua non solo con la sorveglianza diretta dei propri confini, ma anche attraverso una serie di accordi bilaterali con paesi di partenza e di transito. Questi accordi mirano ad ottenere una collaborazione per contrastare l’immigrazione clandestina e favoriscono la proliferazione dei luoghi del controllo (aeroporti, ambasciate, ecc.) interconnessi e in costante comunicazione tra loro. Il controllo diventa così diffuso e i confini si moltiplicano diventando reticolari, cioè dislocati su più punti interconnessi (cfr. Walters, 2004).

Lo Sri Lanka ha stipulato accordi bilaterali sia con l’Italia, sia con l’Unione Europea. L’inizio degli anni Duemila segna una drastica riduzione dei viaggi clandestini verso l’Italia. Il 2002 risulta un anno decisivo. È l’anno della Conferenza ministeriale sulla cooperazione in materia dei flussi migratori fra Asia ed Europa, a cui partecipa anche lo Sri Lanka (Düvell, 2004). In questo stesso anno Italia e Sri Lanka stipulano un accordo bilaterale nel quale viene “barattato” una (piccola) quota di ingressi privilegiati (che l’Italia concede annualmente allo Sri Lanka) con una collaborazione (da parte dello Sri Lanka) sia per il controllo delle frontiere sia per il problema del rimpatrio degli espulsi. La libertà di movimento delle persone viene così trasformata in valore di scambio tra stati (Rigo, 2004). Le rotte clandestine, soprattutto quelle via mare attraverso il canale di Suez vengono bloccate. Non è un caso dunque che Manoj, un pescatore di Wennapuwa, ricordi l’ultima partenza dalla costa della sua città di una nave diretta verso l’Italia proprio in questo anno. Inoltre il 2002 è anche l’anno della legge Bossi-Fini che ha tra suoi obiettivi quello di contrastare in maniera sempre più decisa e severa l’immigrazione irregolare rendendo un azzardo anche quegli ingressi regolari ma già virtualmente irregolari poiché legati a visti temporanei o a documenti falsi.

A partire dagli anni Settanta e con maggiore intensità negli anni Novanta questo flusso migratorio ha presentato un incremento annuo costante. Una grande quantità di migranti irregolari è riuscita ad ottenere lo status di regolare attraverso i contatti con i datori di lavoro o utilizzando il sistema delle sanatorie, che soprattutto negli anni Novanta si sono susseguite con elevata frequenza (1990, 1995, 1998). La regolarizzazione permette i ricongiungimenti familiari che presentano un incremento costante negli anni e che alimentano nuova immigrazione regolare. Con la regolarizzazione la migrazione srilankese presente in diverse città dell’Italia (Milano, Verona, Roma, Napoli, Palermo), tende a muoversi verso il Nord Italia attratta da un mercato del lavoro che offre maggiori opportunità. La migrazione srilankese non scompare del tutto dalle altre città del Centro, del Sud e della Sicilia, anche se tende ad avere nelle città del Nord la maggiore concentrazione. Attualmente Milano è la prima città dell’immigrazione srilankese seguita da un’altra città del Nord, Verona.

Gli anni Duemila rappresentano tendenzialmente il periodo degli ingressi regolari e dei viaggi in regola. I viaggi clandestini, sia via mare attraverso il canale di Suez, sia via terra attraverso l’Europa dell’Est, sono stati per lo più fermati e gli ingressi attraverso documenti falsi o visti temporanei che portano alla condizione di irregolare sono diventati in seguito all’aumento dei controlli sul territorio italiano molto più rischiosi rispetto al passato.

È dunque possibile fissare approssimativamente tre fasi nella storia del flusso migratorio tra Sri Lanka e Italia in relazione alle modalità dei viaggi e degli ingressi. Un’ipotetica origine legata soprattutto ai contatti tra istituzioni religiose, uno sviluppo segnato da ingressi clandestini e da irregolarità diffusa e la condizione attuale dei viaggi e degli ingressi regolari. I ricongiungimenti familiari e gli ingressi alternativi (e talvolta creativi), con documenti falsi o con visti temporanei e quindi già virtualmente irregolari, rientrano all’interno di tutte le diverse fasi della migrazione e, a seconda delle congiunture, diventano più o meno rilevanti in una fase o nell’altra del processo migratorio. Va detto inoltre che quando si parla di immigrazioni alimentata da ingressi clandestini e irregolari ciò non significa che questa sia stata la modalità di ingresso esclusiva. Anche in questa fase sono presenti ingressi regolari per motivi di lavoro.

Le tre fasi non vanno lette come dei periodi in cui tutti i viaggi e tutti gli ingressi sono avvenuti allo stesso modo ma come fasi attraversate da tendenze legate sia alle condizioni della società di partenza, che a quella di destinazione, nonché allo stato dello stesso flusso migratorio. Queste tendenze incidono inevitabilmente su viaggi, sugli ingressi e sulle strategie che i migranti attuano per raggiungere l’Italia e incidono poi sulla loro permanenza come immigrati in Italia.

2. Un’ipotesi: il ruolo delle istituzioni religiose all’origine dei flussi

Le ipotesi che legano l’origine della migrazione Sri Lanka-Italia ai contatti tra istituzioni religiose fanno riferimento o alla presenza delle rappresentanze cattoliche, cioè missionari e preti italiani in Sri Lanka (Näre, 2008) o alla presenza di preti srilankesi in Italia (Pathirage e Collyer). Da una parte i missionari italiani in Sri Lanka avrebbero favorito la chiamata e quindi l’ingresso regolare di cittadini srilankesi in Italia garantendo i contatti per il lavoro in ambito domestico sia all’interno delle parrocchie sia, soprattutto, all’interno delle famiglie italiane. Questa ipotesi sostiene inoltre che l’origine del flusso sia tendenzialmente femminile,

srilankesi a favorire l’ingresso e a fornire i contatti per il lavoro. Questi sarebbero arrivati in Italia per concludere il loro periodo di formazione e avrebbero poi aiutato loro concittadini, loro fedeli ad arrivare in Italia dove le condizioni del mercato del lavoro erano più favorevoli rispetto a quelle dello Sri Lanka.

Le due ipotesi non sono in contraddizione tra loro e in definitiva entrambe fanno riferimento ai contatti tra le istituzioni religiose italiane e quelle strilankesi, valorizzando in maniera differente il verso della relazione, il che non esclude la contemporanea presenza di entrambi i flussi (preti italiani in Sri Lanka e preti srilankesi in Italia) nella spiegazione dell’origine della migrazione. L’opera di Stirrat (1992) che ripercorre la storia della religione Cattolica in Sri Lanka, con particolare enfasi sulla situazione post-coloniale, può risultare utile ai fini di questa analisi poiché rende plausibile l’ipotesi dei contatti tra le istituzioni cattoliche dei due paesi.

Le aree della presenza della religione Cattolica in Sri Lanka e le zone di origine della maggioranza dei migranti srilankesi in Italia corrispondono. Stirrat individua la costa occidentale dello Sri Lanka come il luogo della religione Cattolica e in particolare la zona costiera contenuta tra Puttalam (leggermente a nord di Chilaw) e Pandura (leggermente a sud di Colombo) che include la zona tra Chilaw (al nord) e Negombo (al sud) che è anche la zona maggiormente interessata dalla migrazione verso l’Italia.

La fascia di costa individuata da Stirrat è la zona del colonialismo portoghese, che arrivò per primo sull’Isola, intorno al XVI secolo e che portò con sé la religione Cattolica. La storia di questa religione e la storia del colonialismo in Sri Lanka, come altrove, sono connesse non solo in relazione all’origine ma anche agli avvenimenti e agli sviluppi successivi. Fortune e sfortune della Chiesa sono legate per lo più al passaggio di mano del dominio coloniale. Ai portoghesi succedono gli olandesi, che rimangono sull’Isola dalla metà del XVII alla fine del XVIII secolo. La componente cattolica viene considerata dagli olandesi come una minaccia per il controllo della zona costiera. In questo periodo i cattolici subiscono la persecuzione dei colonizzatori e sono relegati ad un ruolo subordinato e marginale. Le sorti della comunità cattolica cambiano radicalmente sotto il dominio inglese, che va dalla fine del XVIII secolo all’Indipendenza del 1948. Considerata come alleata nell’opera di controllo della colonizzazione, la comunità cattolica diventa minoranza privilegiata. Gli inglese permettono a questa comunità un controllo diretto delle scuole, dove si insegna in inglese. Questo fatto permette ai cattolici di ottenere i ruoli di maggior prestigio dato che sotto il colonialismo i luoghi del potere parlano inglese. Il riconoscimento del valore dell’istruzione inglese e in inglese, che ancora oggi caratterizza la visione e la percezione dei cattolici della zona costiera

ha probabilmente qui le sue origini. Durante il periodo inglese si registra un elevato afflusso di missionari e preti cattolici dall’Europa, tra questi sono presenti anche preti e missionari italiani che mantengono e curano i contatti con Roma. Fino agli anni Sessanta del XX secolo il controllo delle parrocchie e delle diocesi è saldamente nelle mani di preti e missionari europei (e di Roma).

L’Indipendenza del 1948 e il Concilio Vaticano II (1962-1965) rappresentano due importanti eventi per le sorti della religione Cattolica in Sri Lanka. La costruzione della nazione, del senso di appartenenza nazionale, obiettivo che i governi si pongono al seguito dell’Indipendenza, ha bisogno di omogeneità, di tradizione, di un origine. La comunità

immaginata (Anderson, 1991, trad. it. 1996) è singalese, di religione Buddista e parla

singalese. L’alterità interna, in questo caso la comunità cattolica, va ridotta a minoranza silenziosa e subordinata. Senza l’appoggio esterno offerto dal colonialismo inglese la comunità cattolica subisce una serie di sconfitte, la più importante delle quali è la perdita del controllo delle scuole che vengono nazionalizzate. L’inglese viene sostituito dal singalese come lingua d’insegnamento. I fedeli cattolici perdono sempre maggior prestigio anche a livello professionale e diminuisce la loro presenza all’interno dei luoghi del potere.

Il Concilio Vaticano II segna un altro punto di rottura. La Chiesa supporta ovunque nel mondo un processo di indigenizzazione, allentando il controllo sulle Chiese locali. Alla fine degli anni Sessanta la maggioranza dei preti sono srilankesi. Il momento particolare e difficile della comunità cattolica in un periodo e in un contesto in cui è relegata ad un ruolo minore si traduce a parere di Stirrat in un’accentuazione del carattere locale/orientale del religioso. Sorgono particolari santuari guidati da leader spirituali che attraverso il rapporto col sacro (la Vergine Maria, Cristo, Santi e reliquie) riescono a guarire i fedeli dagli attacchi della stregoneria, pratica e credenza diffusa in Sri Lanka anche tra i cattolici. Queste credenze valorizzano simbolicamente luoghi e Santi che appartengono anche al contesto religioso europeo (per esempio, Lourdes) e italiano (per esempio, Sant’Antonio da Padova e Città del Vaticano), concedendo all’Italia un elevato valore simbolico.

Il riferimento a Stirrat rende plausibile l’ipotesi dell’origine del flusso migratorio legato ai contatti tra le istituzioni religiose, perché testimonia del ruolo di preti e missionari europei ed